La televisione dell'ostello sta trasmettendo il telegiornale peruviano e le notizie sono come al solito di cronaca nera. Il divanetto è tutto per me e ne approfitto occupandone più della metà. Non so dove sia Leo, forse sta già dormendo, alla fine della trasmissione indagherò. Un formicolio al braccio mi impone di cambiare posizione ed è allora che la vedo. La grossa tarantola pelosa spunta dalle pieghe dei cuscini, disturbata nel mezzo della notte, mi fissa e poi, inaspettatamente, salta verso di me. Un urlo agghiacciante echeggia per la stanza buia.
"Vero, Vero stavi sognando?". Madida di sudore e stordita dal risveglio improvviso, mi guardo intorno in cerca del nemico a otto zampe, non lo vedo e allora lentamente mi ricompongo cercando di togliere dalla testa l'immagine del ragno gigante. È quasi ora di alzarsi e non credo riuscirò più a dormire ormai...
Addio Abancay
Dal centro cittadino uno sterrato taglia i tornanti raggiungendo pendenze esagerate: la osserviamo e scuotendo la testa proseguiamo nell'armonioso traffico cittadino di Abancay seguendo l'asfalto e i tornanti che caratterizzano la strada. Dalla città peruviana si sale ai 4100 metri per poi ridiscendere fino al fiume Apurimac che nasce sul vulcano Mismi ed è considerato il tratto del Rio delle Amazzoni più distante dalla foce. Abancay con i suoi innumerevoli garage per truccare i motori, la spazzatura sui marciapiedi e il caos dell'ora di punta non mi mancherà, finalmente si torna ad alta quota, lontano da tarantole, umidità e foresta pluviale.
Guadagniamo metri importanti, il vento ci allieta e un matesito ( infuso di foglie di coca) panoramico su tavolini intagliati nel legno è l'occasione giusta per una sosta contemplativa.
In bici per il Sudamerica
Il primo cicloviaggiatore incontrato sulla strada si chiama
Carlos ed è colombiano. Dal suo paese è volato a Santiago del Cile, è sceso in Patagonia e poi è risalito seguendo il profilo asimmetrico delle Ande. In bici ha attraversato il Cile, l'Argentina, la Bolivia e quasi tutto il Perù dove raggiungerà la capitale per una meritata pausa dopo undici mesi in viaggio.
Carlos è un entusiasta e ci consiglia dove andare, cosa fare e cosa vedere. Tra i tanti luoghi quello che ci colpisce di più è Choquequirao, una sorta di Machu Picchu sconosciuta e poco frequentata, una città inca immersa nella foresta pluviale, un piccolo gioiello da visitare dopo due giornate di trekking. Se avessimo più tempo ci recheremmo senza indugi, ma i giorni passano e la strada è ancora lunga e, come prima volta in Perù, preferiamo far visita al famoso sito archeologico patrimonio UNESCO, chissà se Tùpac Amaru approverebbe...
Il paese dell'anice
L'ultima parte dell'ascesa non tarda molto a metterci ko. Il cielo si è annuvolato e a dare un pizzico di colore al paesaggio ci pensa uno stormo di
pappagallini verdi rumorosi quanto una banda di ubriaconi in una bettola di periferia.
Lo scollinamento è dolce e nessun cartello indica l'impresa. Siamo vicini al bivio per Choquequirao e la tentazione è forte, ma siamo consapevoli di non poter vedere tutto e il richiamo delle rovine inca di Machu Picchu oltre il fiume Apurimac ha la meglio. La discesa ha il sapore di una caramella mou che una volta in bocca non la vorresti mai finire. Paesi minuscoli si susseguono veloci mentre il vento accarezza le fronde dei pochi alberi e i nostri capelli già spettinati. Il cartello di benvenuto a Curahuasi appare a bordo strada come un miraggio:
"the world capital of Anise", la capitale mondiale dell'anice, chi l'avrebbe mai detto?
Dalla via principale case pastellate ornano le arterie secondarie fino a dove può spaziare la nostra vista, l'insegna di una panaderia risveglia l'appetito assopito dalla lunga pedalata e l'accogliente hostal San Cristobal ci convince a trascorrere una notte a Curahuasi per sorseggiare un thè all'anice in uno dei ristorantini di questo piccolo borgo peruviano.
Profumo di Rio... delle Amazzoni
Pane con queso e succo di ananas o zuppa sono
la colazione tipo degli avventori del locale a bordo strada. Un camionista che sta viaggiando attraverso il Perù con la famiglia consegnando uova ci racconta le meraviglie di Cusco mentre finiamo di addentare il pane morbido con la fetta di formaggio di pecora. Lui raggiungerà l'antica capitale Inca a fine mattinata, noi ci impiegheremo ancora tre giorni.
Da Curahuasi la strada continua a scendere in picchiata verso il Rio Apurimac. I tornanti si fanno sempre più tortuosi e, guardando in giù, sembrano scomparire nelle acque torbide del fiume. Tocchiamo i 1800 metri, quota da tarantola, e subito ne appare una spappolata nella polvere. Le gambe tremano e comincio a spingere sui pedali per salire più in alto possibile il prima possibile.
La milanesa più grande del mondo
Il bivio per la strada sterrata in direzione di Mollepata ci fa pensare al racconto di viaggio di un cicloviaggiatore in internet dove venivano raccontate con fervore le pendenze esagerate del camino per Machu Picchu, il sito archeologico del Perù che in linea d'aria sorge a pochi chilometri dalle nostre ruote. Mentre penso che se avessi avuto la bicicletta più leggera non mi sarebbe dispiaciuto tentare l'impresa l'insegna di un ristorante mi riporta sulla Terra e la pancia inizia a brontolare. L'ora è quella propizia e Leo non può far altro che acconsentire.
Il menù propone milanesa con patatine, lomo saltado o pollo alla griglia: scelgo la milanesa con papas fritte e appena scorgo il piatto uscire dalla cucina mi si illuminano gli occhi. La bistecca impanata è più grande della ceramica che la contiene e ancora frigge bollente... un lauto pranzo invidiato anche dal mio compagno cicloviaggiatore.
Lavori in corso
Da
Limatambo la strada serpeggia verso il
passo di Huillque ma la pioggia battente di questa stagione delle piogge che non vuole arrivare, a detta dei peruviani, ci impedisce qualsiasi distrazione dalla strada. Quando l'acqua cessa di cadere copiosa dal cielo, quando i vestiti gelati si sono un pochino riscaldati, quando la zuppa di ceviche della baracca trovata per caso è terminata, spunta il sole e l'asfalto liscio si trasforma
verso Huaracondo in un divertente sterrato.
Tierra y libertad, un'esplosione di colore sul muro del paese mi fa tornare in mente
il film di Ken Loach ma anche le battaglie dei campesinos del Sud America che in certe zone rurali sono sempre troppo poveri nonostante si spacchino la schiena lavorando una vita intera, ma al mondo la giustizia non esiste e questo l'ho capito da quando sono diventata grande.
All'uscita di Huaracondo troviamo una sorpresa: la carretera verso Ollantaytambo e la valle sacra degli Inca che pensavamo di percorrere è chiusa per lavori in corso. Ci guardiamo perplessi prima di annuire con un cenno della testa: siamo in bicicletta e in bici riusciamo a passare praticamente ovunque.
Per diversi chilometri pedaliamo tranquilli senza che niente e nessuno ci disturbi, poi inizia il caos.
Caterpillar, ruspe, frane innescate, nubi di polvere continue, ogni cento metri siamo costretti a fermarci ed aspettare che gli addetti ai lavori ci facciano procedere, ma nessuno ci rimanda indietro, nessuno ci insulta, tutti sorridono, si incuriosiscono, salutano... il potere della bici. Costeggiamo la suggestiva ferrovia che collega Cusco a Machu Picchu, la stessa ferrovia che non ci possiamo permettere per il costo proibitivo.
Lo sterrato insieme ai binari percorre un canyon dalle rocce rossastre sormontate dal cielo che è tornato blu. Una discesa finale, breve ma piuttosto accidentata, ci porta sull'ultimo tratto asfaltato per Ollantaytambo.
Siamo nella Valle Sacra degli Inca circondati da vette abitate da condor e vigogne, siamo quasi a 3000 metri nel cuore di quello che prima dell'arrivo degli spagnoli fu il più grande regno del Sud America, siamo nel cuore del Perù in bicicletta!
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