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Monte Fravort e Gronlait: trekking in Trentino
Scritto da roberto
Sette del mattino, il sole entra dalla finestra di casa come non aveva fatto da settimane, l'estate forse ha deciso di farsi avanti, e noi siamo pronti ad accoglierla con gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla: il nostro primo trekking della stagione si snoderà sulle vette del Lagorai occidentale, in Trentino. Nicola raduna tutti e ci avviamo decisi verso una nuova meta, la cima Fravort e la cima Gronlait.
Nessuno di noi sospettava ciò che ci sarebbe successo ...
... ma i presagi sul nostro cammino erano chiari e numerosi, il primo durante la risalita in macchina, un macigno di mezzo metro di diametro ci blocca la strada, ma con un'abile manovra del guidatore il pericolo è scampato e possiamo continuare verso la nostra meta.
Dopo una sosta per riprenderci e una pausa caffè arriviamo al capolinea (ancora prima di incominciare a camminare… – n.d.n.), da qui in avanti dobbiamo abbandonare la macchina e proseguire a piedi. Ore nove e mezzo, prendiamo con noi il minimo necessario, i viveri scarseggiano, ma decidiamo comunque di continuare.
Il cielo sereno e la temperatura mite alimentano il nostro buon umore così ci avviamo verso la Bassa, il passo che divide la cima Panarotta dalla cima Fravort. Nicola e Pier estraggono dai loro foderi due macchine fotografiche reflex (di cui non dirò la marca per non fare pubblicità), per essere pronti ad immortalare ogni istante della nostra avventura e mettere in pratica gli insegnamenti appresi dal recente corso di fotografia (un ringraziamento particolare all' insegnate Francesca Ianes per averli sopportati per l'intera durata del corso). La montagna è un posto meraviglioso, ma nasconde mille insidie e trabocchetti, già al primo bivio incontriamo un gruppo di sprovveduti turisti della domenica indecisi su quale sentiero intraprendere: Pier, la nostra guida locale, fa sfoggio delle sue conoscenze orografiche e gli illustra a parole una dettagliata mappa del luogo. Dopo aver indirizzato gli indesiderati turisti ad un percorso alternativo al nostro, proseguiamo a passo celere fino a raggiungere la radura della Bassa, un enorme prato popolato da un esiguo numero di mucche al pascolo.
I nostri paparazzi in erba colgono subito l'occasione per allestire un set fotografico ed immortalare questo "raro" paesaggio bovino senza censurare alcuna nudità, dopo di ché il cammino riprende in salita verso la cima Fravort. La cima si erge di fronte a noi, Nicola ed io scommettiamo sulle tempistiche di arrivo, ma i dettagli della scommessa non sono del tutto delineati e Nicola ne approfitterà per aggiudicarsi una vincita discutibile.
Ci lanciamo all'attacco della ripida collina: io decido di adottare un una tecnica aggressiva e mantenere un ritmo elevato per i due terzi del percorso distaccando Nicola. Ne pagherò le conseguenze: infatti... non molto lontano dalla meta, mi ritrovo senza fiato ad aspettare il mio avversario. Assieme raggiungiamo la prima vetta e Nicola per un cavillo si aggiudica la vittoria della scommessa.
Il Secondo presagio, mentre aspettiamo Pier: il nostro sguardo cade poco distante dalle rovine di un forte e li vediamo il corpo senza vita di un capretto. Dopo un attimo di silenzio e l'arrivo del terzo elemento della compagnia rialziamo lo sguardo e rimaniamo rapiti dalla splendida vista che ci circonda. Tale paesaggio ci distrae dai pensieri bui che si fanno largo nelle nostre menti, e ci riporta in marcia lontano dal quel luogo di morte dove ormai nulla si può più fare.
La vetta Gronlait si alza di fronte a noi e decidiamo di affrontarla ad un ritmo serrato. Arrivati alla meta, il belare di una pecora rapisce la nostra attenzione. Ci troviamo nel punto più alto, ci guardiamo attorno, ma nulla... della pecora nemmeno l'ombra! Ad un tratto, la raggelante verità: un crepaccio profondo un paio di metri ha ingoiato l'inerme creatura incapace di risalire.
Il nostro primo pensiero è quello di cercare aiuto, ma del pastore non vi è traccia! Decidiamo di passare all'azione e Nicola prova a calarsi giù, cercando di afferrare la sventurata con la mano. Il tempo passa, sono le due e mezzo, e i nostri tentativi sono andati avanti per più di mezz'ora. Ma la pecora non ci è di aiuto, ogni volta che siamo a pochi centimetri e cerchiamo di afferrarla, si ritrae indietro uscendo dalla nostra portata. Decidiamo di riprendere fiato e mangiare qualcosa, dopo di che costruiamo una imbragatura improvvisata con le cinghie delle macchine fotografiche. Il piano è quello di imbrigliare la povera bestia per permetterci di avvicinarci il tanto da poterla afferrare. Riusciamo a bloccarla per un paio di volte ma nulla da fare, dopo più di un'ora di tentativi ci rendiamo conto dell'impossibilità della nostra impresa e prendiamo la pesante decisione di abbandonare l'esile creatura al proprio destino.
Siamo sulla via del ritorno, gli zaini sembrano più pesanti di prima, ma il tempo sta cambiando e dobbiamo raggiungere la macchina prima che inizi a piovere. Lungo la strada incontriamo un altro escursionista a cui raccontiamo tutto della povera pecora rimasta incastrata fra le rocce. La nostra marcia verso la macchina continua, Pier è in testa al gruppo e ci fa strada su un vecchio sentiero militare.
A pochi centinaia di metri dal parcheggio incontriamo nuovamente i turisti che ci avevano chiesto informazione: non eravamo molto lontani da dove li avevamo lasciati la mattina, li rassicuriamo sul loro percorso e continuiamo per la nostra strada.
Cinque e mezzo del pomeriggio, arriviamo alla macchina appena in tempo prima che inizi a piovere, saliamo e imbocchiamo la strada di casa con il pesante fardello nel cuore.
Dopo una sosta per riprenderci e una pausa caffè arriviamo al capolinea (ancora prima di incominciare a camminare… – n.d.n.), da qui in avanti dobbiamo abbandonare la macchina e proseguire a piedi. Ore nove e mezzo, prendiamo con noi il minimo necessario, i viveri scarseggiano, ma decidiamo comunque di continuare.
Il cielo sereno e la temperatura mite alimentano il nostro buon umore così ci avviamo verso la Bassa, il passo che divide la cima Panarotta dalla cima Fravort. Nicola e Pier estraggono dai loro foderi due macchine fotografiche reflex (di cui non dirò la marca per non fare pubblicità), per essere pronti ad immortalare ogni istante della nostra avventura e mettere in pratica gli insegnamenti appresi dal recente corso di fotografia (un ringraziamento particolare all' insegnate Francesca Ianes per averli sopportati per l'intera durata del corso). La montagna è un posto meraviglioso, ma nasconde mille insidie e trabocchetti, già al primo bivio incontriamo un gruppo di sprovveduti turisti della domenica indecisi su quale sentiero intraprendere: Pier, la nostra guida locale, fa sfoggio delle sue conoscenze orografiche e gli illustra a parole una dettagliata mappa del luogo. Dopo aver indirizzato gli indesiderati turisti ad un percorso alternativo al nostro, proseguiamo a passo celere fino a raggiungere la radura della Bassa, un enorme prato popolato da un esiguo numero di mucche al pascolo.
I nostri paparazzi in erba colgono subito l'occasione per allestire un set fotografico ed immortalare questo "raro" paesaggio bovino senza censurare alcuna nudità, dopo di ché il cammino riprende in salita verso la cima Fravort. La cima si erge di fronte a noi, Nicola ed io scommettiamo sulle tempistiche di arrivo, ma i dettagli della scommessa non sono del tutto delineati e Nicola ne approfitterà per aggiudicarsi una vincita discutibile.
Ci lanciamo all'attacco della ripida collina: io decido di adottare un una tecnica aggressiva e mantenere un ritmo elevato per i due terzi del percorso distaccando Nicola. Ne pagherò le conseguenze: infatti... non molto lontano dalla meta, mi ritrovo senza fiato ad aspettare il mio avversario. Assieme raggiungiamo la prima vetta e Nicola per un cavillo si aggiudica la vittoria della scommessa.
Il Secondo presagio, mentre aspettiamo Pier: il nostro sguardo cade poco distante dalle rovine di un forte e li vediamo il corpo senza vita di un capretto. Dopo un attimo di silenzio e l'arrivo del terzo elemento della compagnia rialziamo lo sguardo e rimaniamo rapiti dalla splendida vista che ci circonda. Tale paesaggio ci distrae dai pensieri bui che si fanno largo nelle nostre menti, e ci riporta in marcia lontano dal quel luogo di morte dove ormai nulla si può più fare.
La vetta Gronlait si alza di fronte a noi e decidiamo di affrontarla ad un ritmo serrato. Arrivati alla meta, il belare di una pecora rapisce la nostra attenzione. Ci troviamo nel punto più alto, ci guardiamo attorno, ma nulla... della pecora nemmeno l'ombra! Ad un tratto, la raggelante verità: un crepaccio profondo un paio di metri ha ingoiato l'inerme creatura incapace di risalire.
Il nostro primo pensiero è quello di cercare aiuto, ma del pastore non vi è traccia! Decidiamo di passare all'azione e Nicola prova a calarsi giù, cercando di afferrare la sventurata con la mano. Il tempo passa, sono le due e mezzo, e i nostri tentativi sono andati avanti per più di mezz'ora. Ma la pecora non ci è di aiuto, ogni volta che siamo a pochi centimetri e cerchiamo di afferrarla, si ritrae indietro uscendo dalla nostra portata. Decidiamo di riprendere fiato e mangiare qualcosa, dopo di che costruiamo una imbragatura improvvisata con le cinghie delle macchine fotografiche. Il piano è quello di imbrigliare la povera bestia per permetterci di avvicinarci il tanto da poterla afferrare. Riusciamo a bloccarla per un paio di volte ma nulla da fare, dopo più di un'ora di tentativi ci rendiamo conto dell'impossibilità della nostra impresa e prendiamo la pesante decisione di abbandonare l'esile creatura al proprio destino.
Siamo sulla via del ritorno, gli zaini sembrano più pesanti di prima, ma il tempo sta cambiando e dobbiamo raggiungere la macchina prima che inizi a piovere. Lungo la strada incontriamo un altro escursionista a cui raccontiamo tutto della povera pecora rimasta incastrata fra le rocce. La nostra marcia verso la macchina continua, Pier è in testa al gruppo e ci fa strada su un vecchio sentiero militare.
A pochi centinaia di metri dal parcheggio incontriamo nuovamente i turisti che ci avevano chiesto informazione: non eravamo molto lontani da dove li avevamo lasciati la mattina, li rassicuriamo sul loro percorso e continuiamo per la nostra strada.
Cinque e mezzo del pomeriggio, arriviamo alla macchina appena in tempo prima che inizi a piovere, saliamo e imbocchiamo la strada di casa con il pesante fardello nel cuore.
Il percorso è fattibile anche in inverno per chi fosse dotato di ciaspole mentre per gli amanti dello scialpinismo queste due vette sono dei classici, soprattutto affrontati dai Prati Imperiali in valle dei Mocheni
Un percorso simile a quello descritto qui sopra è quello della prima tappa della Translagorai
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico