Questo articolo fa parte del diario di viaggio tenuto in diretta del progetto Downwind. Se volete leggere le altre puntate, ecco qui tutti gli articoli dei nostri dieci mesi in bicicletta nel sud est asiatico
La nostra cometa: in viaggio verso est seguendo il Mekong
Le folli notti del Loy Kratong in Thailandia sono un ricordo nitido ma già lontano quando, in un pomeriggio soleggiato come sempre, la strada ci conduce fino a nord fino al confine laotiano. Non è una semplice dogana, una sbarra tra una nazione ed un'altra; è il Mekong, un fiume leggendario e vitale, una rotta commerciale ed un ostacolo imponente. Per noi è un po' come la stella cometa fu per i Re Magi: ci indica la via, ci illumina il percorso consigliandoci una brusca virata ad est e quindi a sud... lo seguiremo, rincorrendolo fino alle sue foci, in quel delta che fu rifugio sicuro e salvifico per i Vietcong e labirinto intricato e letale per gli americani.
Il clima festaiolo e cittadino di Chiang Mai ci ha ospitato per qualche giorno ed ora siamo pronti per ripartire, freschi e desiderosi di scoprire nuovi orizzonti e nuovi paesaggi. Lo staticismo prolungato ci rende nervosi, ansiosi, quasi fossimo diventati stakanovisti del pedale, assuefatti al lento incedere; il sellino della nostra bici ci è ormai amico, modellato e domato dopo qualche settimana di ribellione al costante peso da sopportare. Viaggiamo verso nord... ancora; viaggiamo in salita... di nuovo. E' docile, questa volta, in una vallata da casa nella prateria: il torrente scorre a balzi tra le rocce mentre il sole illumina d'oro i campi di grano; più in alto sui pendii montuosi che limitano la vista, cresce la foresta. Il bosco qui è diverso da quello presente alle nostre latitudini, è più fitto, stratificato, complicato. Per annunciare il termine della nostra fatica odierna il sole si nasconde dietro le vette occidentali e noi piantiamo la tenda nel parco nazionale Khun Chae, attendendo la sua calda ricomparsa al mattino successivo. Gurgling nature trail, questa è la dicitura posta sulla mappa all'ingresso di uno stretto sentiero che sale verso est. Lo imbocchiamo e ci ritroviamo nel rumoroso silenzio della foresta tropicale: si sale, si scende e si risale, guadando un torrentello prima di giungere ai piedi di un gigantesco fico selvatico. La mattinata termina con qualche scatto a degli uccelletti passati poco distanti dalla nostra tenda. Il richiamo della strada ci fà saltare nuovamente in sella e la pendenza favorevole ci spinge verso i geysers più alti di Thailandia, incatenati dentro piscine di cemento al centro della piazza del paese... non di certo lo spettacolo più edificante a cui si possa assistere. Lasciamo le quote elevate per scendere nella provincia di Chiang Rai dove una coltivazione a pergolato ci incuriosisce e ci fermiamo per scoprire che si tratta di maracuja, rubandone qualcuno tra i moltissimi caduti a terra. Un lampo blu scintilla su un ramo protendendosi verso il canale che costeggia la corsia, i freni fischiano bruscamente per la pressione repentina subita e la macchina fotografica scivola veloce fuori dalla propria custodia. Silenziosamente ci avviciniamo ma la vista e l'udito del pescatore sono più acuti e fini di quanto ci aspettassimo: un attimo, un battito d'ali e la macchia colorata scompare dietro l'ansa del canale. Il nostro cuore si riempie di sentimenti contrastanti: siamo dispiaciuti di non aver potuto immortalare il soggetto ma felici di aver avuto la fortuna di vedere un martin pescatore sul ciglio della strada. Chiang Rai è un punto di passaggio che lasciamo presto alle nostre spalle diretti verso nord alla ricerca di luoghi incontaminati e meno affollati. Il lago Chiang Saen è la giusta meta per avere un po' di pace e l'affollamento di avifauna selvatica ne fà un paradiso per i birdwatchers. Montiamo la tenda sulle sue sponde ed alla sera i canti dei pescatori al largo provenienti dalle tenebre ci accompagnano tra le braccia di Orfeo, non prima di aver ammirato la volta celeste ricoprirsi di miriadi di stelle. Una mattinata di caccia non porta ad un bottino soddisfacente nonostante gli avvistamenti siano numerosi, così riponiamo le fotocamere nella fondina e saltiamo nuovamente sui nostri cavalli di ferro: il Laos è a due km, il Myanmar a 10 km e noi pedaliamo verso entrambi. Il triangolo d'oro era un tempo terra di contrabbandieri e trafficanti che passavano di qui per rifornirsi d'oppio da vendere nel mondo a prezzi stratosferici dopo che i contadini delle decine di tribù presenti in zona lo avevano prodotto coltivando i papaveri per guadagnare quattro lire. Oggi il turismo ha preso il sopravvento e nel punto in cui Laos, Myanmar e Thailandia si toccano, il Mekong è solcato da decine di long-tail boat che sfrecciano nella sua corrente con passeggeri carichi di macchine fotografiche e videocamere. L'ultimo atto della nostra Thailandia si consuma per buona parte lungo l'argine del fiume, verso sud, per raggiungere un punto in cui poter caricare le nostre bici ed i nostri bagagli su una stretta e lunga lancia che ci condurrà tra le montuose zone settentrionali della Repubblica Popolare Democratica laotiana.
Ultima modifica:
16 Giugno 2024
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