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Con il VTTE verso il West | 10° tappa Tris in Val Trebbia
Scritto da Girumin
Anche oggi non è facile alzarsi dal letto: svegliare testa, braccia e gambe chiede un certo impegno.
I movimenti sono lenti, raccolgo tutte le mie cose e le metto nelle borse, prima o poi qualcuno dovrà inventare delle borse da bici trasparenti, giusto per capire facilmente dove sono le cose che stai cercando. Questa è une delle differenze che distinguono i ciclisti dai camminatori, una fra le tante cose che fanno del ciclista e del camminatore persone che vivono esperienze diverse.
Camminatori e cicloviaggiatori
Il camminatore ha un solo zaino, mentre il ciclista ha perlomeno tre borse, due sul portapacchi e una sul manubrio. Ci sono però camminanti carrellati, come il sottoscritto, che viaggiano con il carrello e hanno un borsone e uno zainetto con le cose da tenere a portata di mano, ma non si tratta di questo viaggio.
Invece ai ciclisti tradizionali si aggiungono coloro che viaggiano con le borse davanti oppure oltre alle borse sul portapacchi mettono della roba sul carrello. Ci sono altre categorie come i ciclisti GOAT che usano il carrello a due ruote e i ciclisti estremi, questi ultimi usano borse solo sul manubrio e appiccicate alla sella. Un giorno scriverò qualcosa sulla differenza fra camminatori e ciclisti, qualcuno crede che le esperienze siano simili, ma io penso che ci siano molte differenze. Si tratta spesso di dettagli, di sfumature, di piccole cose, che però si colgono dopo una buona esperienza di cammino e di sella.
Solo dopo che i piedi hanno preso per bene la forma degli scarponi e le chiappe si sono conformate alla sella si colgono le sfumature.
Magari in alternativa potete leggere tanti libri e pensare di saperlo, ma non è la stessa cosa.
Tris in Val Trebbia
Oggi punto verso la Val Trebbia, passo dalla Val Tidone alla Val Trebbia. Anni fa, prima di percorrere la Francigena, avevo trovato un libro che proponeva un percorso lungo le valli del basso Piemonte per passare dall’oltrepò pavese e tagliare trasversalmente le valli del piacentino.
Si passavano i fiumi Staffora, Tidone, Trebbia, Arda, Taro e altri ancora, sempre su e giù per le montagne. Ho pensato e detto che si trattava di una proposta pazzesca, assurda e senza senso. Io non avrei mai fatto una roba del genere, infatti, per coerenza, quest’anno è già la terza volta che ci passo e siamo solo a Settembre… Vabbé. Non ho ancora ben capito se devo passare o non passare dal Penice, la carta che ho con me finisce prima e mi lascia il beneficio del dubbio. Non ho ben capito le quote, anche perché non le ho studiate con precisione, quando sono passato da casa per un attimo ho guardato la bussola/altimetro e ho pensato che avrei potuto prendere lo strumento tecnologico con me, ma poi l’ho lasciato là appeso a prendere la polvere, forse dovrei chiedermi perché l’ho comprato se non ho interesse a usarlo. In realtà l’ho comprato su internet prima di partire per un cammino tempo fa, ma l’oggetto è arrivato a casa solo qualche settimana dopo il mio rientro. Sono tornato lo stesso anche senza la tecnologia, carta e bussola tradizionali sono bastati.
La zona è sicura e tranquilla, non ci sono strani percorsi da seguire, non ci sono azimut da tracciare, è tutto molto semplice, io seguo l’asfalto e vado verso sud ovest, prima o poi arriverò. Parto con un leggero pianoro, ma immediatamente cambia la pendenza, quattro pedalate le posso fare, ma basta poco per dirmi che il sistema tradizionale non si abbandona mai, scendo e spingo. I cartelli mi danno le indicazioni di massima, attraverso paesi i cui nomi non sono sulla carta. Non è uno di quei giorni in cui si macinano chilometri, in cui si sfreccia sull’asfalto, oggi il cammino è più meditativo e ogni metro te lo devi conquistare piegato per spingere sul manubrio cercando di evitare che il pedale si pianti sul polpaccio sinistro, ma non sempre ci riesci.
Non c’è in giro nessuno, incroci solo i classici pensionati con la bici da corsa e pochissimi trattori. Le forze calano, bisogna che ingurgiti qualcosa, ho qualche merendina comprata ieri pomeriggio e due bottiglie da mezzo litro d’acqua riempite a casa. Mi nutro, per ora mi bastano, a Bobbio andrò a comprare altro cibo.
In discesa verso a Bobbio: freni a bacchetta e spinte
Al bivio la strada piega a sinistra, mi sembra giusta, ma inizia a scendere, proseguo. Continua a scendere, non mi piace, quando una strada scende lo fa perché sei oltre un passo e stai per arrivare a destinazione oppure perché c’è sotto un fregatura. Eppure il cartello diceva “Bobbio – Penice”, non c’erano altre strade. Continuo a scendere, la pendenza è minima e io devo pedalare. Che rabbia! Pedalare in discesa! Non è possibile, controllo i freni, controllo le ruote, so che non posso ottenere molto, le ruote non sono perfettamente tonde, le molle dei freni funzionano male quindi i pattini cozzano contro i cerchioni. Pedalo per un po’, finché aumenta la pendenza. Ora va meglio, posso godermi la discesa, posso godermi la discesa dopo una lunga e faticosa salita. Prendo velocità e inizio a frenare, ma i freni a bacchetta sono famosi perché frenano in maniera terribile, frenano a salti. Frenano e mollano, frenano e mollano. Tu tiri le leve e loro frenano però, se non arrivano a fermare il mezzo, la forza delle ruote fa girare ancora le ruote e i pattini mollano. Detto così non si capisce molto, ma voi fidatevi che un’altra volta lo spiego meglio.
Non posso andare avanti così, sto sottoponendo la bici a uno sforzo eccessivo, rischio di rompere la forcella davanti. Devo camminare e tenere i freni tirati. Con una buona bici questi chilometri in discesa che mi separano da Bobbio li farei in pochi minuti, ma ora impiegherò parecchio.
Avevo valutato la possibilità di proseguire dopo Bobbio, ma con questo rallentamento comincio ad avere qualche dubbio. La strada in discesa è lunga, ogni tanto provo a saltare in sella, ma le vibrazioni mi fanno desistere, devo camminare. Arrivo finalmente a Bobbio, mi precipito verso il supermercato: “Giovedì chiuso”. Ci mancava pure questa, non ho mangiato praticamente nulla e non so se troverò dei negozi aperti fino a domani sera. Chiamo l’ostello di Coli, il posto c’è e in paese c’è un negozio di alimentari, speriamo che non sia chiuso il giovedì altrimenti a Farini non ci arrivo senza cibo. Mi fermo un po’ sulla riva del Trebbia per riposare, sono le due e mezza del pomeriggio e non ha molto senso mettersi in salita per arrivare a Coli alle cinque, tanto vale partire più tardi. Vado sul Ponte Gobbo, uno dei luoghi più fotografati dell’universo.
Come sempre spero di scattare delle foto con il ponte deserto, ma voi non avete idea di quanta gente passi su un ponte quando voi sperate che non passi nessuno, vi è già successo??? Piazzo la fotocamera, aspetto, scatto, parto, torno indietro, la sposto e ricomincio da capo per un po’ di volte.
In direzione di Coli: incontro con un trattore
Mi rimetto in marcia, a quest’ora si cammina più volentieri, ma io so già che i centimetri in piano saranno pochi, molto pochi. La salita non da tregua, io mi fermo solo per pochi secondi ogni tanto. Sento arrivare un trattore, sento che rallenta, me lo trovo di fianco. È un piccolo trattore con un carro pieno di legna, legna da sfalcio, non grossa legna da ardere. L’autista mi fa un cenno con la testa in direzione del carro e mi dice: «Carica su!». Io istintivamente dico di no e ringrazio, ma subito dopo ci penso e mi dico: “Perché no? Perché non ho accettato?”. Non sto facendo un pellegrinaggio a piedi, non mi sono detto che arriverò a destinazione sempre e solo con le mie forze e con la spinta delle mie gambe sui pedali. Avrei potuto accettare. In realtà non sarebbe stato facile farci stare bici, carrello e sottoscritto nel cassone che era già pieno, lo dico sinceramente e me stesso, avrei messo il difficoltà chi si era reso disponibile. Avrei dovuto sganciare il carrello per caricare il tutto fra la legna e avrei dovuto riordinare la legna per farci stare tutto quanto, gli avrei fatto perdere del tempo. Però l’esperienza sarebbe stata interessante, non tanto per risparmiare tempo, quanto per annoverare il viaggio in VTTE su carro fra i collaudi effettuati. Mi spiace, ho perso una buona occasione. Ancora un paio di chilometri e arrivo a Coli.
