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Cina, l'invasione degli ultracorpi - quarta parte (il Millino)
Scritto da Mag
Domenica 14 marzo 2010 – gg 152
Per evitare ressa, abbiamo deciso di visitare il centro di Lijiang solo di prima mattina e nel tardo pomeriggio. Durante il resto della giornata ci dedicheremo ai dintorni. Lijiang Shuhe è un villaggio satellite ad una manciata di chilometri a Nord, raggiungibile con un bus cittadino (1Y) che come la maggior parte dei bus si ferma di fronte all’indegna piazza precedentemente descritta. Shuhe, non è nient’altro che la fotocopia rimpicciolita del centro di Lijiang, anche qui, passato e presente si prendono a pugni e le strade sono affollate da mandrie di cinesini in vacanza.
Seduti al tavolo del “Mamma Mia” dove ci fermiamo a pranzare facciamo la conoscenza di Francesco e di Sergio: il primo, un ragazzone sulla quarantina, insieme ad un amichetta a mandorla, gestisce il suddetto ristorante italiano, ma in realtà credo che faccia tutto lei. Lui pare che non abbia neppure coscienza di dove si trova. Il secondo invece, nonostante la faccia pulita e rispettabile come quella di un impiegato di banca, è un viaggiatore duro e puro. Ormai da più di trent’anni (e ne ha cinquantacinque) vaga per il mondo: ogni tanto va in Australia o Nuova Zelanda, lavora per qualche mese e riparte. Nessuna casa, nessuna proprietà, nessun legame, solo una sorella in Italia a cui spedire una cartolina a Natale (stile di vita un po’ estremo che può fare solo chi ha una grandissima passione).(…) Un po' più a Nord, il villaggio di Baisha, raggiungibile da Lijiang con un minibus (3Y) o da Shuhe con una piacevole passeggiata tra i campi, è al momento della nostra visita una piacevole alternativa al precedente. Quasi privo di negozi di souvenir e comitive, ospita un palazzo e qualche bancarella, ma pare essere famoso più che altro per la clinica del Dott. Ho. Chi sia in realtà questo signore col camice bianco non saprei dirlo, forse un medico, forse un erborista, sicuramente un simpatico vecchietto con una sala d’attesa gremita di contadini e un sacco di pazienza. Trova tempo anche per noi, ci intrattiene per mezz’ora raccontandoci un pochino la sua vita, di quando da giovane andava a raccogliere le erbe sulla “Montagna del Drago di Giada dal Corno Bianco” (ma perché i nomi cinesi sono sempre così lunghi? Fa schifo un nome come Cervino?!… oppure Mottarone ??) Comunque, in cambio di un'offerta ci dà una tisana che ancora oggi Sabri tiene come reliquia su una mensola in camera. A proposito della “Montagna del Drago di Giada”, pare strano che un' escursione sui monti (che, da mondo e mondo, sono in salita, e sui quali difficilmente si trovano strade asfaltate) sia tanto in voga tra le agenzie di Lijiang. La ragione è semplice, ecco come funziona: i maxi autobus a due piani conducono i piccoli cinesini in vacanza fino ad un parcheggio alle pendici del monte; da qui una modernissima funivia li porta fino in quota dove troveranno un'attrezzata struttura turistico-ricettiva, dalla quale poi, inizia una passeggiata sopraelevata larga e comoda in ferro e cemento che arriva quasi fino alla vetta.
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Verso le cinque del pomeriggio, proprio all’orario della rituale birretta quotidiana, la mia attenzione viene catturata da alcune persone che sotto ad un porticato ridono e scherzano bevendo Beerlao (cazzo, la quasi introvabile nonché buonissima birra scura Laotiana! Altro che le pessime birre cinesi color cedrata). Così mi accorgo subito di essere capitato alla festa di inaugurazione di un locale gestito da occidentali, senza riflettere un istante ci imbuchiamo. Tra una bottiglia e l'altra, ovviamente gratuite, incontriamo Diego, avrà al massimo trent’anni e, tutto da solo, ha messo in piedi un ristorante in centro. Dice che gli affari vanno molto bene, pare che la nuova classe media emergente abbia una gran voglia di spendere e di far vedere la faccia in giro… un po' come da noi insomma!! Io rimango esterrefatto, in vita mia è la prima volta che sento degli imprenditori che non piangono miseria. Purtroppo Diego sarà il terzo ed ultimo compatriota che avremo il piacere di incontrare durante il nostro soggiorno cinese. Ancora più a Nord di Baisha, si trova il Fuguo Monastery. La passeggiata di un'oretta si può fare anche a piedi, la strada attraversa piccoli gruppi di case per poi inerpicarsi sulle colline tra i boschi; nonostante sembri essere un posto fuori dal mondo, quando arriviamo noi, troviamo un cantiere edile ed un set cinematografico con tanto di attori in costume e cineprese. Per l'ennesima volta troviamo qualcosa che non avremmo voluto trovare, non ci resta che rientrare costeggiando la nuova deserta larghissima statale, che passa appena lì dietro. Fortunatamente ci incrocia sulla strada un Lama, che vedendo due sagome ciondolare tristemente sul ciglio dell'asfalto, ferma il suo suv per offrirci un passaggio fino a Lijiang. Ancora una volta la cortesia e la gentilezza del popolo cinese ci ha sorpresi aiutandoci inaspettatamente e trasformando una piccola delusione in un sorriso.
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Martedì 16 marzo 2010 – gg 154
Abbiamo preso l’abitudine di far colazione al Mama Naxi Guest-house, un po' perchè costa poco, ed un po' perché il padrone parla un filo di inglese. Seduti ai tavoloni di legno in veranda, tra un uovo sodo ed una crepe alla nutella si parla con tanta gente: viaggiatori, perditempo, giramondo, è diventata una piacevole occasione per scambiarsi informazioni e punti di vista. Una mattina vedo un cinese che bussa alla vetrata e ci fa segno di uscire in strada. Dice di chiamarsi Roger, parla un buon inglese e fa la guida turistica per occidentali, (un lavoro senza futuro, le presenze saranno calate dell’80% negli ultimi cinque anni) ci propone delle escursioni, facciamo presente che i nostri gusti sono radicalmente differenti da quelli del suo popolo. Per la prima volta ci sentiamo compresi, concordiamo
un'escursione in collina, tra i villaggi dell’etnia Yi, (130Y). A dir la verità, Roger non è l’unica guida per occidentali che opera in Lijiang, ce ne sono due. L’altra è la sua ex moglie che abbiamo conosciuto ieri. Lei ci ha messo in guardia nei confronti dell’ex marito, dicendoci che è poco serio, che è un confusionario, uno smemorato ed un donnaiolo ma noi abbiamo comunque deciso di ingaggiarlo. Il motivo è semplice: la signora (precisa e professionale) è decisamente sovrappeso e difficilmente avrebbe retto un passeggiata di due ore in salita per arrivare nel primo di una decina di paesini dove non ci sono strade carrabili. Ecco come si è svolta l’escursione: il taxi ci viene a prendere davanti all’‘ignobile piazza’, Il tassista conduce noi e la guida fino ad un paesino non identificato; da qui imbocchiamo una mulattiera in salita; durante la salita faccio un cazziatone a Roger che pare si sia dimenticato i patti e fa confusione con le etnie; dopo un'ora e mezza arriviamo nel primo villaggio dell’etnia Yi (figata); seguiamo il sentiero che, nelle prossime ore, attraverserà boschi, valli, villaggi in un clima da vera vecchia Cina (durante tutto il tragitto non incontriamo neppure un Han). A metà pomeriggio Roger si perde e sbaglia strada; verso le cinque si ritrova e sbuchiamo al Zhiyun Temple, un tempio tibetano lamaista molto bello, è chiaro però che l’idillio è finito. Dietro al tempio c’è un grosso cantiere, stanno costruendo il nuovo tempio… almeno non stanno distruggendo il vecchio (per ora).
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Appena a sud del centro di c’è lo Zhong Yi Marchet, che oltre a essere un movimentato mercato giornaliero dove si possono mangiare rane, tartarughe, cavallucci marini ed un sacco di altre specie in via di estinzione, è il posto da cui partono i minibus. Proprio da qui partono i minibus diretti al Zhiyun Temple, oppure al Puji Monastery. Quest’ultimo è un piccolo monastero (al momento) intatto, anche perché per ora non vi è alcuna strada che ci arriva; il pulmino si ferma al paese sottostante e per arrivarci bisogna seguire una mulattiera tra i boschi. La sera solitamente stiamo a Lijiang, ma prima di buttarci in quel turbinio di corpi sudati di famigliole in astinenza da acquisti che si accalcano nei negozietti o di rampolli adolescenti delle famiglie bene dell’est, che escono già ubriachi alle otto dai disco pub nei quali hanno trascorso il pomeriggio, ci prendiamo una pausa seduti sul dondolo nel minuscolo cortiletto della nostra guest house in compagnia della signora che lo gestisce. È usanza, dopo qualche minuto di conversazione (anche se nessun concetto viene recepito dall’altro interlocutore) bere insieme un tè. Il tè della qualità Pu’er è tipico di questa regione, si ritiene anche essere molto pregiato ed è piuttosto caro. Si può acquistare quasi ovunque qui a Lijiang, ed è venduto solitamente in panetti di foglie pressate dalla forma circolare alta pochi centimetri. Infatti, anche stavolta, ci vengono offerti i bicchieri già colmi di quell’orrido infuso. Rifiutare è impossibile, sarebbe un sacrilegio, se lo facessi probabilmente mi verrebbe tagliata la testa immediatamente... quindi, anche stavolta, mi sforzerò di berlo, nonostante proprio non mi piaccia. Sarà pure di qualità superiore, non discuto, ma nonostante ne abbia già bevuti una dozzina, sta roba proprio non riesco ad apprezzarla. Ma come fanno questi a bersela da 800 anni*? Bisogna avere le papille gustative fritte per mandarla giù, a me sembra di bere l'acqua del water scaldata. Ci mettessero almeno lo zucchero!!!… e pensare che il primo tè, avendo paura di non trovare l'occasione per berlo, me lo sono pure comprato, pagandolo quasi come un birra… che pirla! * Effettivamente, a pensarci bene, tra doberman arrosto, zampe di gallina sotto vuoto e zuppe liofilizzate dall'odore nauseabondo e degli ingredienti sconosciuti, forse il tè è il meno peggio.
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Mercoledì 17 marzo 2010 – gg 155
8:30 autostazione di Lijiang - 12:30 autostazione di Shangri-la; bus n°1 fino in centro. Il clima qui è decisamente diverso, il cielo è terso, ma l’aria è fredda. Durante il giorno arriva sui 20° ma di notte scende sotto zero; anche i frequentatori sono cambiati, le strade sono semideserte, (probabilmente per i gruppi è bassa stagione) ed il rapporto ospiti-padroni di casa, passa da 1 su 1000 ad 1 su 50. Lungo le strade acciottolate della città vecchia le attività sono quasi tutte chiuse, ma quelle poche aperte sono carine ed accoglienti, hanno una stufa accesa e si può pure chiudere la porta. Anche le guest house offrono agli ospiti docce calde e coperte elettriche. Nonostante l’indice di cantierizzazione non sia molto alto, ed il monastero con la grande ruota di preghiera in cima alla collinetta nel parco della tartaruga sia in ottimo stato di conservazione, i segni inequivocabili del adeguamento turistico non si fanno attendere. La piazza principale, lastricata in granito, con tanto di statue leonine, mega fontana monumentale e l’immancabile ruscelletto, è il sintomo di un inevitabile destino. Con lo spirito oramai rassegnato, sapendo che non riusciremo mai ad abituarci ai continui interventi quasi mai migliorativi, tentiamo la sorte e cerchiamo di visitare, già oggi, il grande tempio Songzanlin (Sumtselling Gompa). Purtroppo qualcosa va storto, il bus n°3 che abbiamo preso in centro si ferma poco dopo la rotonda a nord della città. Un militare ci fa scendere e mentre il bus riparte ci accompagna in una grande struttura (tipo centro commerciale) per acquistare il biglietto (120Y). L’ennesima Disneyland!… e poi che rincari !!! Ripieghiamo, per oggi si desiste… ma torneremo meglio attrezzati, è una promessa.
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Giovedì 18 marzo 2010 – gg 156
Riproviamo ad andare allo Sumtselling Gompa, ma questa volta non vogliamo entrare dall’ingresso principale, ma bensì dal retro. Ieri sera un ragazzo danese conosciuto al ristorante ci ha informati dell’esistenza di un sentiero che aggira la biglietteria e permette di entrare gratis. Su un tovagliolo ci ha disegnato una mappa, piuttosto vaga ma comprensibile. Seguiamo la strada che va verso Deqin, dopo un paio di chilometri imbocchiamo un sentiero sulla destra, che ci porta ad attraversare un villaggio. Accidenti mi rendo conto ora che l'architettura delle case è decisamente cambiata, questi sono villaggi tibetani. È la prima volta che ne vediamo uno. Le case in pietra e fango hanno porte e porticati finemente decorati, le grandi finestre sono decorate con colori vivaci ed un tettuccio spiovente ne ripara la parte superiore. I pilastri in legno, che sostengono la struttura, hanno sezioni notevoli e le stanze interne sono grandi quanto un monolocale milanese, solo il gabinetto è un po' angusto (un buco tra assi di legno nella torretta d'angolo del cortile). Lungo il sentiero sono stati costruiti muri di preghiera dove pellegrini possono deporre le pietre su cui hanno inciso mantra, ed in lontananza possiamo già vedere il tetto d’oro del Gompa sormontato dal Dharmachakra in compagnia di due antilopi. Appena arrivati al Chora, con il grande muro bianco bordato di rosso e nero come le pareti degli edifici sacri alle sue spalle, ci intrufoliamo attraverso una porta di servizio. Cercando di non farci notare, scaltri e furtivi con un camion di eternit verso una discarica abusiva, arriviamo fino al tempio principale.* Accortici che nessuno si cura della nostra presenza, ed avendo già visto quello che ci interessava vedere, decidiamo di fare un giro più ampio. Non avendo esperienze precedenti non sappiamo come giudicare questo complesso religioso, certo è che, passeggiare sotto le bandierine colorate, poter osservare da vicino uno stupa e far girare le ruote di preghiera è una sensazione impagabile tant'è che quasi non notiamo quella gru e quelle betoniere posizionate proprio in cima alla collina. *Nei Gompa spesso i templi principali sono due: il primo, solitamente più piccolo ed alto, contiene una statua di Buddha sovradimensionata rispetto all'edificio stesso, quasi da non lasciare spazio attorno, ai piedi della statua un altare colmo di offerte e profumatissime lampade al burro. Nel secondo invece, molto più ampio e basso, si trovano tavolini e poltroncine in velluto rosso, una foto del Dalai Lama sul fondo e lungo le pareti vetrinette contenenti libri, drappi e altri oggetti sacri. Il porticato antistante, finemente decorato e solitamente coperto da un tendaggio nero molto pesante, i fedeli pregano all'esterno davanti alla porta chiusa.
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Venerdì 19 marzo 2010 – gg 157
È ancora tutto ghiacciato, fa un freddo porco, il sole è sorto da poco e noi siamo già sull’incrocio della Tuaniie Lu a cercare un passaggio per andare a Benziland. Passa una monovolume con tutti i vetri brinati, un cenno, si ferma. 80 chilometri a viaggio, un paio d’ore per andare ed altrettante per tornare, altre tre per la visita ed il pranzo. Dovremmo essere di ritorno per le due del pomeriggio; chiudiamo la trattativa a 300Y. Quando arriviamo al Dhondrupling Gompa, non c’è nessuno, solo una manciata di pellegrini che recitano mantra ossessivi mentre fanno girare la ruota di preghiera e una decina di monaci con la testa rasata e l'abito porpora. (non hanno l’aria di gente che si lava spesso, è comprensibile, con sto freddo... e poi quando c'è la spiritualità...) Uno di loro ci viene incontro, e dopo averci fatto pagare il biglietto (30Y), ci accompagna all'interno del Gompa. Finalmente qualcuno che parla due parole d'inglese. Durante un'accurata visita nella quale visioniamo svariate e curiosissime statue di Buddha, e ci viene spiegata la differenza tra Mantra e filosofia (che come tutti ben sanno sono le due parti fondamentali del buddismo Mahayana o tibetano), buttiamo lì qualche domanda inerente al governo, alle condizioni dei monaci, al Dalai Lama. Il monaco è un po' restio a confidarsi, rimane abbottonato, alla fine riusciamo soltanto capire che almeno qui per il momento non sono previsti grossi cambiamenti e che i soldi del biglietto rimarranno a loro per le piccole opere di manutenzione. Dopo aver visitato con estrema calma il piccolo paesino monastico, rassicurati al pensiero che almeno questo Gompa non corre pericoli immediati ci rimettiamo in auto. Una mezz'ora dopo aver lasciato Benziland troviamo un cartello in mezzo alla strada che cita: “strada chiusa per lavori” (ovviamente in cinese), strano! siamo passati di qui tre ore fa, e la strada era libera. Beh, non c’è nessuno. -“Proseguiamo!” dico io.“ Quando troveremo la vera interruzione ci metteremo da parte, magari per allora si potrà passare.” -“Impossibile !” mi cazzia subito l’autista. -“Va bene, allora aspettiamo.” Arriveremo in città alle otto di sera, ovvero, con sei ore di ritardo. La ragione è semplice: il governo se ne frega dei cittadini, chiude e apre le strade a suo piacimento senza dare il benché minimo preavviso. Ora stanno potenziando la strada da Deqin a Lhasa ed è in progetto anche una ferrovia tra Lhasa e Kunming. Ma se gli piace così tanto fare strade perché non ne costruiscono una per andare a Vancouver?? (Nonostante il terribile immenso ritardo, il tassista non ha fatto una piega, non ci ha chiesto nemmeno uno yuan in più. Abbiamo dovuto insistere per lasciargli una mancia di 30Y.)
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Lunedì 22 marzo 2010 – gg 160 senza vino
Siamo tornati a Lijiang per godere ancora per qualche ora del suo clima estivo. Oggi è l'ultimo giorno, passeggiammo tra le viuzze che ormai conosciamo a menadito, nel cuore c'è già un pizzico di nostalgia per questo sud cinese che ci ha dato, tra amarezze e delusioni anche tante… boh… qualcosa! Non so esattamente cosa, ma qualcosa di bello presumo*!!! “Addio, Yunnan ‘dalle cento torri’**”; domani voleremo fino a Pechino. Passeremo dalle campagne alla città, dalla periferia dell’impero alla capitale, dalle stelle alle stalle, dalla padella alla brace!
*No, è uno scherzo, in realtà è stata un'esperienza notevole.
**Come soleva dire un mio amico quando se ne andava da un posto che gli era piaciuto molto.
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L'avventura di Mag e Sabri in Cina è finita, ma se vi siete persi qualche capitolo, potete sempre tornare indietro per leggere la prima parte, la seconda parte o la terza parte. Se invece preferite cambiare area, che ne dite di spostarci insieme a Israele?!?
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