Tra le mura domestiche , dopo aver sistemato il piccolo corredo di bagaglio che mi sono portato, posso rilassarmi sul divano scorrendo nella mente le immagini e le sensazioni di questa prova. 321 km in 23 ore , 14 di sella ad una media di 22, 3 km/h.
Sono tanti per me, fatti in solitaria e per buona parte nel buio della notte.
La bicicletta come sempre si è comportata egregiamente, e con il bagaglio ridotto al minimo si è dimostrata filante e leggera.
Le luci che ho montato sono state più che sufficienti ad illuminare i primi dieci metri davanti a me e quelle posteriori a segnalare la presenza a chi da tergo giungeva con mezzi a motore. Davanti ho messo tre torce a batteria, legate con il nastro adesivo e dietro tre faretti rossi intermittenti rigorosamente made in China. Mi sono portato anche una piccola torcia per illuminare il display del contachilometri.
Trieste - Bologna in bici: si parte!!!
Sono partito dalle rive di Trieste alle quattro del pomeriggio con un bel sole ed una temperatura accettabile come avevano segnalato sul sito di meteo.it ad un andatura regolata sullo sforzo minimo, quel tanto che basta per far andare le ruote in scioltezza.
Prima sosta per un rifornimento d’acqua, visto che avevo lasciato la bottiglia sul tavolo della cucina nei pressi di Duino, e poi, una tirata di circa 35 km fino a Cervignano del Friuli dove ho fatto un piccolo break mangiando un po’ di frutta secca. Da lì è iniziato il lavoro di gestione delle energie, sia fisiche che mentali ed a un ritmo lento sono agevolmente arrivato a Palazzolo dello Stella al 75 km per una pausa caffè.
Nel bagno del locale mi sono reso conto di non aver portato appresso carta igienica ed un vero cicloturista non dovrebbe mai esserne sprovvisto, potrebbe rivelarsi fatale e così mi sono macchiato del crimine di furto di mezzo rotolo di carta. A Latisana ho commesso una leggerezza nella navigazione imboccando una strada che mi ha portato a compiere 3 km in più non previsti tra i campi ma, ritrovato la rotta, sono uscito dal centro dopo aver passato il Tagliamento ed in un area di servizio ho preparato le luci ed indossato la maglia ad alta visibilità.
Come un'astronave lampeggiante... nella notte!
Come un astronave lampeggiante esco per immettermi nel traffico della SS14 dapprima intimorito, e via via sempre più disinvolto constatando che gli automobilisti passano larghi. Un consiglio a tutti i cicloturisti da strada: montate uno specchio retrovisore, costa poco e vi consente di tenere sotto controllo chi vi segue, dandovi modo di intralciare il meno possibile.
Portogruaro mi accoglie con il buio della notte. Le luci funzionano: accendo due torce perché la luna è appena sorta e non rischiara come pensavo. Faccio un paio di telefonate comunicando la mia posizione a chi è a casa prima che vadano a dormire, rassicurando sulla tenuta e sulle ottime condizioni meteo. Controllo sul navigatore le indicazioni di massima e poi mi avvio.
Lunghi viali alberati, buio pesto, un asfalto terribile, pieno di buche a ripetizione, radici sporgenti ed animali morti.
Per evitare la parte più rovinata della carreggiata mi tengo più al centro, ma devo stare attento a chi giunge da dietro mettendomi a destra appena vedo i fari in lontananza. Consumo energie, ma questo richiede il percorso. All’ incrocio con la strada per Caorle, il fondo stradale si alliscia, la luna è salita ed il mio umore migliora.
La temperatura è calata a 15 gradi: indosso i pantaloni lunghi e l’ antipioggia in plastica. Infilo anche i guantini per precauzione ma poco dopo li tolgo.
A Ceggia un sisma all’ equatore addominale giustifica il mio furto, e cosi strappo fogli su fogli. A San Donà di Piave rimango interdetto dalle indicazioni perché spesso vengono pensate per il traffico automobilistico e tendono a indicare percorsi alternativi lunghissimi, quindi faccio una sosta per pianificare l'itinerario più adatto. L’ andatura è un po’ troppo brillante, controllo spesso il tachimetro e mi impongo di non superare mai i 26 km/h. Le gambe vanno a meraviglia, sento solo un modestissimo fastidio al ginocchio sinistro. Ero ansioso di arrivare a Caposile, perché da li parte un rettilineo terribile, stretto, 9 km su un argine della laguna che non consente soste o ripensamenti.
A tutta forza verso Venezia!
Il traffico è sostenuto: pullman e camion non si contano, ma quella è la strada.
Imbocco e vado, a testa bassa, le luci accese ed il motore avanti mezza. Controllo nello specchio la distanza da chi mi segue e non appena posso, faccio un ettometro pedalando in piedi per dare aria al sedere che inizia a lamentarsi. Passa una Ferrari rombando, un pullman che mi strombazza, una bambina in un camper che mi guarda allucinata. Io pedalo, me ne frego, è la mia notte. Ma finisce anche quello ed a Portegrandi urlo la mia adrenalina ad un jet che decolla sopra la mia testa in partenza dal Marco Polo di Venezia.
A Ca’Corner attacco il fiocco d’asfalto che mi conduce in bocca a Tessera dove mi fermo per una sosta cena quando è mezzanotte passata da poco. Mangio un panino e bevo una coca, riparto gasato e a stento mi trattengo dall’ accelerare. Prima di arrivare a Mestre mi fermo perché ho sbagliato abbigliamento e devo cambiarmi. La giacca di plastica antipioggia mi ha reso madida di sudore la maglia, anche quella poco traspirante e metto su roba “tecnica”, il miglioramento si avverte immediatamente: sono fresco, non sudo ed acquisto in scioltezza. La navigazione per superare Mestre è a dir poco roccambolesca, il buio ci mette del suo e le indicazioni fanno schifo. Il navigatore dello smartphone è in accordo con i segnali stradali e mi ritrovo ad aver percorso 5 km avendo fatto effettivamente 100 metri. Poi, finalmente, trovo la strada per il lungo Brenta, spengo il navigatore per risparmiare batteria e mi impedalo lungo i viali di Marghera salutato festosamente da due ali di prostitute vestite a festa. Mi sorpassa e risorpasso continuamente ai vari semafori una macchinetta con all'interno il cambio di due professioniste che ammiccano e se la ridono. All’ultima postazione scendono e danno il cambio, poco più avanti ne trovo una di colore completamente nuda che si agita come una bottiglia di chinotto spumeggiante. Poi di nuovo soltanto asfalto e luna.
Asfalto e luna nella mia notte
Passo accanto ad un panificio in piena attività, guardo l’ora e vedo che sono le tre del mattino, odore di forno che apre lo stomaco. Ho fatto 180 km. A Piove di Sacco, mi sdraio su una panchina con la ferma convinzione di dormire mezz’ora. Indosso la cerata-poncho , sistemo il marsupio sulla pancia e con la testa su un cuscinetto fatto di maglie aspetto che la sveglia mi dia il segnale del nuovo pronti via. Le energie vanno esaurendosi, il sedere è dolorante e prima della pausa metto la pasta fissan, la mente vacilla scarseggiando di concentrazione. Mi addormento immediatamente, mi risveglio altrettanto presto, ma sento l’effetto pausa. Faccio un paragone con le batterie ricaricabili, perché so che in mezz’ora non si ricarica una pila, figuriamoci un ciclista. Ma proseguo, scolo una Red Bull, mangio una barretta ed una pillola di ferro, aggancio le scarpe ai pedali del mio destriero e alle cinque del mattino riprendo verso Bologna.
Inizia la sofferenza...
Da adesso inizia la sofferenza. Ogni chilometro è più lungo, mi proibisco di guardare il tachimetro, cerco quanto più possibile di pedalare in piedi, di cambiare presa al manubrio e alleggerire i rapporti. Non c’è un ragionevole compromesso tra velocità e fatica. Andare piano comporta allungare i tempi, andare forte consumarmi velocemente, quindi vado come sospinto dal vento, con la forza d’inerzia di un obiettivo da raggiungere.Non posso nemmeno chiacchierare con qualcuno al telefono perché tutti dormono. Sorge il sole, questo mi ricarica moralmente, poi rifletto sull’ orario previsto dell’arrivo e mi rendo conto che mancano circa 9 ore: un'eternità. Mi faccio forza e raccolgo ogni stilla di energia iniziando la gestione del patrimonio. Sapevo che quello poteva essere il momento critico e dovevo solo superarlo. Si fa giorno, spengo tutte le luci, tolgo la giacca e resto con la maglia, il fresco mi sveglia e mi carica togliendomi da un torpore troppo confortevole e ad Agna mi fermo per far colazione.
Mi sgranchisco, piego sulle gambe lentamente arrivando a toccare i tacchi con il sedere, mi allungo e stiracchio, bevo e mangio, poi inforco la sella e... riparto sbagliando direzione. Ero già passato per la stessa strada tre anni prima e avevo fatto lo stesso errore, ma rimedio subito ricordandomi anche il percorso alternativo che mi conduce sull’argine del Po fino ad Anguillara Veneta dove scavalco il fiume puntando verso Rovigo. Devo fare ancora 100 km, un'inezia. Dopo Rovigo, mi immetto su una strada a scorrimento veloce. Il tempo è meraviglioso, ho saputo scegliere bene il periodo fortunato. Il traffico è sostenuto, ma gli automobilisti sono rispettosi dei limiti e delle distanze.
Culo e gambe dialogano, cercano di mettersi d’ accordo per fami smettere , ma poi si giunge a un compromesso e ci fermiamo per una sosta in un area di servizio dove divoro tutto quello che resta delle mie riserve alimentari, bevo una bella coca cola fresca al bar e mi siedo su un gradino addormentandomi come un barbone, sbavando a bocca aperta appoggiato alle vetrate per cinque minuti.
Ed è di nuovo giorno...
Purtroppo dura poco e allora ascolto pubblicità e cambio canale non appena mettono musica. Da Ferrara in poi è lotta continua, alterno in piedi e seduto di continuo, spero di prendere tutti i rossi e l’idea di fare ancora 60 km mi fa vomitare.
Mi fermo per il pranzo anche se non ho fame e infatti mangio un pezzo di pane ed inglobo mezzo litro di te verde. Riprendo nel traffico caotico delle circonvallazioni fuori Ferrara seguendo i cartelli stradali.
Mi fermo sempre più spesso con soste da cinque minuti, con la scusa del caffè o della pipì, ma intanto macino chilometri a una velocità di 25 km/h. Faccio due conti e ne vien fuori che devo pedalare ancora tre ore. Si può fare. Acquisto lucidità, perché sento di avercela fatta, di avere Bologna a portata di mano. Supero Malalbergo, e arrivo ad Altedo da dove mancano 22 km all’arrivo. Sono le 14 e 30, come un automa, appoggio la bici , stacco il borsello, mi distendo su una panca e regolo l’orologio a un quarto d’ora.
Mi sveglio senza che suoni, mi risistemo sulla bici e mi avvio verso il 300 km. Magico momento, scatto una foto e vado, è un countdown durissimo e quasi fosse fatto apposta ci sono cartelli ad ogni chilometro ed il successivo non arriva mai, il terreno si allunga sotto le mie gambe stanche, il tempo si dilata, ma ormai mancano 7 km…. è fatta. Bologna.
Un cartello mi segnala il traguardo, entro nel traffico, non sento niente, nemmeno dolore, cerco sul navigatore l’ indirizzo dell’ albergo Maxim e mi ci porta davanti esaurendo anche lui l’ ultimo elettrone di batteria. Si spegne. Entro nell’albergo, non mi perdo in convenevoli, voglio solo andare in stanza. E’ tutto già pagato, mi danno la chiave e mi indicano dove sistemare la bici. Avverto casa del mio arrivo e si congratulano felici.
Nella stanza, butto tutto per terra, faccio una doccia e lavo le mutande, la forza dell’ abitudine...
Il materasso è una meraviglia, le lenzuola candide e inodore. Regolo la sveglia alle otto per la cena.
Sono le quattro del pomeriggio, ho messo le batterie dei telefoni in carica, è ora che metta in carica anche me.
Chiudo gli occhi e rido pensando…cazzo…ce l’ ho fatta !
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