Trovo subito il negozio di alimentari, chiedo se verso Farini ce ne sono altri. Non ci sono, conviene che faccia una buona scorta.
Domani punterò verso la Val Nure, conto di arrivare a Farini d’Olmo, anche se uno dei buoni motivi per arrivare a Farini sono i ciccioli, ma temo che in questo periodo non li facciano perché fa ancora troppo caldo. Saprò resistere. Il grande ostacolo sarà la Sella dei generali, un passo che unisce le due valli. Le montagne dividono, i passi uniscono, ma qui non voglio impelagarmi in una teoria complicatissima che non riuscirei a gestire. Storici, filosofi e geografi si accanirebbero contro di me. La sella dei generali… Ogni volta ci arrivo in maniera diversa. La prima volta ci sono arrivato con la GOAT spingendo per chilometri e chilometri, come farò domani. Ricordo che non avevo incontrato praticamente nessuno, sono arrivato al passo, o sistemato il cavalletto per scattare delle foto e in quel momento è arrivata una macchina che il buon autista ha deciso di parcheggiare proprio dove stavo fotografando. Nella discesa ho messo a dura prova i freni della GOAT, erano già i freni di adesso, ma non era stato facile arrivare a fondo valle.
La GOAT ha sette freni che operano in tre modalità diverse, ma sullo sterrato in discesa non è sempre facile gestirla.
La volta dopo sono passato in febbraio con Alessio e con Artù, il suo cane. Ci siamo arrivati con la neve e con la nebbia, una delle migliori combinazione per perdersi, ma quella volta la bussola ce l’avevamo e ci siamo orientati bene. Il sentiero era scomparso fra i cespugli, non si vedeva nulla se non il bianco della neve e il grigio dell’orizzonte a pochi metri. Salendo verso la cresta della montagna abbiamo lascito il sentiero per cercare la strada e abbiamo poi seguito quella senza problemi. In maggio invece nessuno si aspetta di trovare la neve e invece la neve è arrivata proprio quel giorno, quando ho incrociato il tipo in macchina che mi ha detto: «Non puoi farcela!» qualche dubbio mi era venuto.
Poi però è andato tutto bene. Domani l’affronterò con il VTTE e sarà un’esperienza nuova.
Girumin prosegue il suo viaggio in bici e domani sarà uno scontro diretto con la Sella dei generali. Se vi siete persi le altre tappe tornate indietro alla nona oppure... aspettate la pubblicazione dell'undicesima!
Per maggiore chiarezza nella lettura del testo, qui di seguito la "traduzione" dei due mezzi di trasporto usati in vari viaggi da Girumin: VTTE ossia Velocipede Tradizionale Tipico Essenziale e GOAT ossia Graziella Operativa Alternativa Tattica!
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Girumin
La mia voglia di camminare parte dall’esigenza di vivere il rapporto con la natura. Ho avuto la fortuna di camminare su lunghi percorsi e di viaggiare in diversi paesi, anche meno conosciuti dal turismo tradizionale e ho vissuto alcune esperienze internazionali.
Sono forse stato inesorabilmente spinto dall’istinto naturale che porta a muoversi, a esplorare e a conoscere. Attratto dal bisogno di esserci in prima persona, di arrivare da qualche parte con le mie gambe. Qualche volta ho cercato di giocare con idee meno consuete e magari non sempre garantite.
Penso che il viaggio non sia solo andare lontano geograficamente, ma sia l’occasione per provare ad affrontare le cose in maniera diversa. Spesso per trovare il nuovo basta guardare le cose da un altro punto di vista.
Apprezzo la tecnologia più recente, ma anche le tecniche tradizionali e credo più nella voglia di fare che nella strumentazione più sofisticata.
Partendo da questa idea mi piace preparare un viaggio anche con le mani, per i lunghi cammini ho realizzato dei carrelli per portare il bagaglio e ho fatto qualche giretto con una Graziella e un carrello, ho poi sistemato una vecchia bici da uomo e ho costruito un altro carrello. Cerco idee nuove, ma esploro tecniche del passato come i bastoni di legno.
Nel corso del tempo ho raccolto molti appunti su equipaggiamento, abbigliamento, abitudini, tecniche ed esperienze varie che ho inserito in un libro scritto per la casa editrice “Terre di mezzo”.
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Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico