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Uzbekistan in bicicletta: nel cuore della via della seta

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Ho sempre desiderato viaggiare il mondo. Nel corso del tempo, ho accumulato un immaginario di luoghi mitici che mi piacerebbe visitare prima o poi: l’Etiopia, l’India, la Polinesia, il Perù; Timbuctu, Petra, Damasco, Sana’a. Ma l’Uzbekistan? Ecco un paese che non era mai entrato nel mio orizzonte prima di sapere che l’avremmo attraversato in bicicletta lungo il nostro itinerario verso la Cina.
Anche dopo averlo saputo, a dire il vero, è rimasto un punto interrogativo stampato sulla mappa, tra l’immenso deserto turkmeno da dribblare in 5 giorni e le serrate montagne del Kyrgyzstan a est, un’appannata nebulosa con un solo punto focale: la leggendaria città di Samarcanda, l’emblema stesso del mito occidentale delle “Mille e una notte”, il cui solo nome basta a rievocare i colori screziati di sfarzose carovane, i sensuali aromi di spezie sconosciute, i profili arabeggianti di cupole dorate.
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Non solo Samarcanda

Non ci poteva essere mezzo migliore della bicicletta per scoprire che l’Uzbekistan è ben altro che la vasta campagna sparpagliata intorno a questa celeberrima città. Il bello di viaggiare in bici è che offre una visuale diversa sul mondo: così davanti al nostro quotidiano, lento pedalare, la terra uzbeka ha sgranato di giorno in giorno la sua succosa cornucopia di impressioni ed esperienze.

Covo di cicloviaggiatori

La tappa uzbeka si è rivelata memorabile per una serie di coincidenze che ci hanno regalato inaspettate occasioni di spasso. Innanzitutto, poiché alla dogana siamo stati prontamente informati che sarebbe stato obbligatorio registrarsi in un albergo ogni 3 giorni di viaggio, abbiamo inizialmente pensato fosse il caso di rispettare l’indicazione. Arrivati a Bukhara, la prima città dopo il confine turkmeno, ci siamo così ritrovati ad alloggiare in un vero e proprio covo di ciclo-viaggiatori, con cui abbiamo trascorso un paio di giorni in allegra compagnia a scambiarci consigli e racconti di viaggio. La stessa cosa a Samarcanda, dove siamo stati subito intercettati da una coppia di inglesi che viaggiano intorno al mondo… in tandem! Con grande dispiacere di Alessandro, non abbiamo avuto la possibilità di “gareggiare” con i nostri primi colleghi tandemisti – e meno male, aggiungo io, perché di mangiare la polvere delle strade uzbeke sulla scia di un campione di triathlon e una di canoa non mi andava neanche un po’ (il loro blog: http://shesnotpedallingontheback.com).
Gli inglesi infatti, come tutti gli altri ciclo-viaggiatori di lungo raggio incontrati finora, seguono un itinerario completamente diverso dal nostro: attraversano solo una piccola porzione del territorio uzbeko e dopo Samarcanda virano a Sud verso il Tajikistan, diretti verso le ardue vette del Pamir. Noi non ci cimenteremo nell’impresa, un po’ perché non siamo abbastanza attrezzati per affrontare i passi da quasi 5000 m su strade sterrate estremamente impegnative, isolate e in pessime condizioni come sono descritte quelle tagike, un po’ per risparmiare almeno sul visto del Tajikistan, un po’ perché il visto cinese ottenuto a Teheran ci vincola a entrare in Cina entro 3 mesi (che sono appena sufficienti per coprire in tandem i lunghi chilometri di pianura uzbeka e le montagne kirghise).
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Accoglienza speciale

Preferiamo goderci con calma l’Uzbekistan nella sua interezza, e per noi si rivela un’ottima scelta. Attraversiamo infatti zone inesplorate e molto piacevoli da pedalare, dove nessuno sembra aver mai incontrato personalmente degli stranieri (tantomeno in tandem!) e tutti ci riservano perciò un’accoglienza speciale: nei paesi suscitiamo invariabilmente l’interesse e spesso l’ilarità generale, diventando l’attrazione principale di una nutrita folla di curiosi. Non appena poi il nostro pubblico ci sente rispondere con qualche parola in turco alle domande rivolte in russo, l’entusiasmo sale alle stelle e si spalancano all’istante le porte dell’ospitalità e del buonumore.

Maestosa Bukhara

Il clima è decisamente diverso nelle città turistiche. Bukhara è stata in realtà una gradita sorpresa, una cittadina maestosa ma tranquilla che ricorda una roccaforte nel deserto, guarnita com’è da imponenti architetture color sabbia che il tramonto frange in mille screzi ocra e oro sui lastricati lucidi di ariose piazze gremite di venditori e visitatori, che scompaiono dietro l’angolo con tutto il loro vociare poliglotta non appena s’imboccano le strade ombrose della medina, dove i vecchi seduti all’uscio e i bambini che si rincorrono sui marciapiedi continuano indisturbati i loro giochi millenari mentre i giovani sono altrove impegnati a guadagnarsi il pane con il business del turismo.
Un’altra coincidenza capitata a Bukhara è stata quella di trovare un copertone Schwalbe. Gli Schwalbe Marathon Mondial cambiati circa 4000 km fa in Turchia non sono durati quanto previsto (quelli di ricambio ci aspettano in Kirghizistan!): uno è esploso su una strada asfaltata in Iran – lo pneumatico iraniano che lo ha sostituito si è rivelato molto migliore delle mescole cinesi; l’altro presenta evidenti segni di cedimento sulla spalla. Il servizio clienti ce ne ha gentilmente mandati una coppia di ricambio al nostro indirizzo… in Italia! Per fortuna, mentre compriamo un succo di frutta in un anonimo market sulla strada principale in uscita dalla città, ci cade l’occhio sulle componenti di una fila di biciclette in riparazione davanti al negozio. Alcune montano pneumatici Schwalbe, usati ma ancora in buone condizioni. Ce ne aggiudichiamo uno per 40 mila som (circa 8 euro).
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Turismo di massa a Samarcanda

Siamo invece rimasti un po’ delusi da Samarcanda. Il recente restauro ha tolto ai luoghi monumentali che rendono famosa la città ogni traccia di atmosfera vissuta e autentica: tutto sembra esposto in vetrina, comprese le madrase del Registan infestate da bancarelle di souvenir dozzinali e il viale che collega la celebre piazza con la moschea di Bibi-Khanym trasformato in un susseguirsi di negozi di paccottiglia. Alessandro si impunta a non voler contribuire a questa commercializzazione dell’antico restaurato “alla russa” (a favore, cioè, di turisti noncuranti e danarosi), ma quando i guardiani mi vedono entrare da sola lo fanno passare senza pagare il biglietto, sia al Registan che ai mausolei di Shah-i-Zinda.
Questi ultimi rappresentano l’unico sito che ci ha davvero incantato, per l’aura scenografica e suggestiva sprigionata dai toni indaco e cobalto del mare di maioliche blu decorate di intricatissimi ricami floreali. Clou di Samarcanda è il bazar, che anche se ripulito e ordinatissimo, offre tutto il vasto repertorio del vero monumento del paese, il succulento frutteto uzbeko.

Paradiso Uzbeko

L’itinerario insolito ci permette di goderci tutta la bellezza dell’Uzbekistan. Molti ciclo-viaggiatori non provengono dall’Iran, ma dal Kazakistan, e attraversano perciò tutto il deserto del Kizilkum dal lago di Aral fino a Samarcanda, soffrendo per il caldo torrido e il micidiale vento contrario. Noi invece pedaliamo senza difficoltà la piana fertile centrale, seguiamo il corso del fiume Angren, risalendo fino al passo di Kamchik a 2200 m, e discendiamo nella valle di Fergana, che si estende fino al Kirghizistan occidentale.

A tavola... con cautela

Il cielo è soleggiato ma l’aria ancora fresca, la temperatura ideale per pedalare, la stagione perfetta per gustare fragole, nespole, ciliegie e albicocche e assaggiare i primi meloni e i cocomeri di Fergana, i più famosi al mondo. Un motivo in più per rimpinzarci di frutta è lo spauracchio dell’intossicazione alimentare, che, a quanto pare tipica di ogni viaggio in Uzbekistan, non risparmia neanche noi.
Ci sarebbero sì piatti saporiti e apprezzabili: oltre le onnipresenti somsa e manti (pasta ripiena di carne di pecora, al forno o bollita), troviamo deliziosi spiedini di carne di capra e il piatto nazionale, il palau, riso soffritto con verdure e pezzi di carne. Ci frega invece un wurstel che ci offrono in un baracchino per cena; ci vuole un’intera giornata sdraiati in un frutteto per riprenderci dagli svenimenti.

Strade e stradine

Le strade non sono, purtroppo, perfette come il tempo, anche se dopo il Turkmenistan non sentiamo neanche più le buche! L’asfalto è spesso sconnesso, e basta deviare dall’unica statale principale per trovare sterrati pieni di fosse che collegano i villaggi. Ma il traffico è molto limitato, tutti i mezzi a motore usano il gas, e ci divertiamo troppo ad entrare nell’intimità della vita di campagna, perciò prediligiamo il più spesso possibile le strade rurali.
Da Bukhara a Samarcanda ci impelaghiamo così in un dedalo di viuzze solcate da carretti trainati da asini o tricicli a pedali, dove siamo sempre inseguiti da ragazzini in bicicletta che vogliono fare a gara con noi – e una volta perfino da uno sparuto asinello fustigato dall’anziana padrona con tanto di nipotino in groppa! Anche per entrare nella città più famosa dell’Uzbekistan ci troviamo inseguiti da un vecchietto su una bici sferragliante che spinge come un matto con un carico esagerato di foglie di gelso; dopo che ci supera per ben due volte gli restiamo rispettosamente alle costole fino al trionfale ingresso a Samarcanda.
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Valle Fergana e seta

Lungo il fiume Angren la statale, che si è trasformata in un mosaico di lastre prefabbricate di cemento, diventa molto trafficata nelle ultime ore della giornata, ma superato il passo torna l’asfalto e la strada è solo per noi. Nell’interminabile discesa la montagna rocciosa, ultima propaggine della catena del Pamir, si appiattisce bruscamente in una piana vasta e brulla, la valle di Fergana, che si anima dopo la città di Kokand in una serie fittissima di villaggi agricoli, zona di provenienza delle dolci angurie per le quali si dice i khan si facessero guerra per il possesso della regione e centro di produzione del prezioso tessuto che diede nome e ragion d’essere a questa via di comunicazione tra oriente e occidente.
A Margilon ci fermiamo a visitare una fabbrica storica dove la seta viene ancora prodotta, filata, tessuta e tinta con metodi completamente artigianali, un tuffo nella storia della Via della Seta che si riverbera nei ritmi pacifici della vita rurale d’oggi. Pedaliamo sempre in mezzo a campi sterminati di cotone, grano e alberi da frutto, contornati da filari di gelsi; il paesaggio sembra il ritratto d’un’altra epoca: gruppi di bambini grondanti d’acqua vociano allegri al limitar dei fossi, uomini dai denti d’oro seduti all’ombra dei pioppi vendono succo d’albicocca da botticelle di legno piazzate a bordo strada, donne avvolte in lunghe vesti e fazzoletti colorati annodati intorno al capo sfornano somsa e pagnotte tonde dalle bocche dei forni a pozzo, e contadini di ogni sesso ed età sono intenti a potare i gelsi con cui vengono nutriti gli onnipresenti bachi da seta. 
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Vita quotidiana di un cicloviaggiatore

Nonostante le campagne siano densamente popolate, non è difficile trovare un posto dove campeggiare: lungo i canali scavati tra i campi, che spesso sono ottimi posti dove fare una nuotata rigenerante; in mezzo ai frutteti, dopo aver chiesto ai contadini sempre presenti in campo, che non hanno mai rifiutato e spesso ci hanno poi rifocillato; oppure, nelle zone più abitate, nei cortili delle case, dove le famiglie sono sempre state disponibili ad ospitare la tenda sulle pedane o ad invitarci a dormire e mangiare con loro.
La giornata finisce presto, ma inizia più presto ancora: alle 5 del mattino le campagne sono già tutte in fermento, e se si perde l’alba è difficile cogliere un’altra occasione di un momento di solitudine per fare la pipì. Rispettare la registrazione ogni 3 giorni per noi non è stato fattibile, abbiamo alloggiato in albergo solo a Bukhara, Samarkanda e Kokand, la città di ingresso alla valle di Fergana.
Al confine in uscita l’ufficiale alla dogana ci ha effettivamente chiesto i foglietti delle registrazioni, che ha sembrato esaminare in dettaglio; ma, nonostante mancassero molte tappe, non ci ha fatto alcun problema. Il confine che attraversiamo dalla cittadina di Khojabad verso Osh è una lunga strada spesso sterrata che si snoda tra pittoreschi villaggi animati e sperduti.
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Ultima sera in Uzbekistan

L’ultima sera in Uzbekistan siamo invitati a dormire da una famiglia nell’accogliente veranda davanti casa, con i bambini che servono la cena preparata sul fuoco all’aperto dalla mamma, il padre che tenta di scambiare qualche convenevole in un semi-incomprensibile dialetto turco, e la nonna che ci cede il suo letto al riparo sotto alla tettoia per andare a sdraiarsi su una branda scricchiolante in mezzo all’orto. Il giorno dopo le donne di casa preparano l’usma, una mistura d’erba tintoria (il guado cinese) che applicano a loro e a me per tatuare le bellissime, nerazzurre sopracciglia unite delle donne uzbeke.
È stato un bel saluto alla fertile campagna dell’Uzbekistan, che ci ha regalato dolci momenti di incontro con la sua quieta e genuina cultura rurale, ravvivando una volta di più il senso del nostro viaggio in bicicletta. Così, mentre ci allontaniamo dalla stella offuscata della sua reliquia più famosa, Samarcanda, ci rammentiamo che il viaggio non è affatto una collezione di cartoline di luoghi famosi o una caccia al tesoro, ma anche che il tesoro si trova dove meno te lo aspetti, come risuona nei celebri versi del poeta Flecker:
Dolce la sera allontanarsi dalle mura in sella,
calcando le ombre ormai giganti sulla sabbia,
mentre il silenzio soffia un’eco soffice di squilla
lungo la strada d’oro per Samarcanda.
Non viaggiamo così, soltanto per andare;
ben più focoso vento i nostri cuori infiamma:
per la sete di sapere quel che non si può sapere
imboccammo la strada d’oro per Samarcanda.
 
 
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Godimundi

Siamo Alessandro e Stefania, godimundi per istinto, viaggiatori per vocazione, nomadi per scelta e necessità. Da sempre sogniamo di intraprendere questo viaggio in bici intorno al mondo, non solo perché sentiamo nel sangue il richiamo della strada e l’entusiasmo di conoscere la nostra vasta terra e la multiforme umanità che la abita, ma soprattutto per concretizzare e mettere a frutto la nostra passione per la natura e il nostro interesse per le tematiche ambientaliste