Bastano pochi chilometri, qualche curva fuori città ed è evidente che il Laos e, soprattutto la provincia del Bokeo in bicicletta, sia un altro mondo, intrappolato nel passato e con le radici ancora ben piantate nella terra arata con la zappa e l'aiuto di qualche bufalo. L'80% dei sei milioni di laotiani distribuiti su un territorio poco più piccolo di quello italiano, vivono nei villaggi, spesso isolati nelle foreste delle montagne settentrionali. L'elettricità viene fornita soltanto per poche ore al giorno, solitamente al crepuscolo; l'approvvigionamento d'acqua è un compito spesso affidato ai bambini: un tronco di bambù costituisce il bilanciere alle cui estremità sono fissate due taniche di plastica tagliate nella parte superiore, ragazzine di sei-otto anni se lo caricano sulle spalle per fare la spola da un torrente non troppo lontano; le abitazioni sono per il 90% palafitte rialzate per sfuggire eventuali incursioni notturne: qui vivono animali pericolosi quali tigre, leopardo nebuloso, elefante e varie specie di serpenti.
La lancia che ci trasporta da
Chiang Khong a Houay Xai, facendoci attraversare il confine lao-tailandese del Bokeo, sarebbe un mezzo di trasporto obsoleto ed anacronistico nell'occidente ipertecnologico del 2011, ma qui diviene quello più efficiente ed adatto a solcare le cangianti acque del fiume, intrepide e veementi durante la stagione monsonica, placide e languide nel periodo secco. Lunghe e strette come
gondole tra i canali veneziani, esse lambiscono l'acqua con un pescaggio irrisorio rimbalzando da una riva all'altra del
fiume Mekong, vivendo la loro esistenza al servizio di turisti e viaggiatori nel limbo di un confine al confine del mondo. Vedendole dall'alto del piccolo ufficio dell'immigrazione thailandese dove otteniamo un timbro d'uscita dal paese, ci sorge spontanea una domanda:
"Come faremo a trasportare le nostre bici cariche di bagagli dall'altra parte?" Di certo non sui quei trabiccoli gallegianti in cui pure il nostro esiguo peso potrebbe provocare un ribaltamento...pochi minuti più tardi otteniamo una secca risposta alla nostra questione e veniamo prontamente smentiti.
Il cenno del
Caronte thailandese è inequivocabile:
"Porta la bici qui che carichiamo!" dicono le sue mani e noi come ligi scolaretti eseguiamo salendo sul barcollante legno. Un minuto e mezzo di adrenalina trattenendo il respiro per evitare troppi ondeggiamenti e sbarchiamo in territorio comunista.
Il
Bokeo, una tra le province più remote, è il nostro primo approdo tra le montuose terre laotiane. Villaggi, polvere e
tanti cicloviaggiatori in fuga dall'inverno europeo: i primi sono uno strano trio cino-svedese, poi svizzeri, francesi, tedeschi, australiani... le due ruote sembrano avere un'
attrazione fatale per il Laos, il Bokeo e le sue strade tortuose e contorte. Non fatichiamo a comprenderne il motivo già dopo qualche giorno: dovrebbero chiamarle
Montagne laotiane, non Montagne russe, quelle giostre che segnano il passaggio in età adolescenziale di ogni bambino in cui si sale, si scende, si gira e si rigira in continuazione. Le strade del Bokeo e del Laos settentrionale sono tutte così, scavate nella roccia seguono spesso il corso di intricati fiumi che hanno eroso lunghe vallate, per poi deviare repentinamente su un fianco ed iniziare a salire. Salgono dolcemente, non sono mai spaccagambe, ma si inerpicano costanti seguendo l'irregolare conformazione dei pendii, dentro e fuori dai vari conoidi. Serpeggiano interminabili fino a trovare un pertugio che conquisti l'altra sponda, ricominciando in discesa la loro armoniosa danza verso valle. Lentamente le arterie principali perdono fascino per i viaggiatori acquisendo la loro copertura asfaltata che velocizza comunicazioni e trasporti e riduce, senza però azzerare, l'avventura.
La strada che conduce a
Luang Nam Tha, una delle cittadine principali del Bokeo
, è una di esse: asfaltata ormai in gran parte, con l'aiuto dei monsoni stà provando a liberarsi del sigillo bituminoso che limita e lega la sua selvaticità.
Qualche breve tratto è nuovamente in grado di sputare polvere in faccia ai poveri bambini del villaggi che la fiancheggiano ogni qualvolta un tir passi su di essa. Mangiamo polvere anche noi... molta, ma per noi ha solo il
sapore dell'avventura.
Dormiamo per due notti nei villaggi, salendo e scendendo i monti dell'area protetta nazionale di Nam Ha, ricoperti di rigogliose foreste sostituite altrove da infinite piantagioni di caucciù. L'accoglienza è circospetta, indecisa, poi la quotidianità prende il sopravvento e ci mimetizziamo sbirciando gli uomini intenti ad accendere il fuoco mentre le donne si lavano al fiume ed i bambini giocano con i copertoni esausti dei motorini. Cani, maiali, mucche, polli, oche e bufali circolano liberamente tra i sentieri del villaggio ed una copertura di tenebra punteggiata di milioni di stelle cala sul nostro angolo di mondo spedendo tutti a dormire.
Questo articolo fa parte del diario di viaggio tenuto in diretta del progetto Downwind. Se vuoi leggere le altre puntate, ecco qui tutti gli articoli dei nostri dieci mesi in bicicletta nel sud est asiatico. Se avete intenzione di attraversare i confini dei paesi del sud est asiatico, abbiamo approntato una breve guida sulla burocrazia di viaggio nel Sud est asiatico, con consigli su come e dove ottenere visti e rinnovi (ci scusiamo in anticipo se queste informazioni risulteranno sorpassate da nuove disposizioni in materia degli ultimi mesi)
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico