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Cammino del Nord in bicicletta: 878 km in 11 tappe
L'anno passato avevo pedalato il Cammino francese verso Santiago de Compostela e poi, più in là, fino alla Fine del Mondo, a Cabo de Fisterra.
Dal momento però che il Mondo non finisce in un posto preciso, questa volta, tocca affrontare il Cammino del Nord in bicicletta; la meta non cambia, Santiago de Compostela, in Galizia.
Il viaggio in bici questa volta parte già in territorio spagnolo, precisamente da Irun nei Paesi Baschi.
In questo articolo
Irun è distante dalla Francia un ponte, quello che la collega con Hendaye nel Dipartimento dei Pirenei Atlantici. Il ponte che si trova sopra la foce del fiume Bidasoa è il luogo da dove tradizionalmente parte il Cammino. Il ponte di Saint-Jacques appunto.
Per arrivare a Irun mi servono 1053 km, tutti di Francia abitando io pressoché al confine francese. L'accoglienza è plumbea. La regione conosciuta...ci fosse mai stata una volta in cui splendeva il sole.?
Lascio l’auto e la bici nell'hotel che ospiteranno l’una per una decina di giorni e l'altra per una notte e mi addentro per la città, pochi metri ed ecco la prima freccia gialla con relativa concha. C’è tutto! Domani si può partire per affrontare il cammino del Nord!
1. Irun - Mutriku
93,6 km |1981 m D+
È una di quelle mattine in cui la volontà di pedalare viene messa a dura prova. Un test della vocazione.
Ha piovuto tutta la notte. Ora per la verità ha smesso e solo le pozzanghere confermano che il piacevole suono di pioggia del dormiveglia non era sogno. Il suono è sparito e il sogno è diventato incubo!
Temperatura bassa e cielo che promette di tutto, ma non il sole.
L'albergo è esattamente alla fine del ponte di Saint-Jacques sul lato spagnolo. Lo percorro in direzione Francia per raggiungere il cartello che dal lato francese segna classicamente l'inizio del Cammino. Qui trovo due camminanti dagli USA anche loro all’inizio del cammino. Siamo in tre, chiaramente nessuno convinto di quello che sta per fare. Forse loro possono accusarsi a vicenda della scelta fatta, io posso solo cominciare a pedalare.
Intendiamoci, se pensi di venire in queste zone durante la primavera, ma in generale in qualsiasi periodo dell’anno, sperando di restare asciutti e di non dover subire le schermaglie del vento che arriva dall’oceano, resterai molto deluso. Chiedi pure a Google per credere.
Tutto pronto. GPS analogico (ottimo lavoro degli amici di guiasbicimap.com) ben in vista sulla borsa appesa al manubrio, c’è anche il digitale ma ha meno fascino.
Si capisce subito che il problema di scansare il pellegrino camminante non si presenterà. Siamo distanti dai numeri di presenza del Cammino Francese, a naso direi 1 a 100, forse anche 1000 in proporzione a favore del più conosciuto dei cammini che conducono a Santiago.
Incontro quasi subito, l’Ermita del Santiago che certifica l’uscita da Irun e l’inizio della breve salita che porta alla prima meta della giornata, il Santuario de Guadalupe.
Il santuario si trova lungo la strada che porta all’Alto de Jaizkibel (455 m), ed è posto in una posizione panoramica che permette una vista d’insieme su Irun, Hendaye e della costa francese che prosegue verso Biarritz.
Raggiungo l’Alto su strada asfaltata e mentre sono fermo per delle foto di rito al cartello della prima “vetta” vengo intervistato da due signore di Basilea incuriosite dalla, a loro modo di vedere, insana idea di pedalare in una giornata di tempo così grigio. Le rassicuro e proseguo. Loro salutano e mi fotografano. Le vedo ridere sedute in un elegante caffè della loro città, in riva al Reno, mentre mostrano la foto di un anziano italiano che pedala verso l’artrite.
Comincio a scendere verso Pasaje San Juan. Quando comincia la discesa, su ogni guida dedicata a questo cammino fatto in bicicletta, compresa la mia di guida, c’è scritto: ATTENZIONE ALLA SCALINATA, SE SIETE IN BICI FATE COSÌ E NON FATE COSÀ!!!
Niente da fare, FACCIO COSÀ. La scalinata si palesa con tutto il suo odio verso il ciclismo, in particolare quello fatto con bici e bagagli. Un giorno torno e ci riprovo.
Scalino dopo scalino, Pasaje è raggiunto. La schiena brontola per la prima volta, ma sono più impegnato a vincere l’umiliazione dell’errore di navigazione che a badarle.
Da Pasaje (San Juan) a Pasaje (San Pedro) si va in barchetta. 120 metri che salvano dai diversi chilometri che servirebbero per girare intorno all’estuario del fiume Odrava (Oiartzun Ibaia). 80 cent per me, 80 per la bici, 2 minuti e siamo dall’altra parte diretti a San Sebastian. Non è essere pelandroni, si segue il Cammino.
Sceso dalla barca mi aspetta l’urbanismo della periferia di San Sebastian fino a raggiungere e poi percorrere la Playa di Zurriola.
Girato intorno al Monte Urgull, si attraversa il bel ponte di Maria Cristina, poi si continuare a seguire la ciclabile fino a raggiungere la più conosciuta Playa della Concha, ma prima ti toccherà anche prendere un ascensore in compagnia della vostra bicicletta per arrivarci.
Al termine della Playa della Concha, sbucando da una galleria, raggiungo la Playa de Ondarreta. Poi, prima di salire verso il Monte Igueldo come indica il Cammino, faccio una piccola deviazione per visitare il Peine del Viento (Pettine del vento), opera dello scultore spagnolo Eduardo Chillida. L’opera è infatti collocata all’estremità occidentale della baia e devia di poche centinaia di metri dalla rotta da seguire.
Il viaggio prosegue su strade poco trafficate e immerse nel verde. L’oceano sempre sulla destra. Pausa pappa e poi si prosegue verso Orio prima e poi Zarautz. Il grigio del mattino non ha dato seguito a pioggia, anzi il vento ha quasi ripulito il cielo. Non fa molto caldo, ma il sole è comunque piacevole.
Prima di scendere a Zarautz, dall’Alto de Tailamendi, si può ammirare un bel campo da golf proprio in prossimità della spiaggia che si raggiungerà da li a poco.
Direzione Getaria di cui in lontananza si può ammirare il suo “raton”. Si tratta di una piccola isola collegata a Getaria da dei frangiflutti il cui profilo da lontano evoca l’immagine appunto di un topolino.
Raggiungo Deba, sfortunatamente entrambi i ponti che permettono di attraversare il fiume Deva (perché poi non hanno lo stesso nome?) sono inagibili e in più non ci sono posti disponibili per dormire.
Non resta che girarci intorno cercando il ponte successivo; la strada è anche molto bella, peccato per il traffico che è tutto deviato su questo tratto verso la costa. Lo scollinamento del Puerto del Calvario (ci sta) mi porta a raggiungere Mutriku, ma non basta. Manca ancora una salitella di qualche chilometro per raggiungere lo splendido B&B trovato per la notte.
La giornata finisce così, il cielo è privo di nuvole e il mio B&B a picco sull’oceano, non potevo sperare di meglio. Per la verità una cosa c’è, o meglio non c’è, ed è la ristorazione per la quale mi devo appoggiare al servizio di delivery di un ristorante a 5 km. Nel frattempo, solo birre, patatine e formaggi locali.
La pizza arriverà alle 22:30, in pieno primo sonno per noi persone anziane, ma si sa, in Spagna si mangia tardi.
2. Mutriku - Larrabetzu
66,6 km |1.225 m D+
Le previsioni non danno molte speranze. Indosso tutto l’abbigliamento antipioggia a disposizione e lascio il bel B&B che mi ha ospitato e salutato con una splendida colazione.
Ritorno verso Mutriku e raggiungo Ondarroa. Piove. Lascio la costa, per oggi basta mare alla mia destra, c’è già abbastanza acqua dall’alto. Direzione Markina-Xemein e poi Ziortza-Bolibar. Da qui si sale al Monasterio di Zenarruza.
Al monasterio, una delle mete simbolo di questo Cammino, ci si arriva al termine di una piacevole salita, mai ripida, di circa 3 km, ideale per mantenere in temperatura il corpo. Oltre a me è presente quella che giudico essere una gita scolastica.
Qui troviamo una chiesa del XV secolo in stile gotico-rinascimentale e un bellissimo chiostro della metà del XVI secolo dove trovo riparo dalla pioggia. Ci sono anche diversi spazi destinati alla clausura e alla vita della comunità oltre che all’ospitalità per i pellegrini.
Dopo una breve visita, visto il tempo, decido di non avventurarmi nel fango del Cammino ufficiale e ritorno sulla strada principale.
Pochissimo traffico, ai lati piccole foreste i cui alberi un poco proteggono dall’incessante pioggia.
Raggiungo Gernika, la città santa dei Baschi. Era sede, fino al 1876, di una sorta di Parlamento, in verità una grossa quercia, sotto alla quale il Consiglio degli Anziani lavorava perché venissero rispettate e conservate le leggi autonomiste della regione. Si trova nel centro della città, ma non cercate una grossa quercia, quella è seccata, oggi è poco più di una pianticella.
Smette finalmente di piovere, ma non durerà. Mi rifocillo con qualche pincho (non chiamatele tapas) e della buona birra.
Riparto. Appena uscito da Gernika sono costretto a rifugiarmi nel parcheggio coperto di un supermercato perché adesso c’è un vero e proprio nubifragio. Passata un’oretta, la pioggia si “normalizza” e posso ripartire. Scollino l’Alto de Aretxabalaga dopo una salita di 6 km e, raggiunto il primo paesino, Larrabetzu, decido che il suo Albergue del pellegrino è un posto meraviglioso. Letti tutti occupati. Ricevo materasso e coperta con cui occupo una porzione del pavimento dello stanzone che adesso èancora abbastanza vuoto, ma che si riempirà da lì a poco, ma dov’era tutta questa gente?
La serata è piacevole e trascorre insieme a un gruppo di connazionali camminanti e a un loro amico austriaco che mangia solo sardine in scatola. Ci attrezziamo nel supermercato locale per un aperitivo e poi ci concediamo la solita Cena del Pellegrino. Infine tutti a nanna che alle 8 del mattino bisogna già essere tutti fuori dalla struttura, la dura legge del Cammino.
3. Larrabetzu - Laredo
84,6 km |1.273 m D+
Oggi è il giorno di Bilbao. Quando mi sveglio i camminanti sono quasi tutti partiti o pronti a farlo. Mi preparo e lascio la struttura quasi per ultimo. Raggiungo i compagni di ieri che già camminano da quando era ancora buio. Un ultimo saluto, loro si fermeranno a Bilbao o poco oltre.
Io raggiungo Bilbao non senza fatica e con abbondante “spintage” sulle erte del Monte Avril. Tratti brevi ma intensi che pure da asfaltati mi costringono a mettere il piede a terra. La discesa invece sarà, nel tratto finale, un tripudio di ripidi gradoni.
Alla fine, raggiungo il casco viejo (centro storico) della città e dopo aver fatto finalmente colazione mi concedo una veloce visita esterna della cattedrale letteralmente incastrata nelle abitazioni intorno ad essa.
Bilbao emana eleganza, modernità e cultura. Attraverso una piacevolissima ciclabile, raggiungo l’area in cui si trova il celeberrimo Museo Guggenheim e all'esterno vago per un buon tempo. Purtroppo, il mio obiettivo principale, il Puppy (cachorro), una scultura realizzata dall'artista americano Jeff Koons e rappresentante un cucciolo della razza West Highland White Terrier, costituito da una struttura in acciaio inossidabile ricoperta di piante e fiori non è “disponibile”. Completamente nascosto da una struttura in legno, sta probabilmente cambiano “il pelo floreale”.
Questa città meriterebbe giorni e giorni per essere goduta a pieno. Prometto di tornarci e continuo la ciclabile lungo il lato destro della Ria del Nervion fino quasi alla fine del suo estuario. Raggiungo Las Arenas dove uno spettacolare Puente Colgante (Ponte di Vizcaya) mi “trasporta” letteralmente a Portugalete.
È il più antico ponte trasportatore del mondo e venne costruito nel 1893, progettato da Alberto Palacio, uno dei discepoli di Gustave Eiffel. La costruzione del ponte fu la soluzione proposta dall'ingegnere al problema della connessione delle due città senza bloccare il traffico navale lacustre del porto di Bilbao e senza dover costruire massicce rampe per scavalcare il fiume. Il 13 luglio 2006 il ponte venne dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Il ponte, lungo 164 metri con la sua parte basculante, può trasportare fino a 6 auto e decine di persone. Si compie una traversata in un minuto e mezzo, ogni otto minuti, 24 ore al giorno, per tutto l'anno, con tariffe differenti a seconda dell'ora. Vale assolutamente la penna di essere visto e utilizzato.
Attraversata Portugalete, una splendida ciclabile prima urbana, poi via via sempre più periferica, mi conduce nuovamente sull’oceano, precisamente alla Playa de La Arena di Pobena. Sto per abbandonare i Paesi Baschi ed entrare in Cantabria. Lo farò al termine di uno, se non il più spettacolare, tratto del Cammino.
NON farti assolutamente abbattere dalla scalinata (119 scalini) che ti si presenterà davanti alla fine della spiaggia, o da qualche indicazione che suggerisce alle biciclette una via alternativa. Dieci minuti di fatica e avrai a disposizione il Paseo Itsaslur, realizzato sul tracciato di una linea ferroviaria mineraria. 5/6 km tra i più belli mai pedalati.
Raggiungo Onton e la Cantabria. Qui abbandono il Cammino ufficiale che si sposta nell’interno per poi tornare sulla costa a Castro Urdiales, e continuo a seguire la più panoramica e pedalabile Via Verde. Raggiungo l’Alto de Saltacaballos e nello scendere verso Miono rischio la frittata. Un gatto mi attraversa la strada mentre sto scendendo a buona velocità. Ci “tocchiamo”, sento distintamente il colpo contro la mia ruota anteriore, riesco a controllare la bicicletta, solo fortuna, nessuna abilità. Mi fermo, il gatto è scomparso. Riparto sperando che anche lui abbia avuto buona sorte, in fondo se ci fossimo colpiti in pieno, io sarei caduto e forse anche lui sarebbe rimasto maggiormente ferito.
Il resto della giornata è ancora ricco di suggestivi panorami costieri dove il nulla la fa da padrone. In particolare, segnalo il tratto tra Castro Urdiales, bella città fortificata cui dedicare una visita e Islares, poi continuando sulla costa, Laredo dove mi fermo per la notte.
4. Laredo - Santillana del Mar
96,8 km |1.015 m D+
Oggi è giornata traghetti. Il cielo è azzurro e pedalo il lungomare della Playa de la Salvé di Laredo fino a raggiungere la zona per l’imbarco denominata El Puntal. Non è difficile da trovare, seguo le indicazioni del Cammino e finisco con il pedalare su una passerella in legno che mi tiene sollevato dalla sabbia; quando finisce, sono sulla sabbia umida dove, da lì a poco, una piccola barca mi preleverà con altri pellegrini per attraversare la Ria del Treto e raggiungere Santona.
Sceso dalla barca, dopo una decina di minuti di traversata, un cartello mi ricorda che mancano 614 km a Santiago.
Uscendo da Santona evito il tratto del cammino sulla costa (El Brusco) perché estremamente sconsigliato alle biciclette. Raggiungo Noja per una piccola pausa caffè con bocadillo e mi dirigo verso il secondo traghetto della giornata. Da Noja servono infatti ancora 30 km scarsi per raggiungere l’ennesima Playa del Puntal (fantasia al potere in questo tratto) in prossimità di Somo, dove parte il secondo traghetto.
Santander è di fronte, 3 km di traversata, L’arrivo è molto suggestivo, la barca mi lascia su un molo nel pieno centro. C’è la tipica frenesia delle grandi città. Oggi poi è anche domenica e i turisti non sembrano pochi.
Quando mi capita di dover attraversare in bicicletta una grande città c’è sempre un leggero timore. Dopo ore di solitudine sulla costa o in un entroterra scarsamente urbanizzato non vedo l’ora di scapparne. Eterna lotta tra la voglia di guardarsi intorno e di tornare al silenzio. Decido di seguire le indicazioni di una ciclabile seppure nel primo tratto sia in direzione opposta alla mia.
Questo però mi permette di pedalare per un po' lungo la costa fino a raggiungere la Penisula della Magdalene e relativa playa, dove si trova anche un bel parco. Segue la Playa del Sardinero: giudico essere le più frequentate dagli abitanti che oggi sembrano avere proprio una gran voglia di mare. In effetti è proprio una bella giornata di sole. Passate le playas posso svoltare e tornare a puntare verso Ovest. Obiettivo: uscire dal caos.
La ciclabile alterna tratti sicuri all’anarchia totale. Siamo lontani dalla perfezione riscontrata in uscita da Bilbao. Comunque, soprattutto grazie all’aiuto di un papà intento a insegnare al figlio l’uso della motocicletta in un enorme parcheggio di un enorme, anche lui, centro commerciale, riesco a ricongiungermi con il cammino nei pressi di Santa Cruz de Bezana. “…vi perdete tutti qui, voi Pellegrini…” le parole di commiato. Eh, e mettere due cartelli in più?, penso mentre mi allontano ringraziandolo per aver certificato che non sono il solo tonto che si è perso.
Finalmente fuori dal caos. Raggiungo il rio Pas dove un grosso cartello montato su tubi d’acciaio certifica i 560 km ancora mancanti per Santiago.
Raggiungo Mogro dove, sul muro esterno della stazione ferroviaria, una serie di piastrelle ricordano il tracciato del Cammino Francese e quello del Nord. Veloce pranzo e continuo. Fa decisamente caldo.
Mentre proseguo verso Viveda dove si trova, nei pressi di uno stabilimento della Solvay, il primo ponte utile per attraversare il rio Saja, vengo raggiunto da un gruppetto di ciclisti francesi, anche loro impegnati sul Cammino che mi superano sottolineandomi il fatto che loro sono muniti di bici elettriche. Saluto cordialmente e li vedo allontanarsi sghignazzando tra di loro.
Non inizierò qui un trattato elettrico vs muscolare. Piena libertà per tutti. Però quando mi sorpassano per la terza volta, ripetendo la sottolineatura sul loro elettrico avanzare, comincio a pregare il dio della bobina di rame perché qualcosa si guasti nel loro tecnologico pedalare. E poi dove diavolo si fermano in continuazione? Non c’è altro che campagna e sole!
Oggi l’obiettivo è chiaro e turistico. Santillana del Mar, piccolo gioiello medievale dalle stradine acciottolate la cui Collegiata de Santa Juliana del XII secolo vale una visita. Poco distante si trovano anche le famose grotte di Altamira.
Santillana del Mar viene definita la città delle tre bugie, perché non è santa (Santi), non è in pianura (ilana), e non c’è il mare, peraltro vicino ma non proprio a due passi.
La cena che si annunciava solitaria, diventa invece in compagnia. Entrato in uno dei tanti ristoranti vengo invitato a cenare al loro tavolo da due irlandesi, ciclisti anche loro. Mi hanno riconosciuto dopo avermi visto oggi sul Cammino. Io, confesso, non ricordo, ma accetto volentieri.
In viaggio per festeggiare i 50 anni di uno di loro, vivono entrambi a Dublino. Hanno deciso di prendersi un giorno di riposo e domani visiteranno le grotte.
Rientro in albergo sobrio, non un dettaglio se si cena con degli anglosassoni, e ne sono perfino dispiaciuto. Sento qualche brividino, decido per un’aspirina, ma sarà solo stanchezza.
5. Santillana del Mar - Celorio
82,5 km |1.423m D+
Anche oggi il cielo è privo di nuvole. La temperatura al mattino presto resta comunque sempre fresca. Sarà per questo motivo che, quando dopo solo 5 km, uscendo dal paesino di Orena, raggiungo in cima a una breve salita la piccola Chiesa di San Pedro, accetto più che volentieri un tea caldo che il suo “guardiano” Gunter mi offre mente mi racconta del luogo. Gunter è un ragazzo brasiliano che passa qualche mese in Spagna a mantenere aperta questa chiesetta posta sul Cammino, accoglie i pellegrini. Approfitto per spolverare il mio portoghese imparato a seguito di frequenti periodi di lavoro in Brasile degli anni passati. Mi regala una collanina con una piccola concha al cui interno è disegnata l’immagine del Santo e ci salutiamo.
La tappa di oggi è un saliscendi continuo e si snoda lungo la costa senza quasi mai toccare il mare se non nella seconda parte.
Raggiungo Cobreces dove si possono ammirare i due campanili della chiesa dedicata, anche lei, a San Pedro. La chiesa è dipinta di un rosso acceso e all’esterno è presente una piccola opera di metallo dedicata ai pellegrini.
Arrivo poi a Comillas per il caffè di metà giornata. Città elegante che deve la sua “fortuna” a un suo cittadino emigrato a Cuba. Grazie a lui infatti sono stati costruiti palazzi e università. Da non perdere poi il Capricho di Gaudì, palazzo dai tratti arabeggianti rivestito di ceramiche.
Seguendo la costa entro a San Vicente della Barquera dopo aver seguito prima la Playa della Rabia e successivamente quella de Oyambre. Il lungo ponte de la Maza che si attraversa prima di entrare in paese offre un bel panorama sull’estuario dell’ennesimo rio che raggiunge l’oceano.
Ecco Unquera e, nell’attraversare il ponte sul rio Deva, abbandono la Cantabria per entrare nel Principato delle Asturie. Uscendo dal paese, il Cammino propone la dura e lastricata ascesa verso la Capilla del Cantu il cui sello sulle credenziali del pellegrino è molto ricercato. Vero “muro” degno delle Fiandre, la fatica viene ripagata solo dal poter dire di averla fatta senza mettere piede a terra, ma del sello non c’è ombra... inconvenienti pellegrini.
Proseguo sempre indirezione ovest, il mare rigorosamente alla mia destra. Raggiungo Llanes sulla costa con qualche puntatina verso alcune delle playas proposte dalla strada.
Da Llanes raggiungo Celorio dove mi fermerò per la notte. Quest’ultimo tratto è veramente molto suggestivo. Llanes è una bella cittadina e seguendo la senda costera E9 che coincide con il Cammino, si giunge prima a Poo e poi appunto a Celorio e la sua Playa de Palombina.
Da oggi inauguro il sidro di fine tappa che sostituirà la più classica birra. Celorio si presenta come il classico paese di mare turistico fuori stagione. Per fortuna trovo il sidro e due olive. Per la cena, in assenza di ristoranti aperti (tragedia!) utilizzo un supermercato e il microonde del b&b che mi ospita.
6. Celorio - Gijón
96,6 km |1.726 m D+
Proprio dalla Playa de Palombina, ammirata ieri degustando il primo sidro, riparte il viaggio verso Santiago. Direzione solita, quella con il mare a destra.
Dopo pochi chilometri, prima di entrare a Niembro si trova la suggestiva chiesa Nostra Señora de los Dolores. Architettonicamente niente di particolare, ma è situata proprio ai bordi di una ria, che in funzione delle maree, diventa uno specchio d’acqua o una distesa di fango. Sono fortunato e passando la vedo specchiarsi nell’acqua.
Sono meno fortunato quando, dopo aver attraversato la Playa di San Antolin, la mia ruota posteriore si libera dell’aria contenuta nella camera e il pneumatico si affloscia. Foratura. Panico medio-alto e inizio la riparazione cercando di non innervosirmi per l’inconveniente. Nel tempo ho imparato poche e basilari riparazioni sulla bicicletta, su tutto ho appreso che la calma è il più prezioso degli utensili che ci portiamo dietro. Tutto abbastanza ok, se non per il fatto che non ho abbastanza bombole di Co2 per far “tallonare” il copertone. Niente di drammatico, pedalo con calma per altri 15 km e arrivo a Ribadesella dove l’amico Dani di Dani Bikes, mentre mi concedo la prima colazione, sistema ruota e bicicletta con tanto di lavaggio e ceratura speciale anti-fango asturiano.
Esco da Ribadasella dal ponte sul rio Ella. Proseguo sulla costa fino a La Isla da dove lascio per un po’ il mare e mi dirigo verso Villaviciosa. L'oceano tornerà a fine tappa a Gijón.
Villaviciosa è la patria del sidro. Luogo ideale per il pranzo. Un’ottima zuppa di pesce con del sidro e sono pronto a ripartire.
Passano cinque chilometri e prima d’iniziare la salita dell’Alto de la Cruz, nei pressi di Grases, incontro il bivio che collega il cammino del Nord con quello Primitivo che parte da Oviedo.
La salita di circa 7 km è piuttosto impegnativa o forse è il sidro a renderla tale. Finalmente si scende e raggiungo Peon. Poco tempo per gioire dello scampato pericolo che subito la strada ricomincia a salire verso l’Alto de Curbiellu. Come per tutte le tappe precedenti anche nell'odierna non c’è molta pianura, è un continuo saliscendi e oggi sono proprio stanco. Mi rincuora la vista del mare e di Gijón una volta raggiunta la cima.
La discesa verso la città è piacevole, con poco traffico e la bella ciclabile che dal lato occidentale della città mi porta alla Playa de San Lorenzo. Qui, vista la fatica - è stata proprio dura oggi - decido di premiarmi con un bell'hotel vista playa e un bel bagno caldo.
Con vergogna confesso una merenda da Burger King, poi una lunga passeggiata e una cena dove di fatto mi addormento sul piatto. Bonanotte a tutti.
7. Gijón - Soto de Luina
71,3 km |1.090 m D+
Mi sveglio in buona forma. Giornata grigia. Riposato, apprezzo finalmente Gijón proprio uscendone. Percorro la Playa de San Lorenzo fino a raggiungere il promontorio di Cimadevilla dove si trova il vecchio quartiere di pescatori e il Parco del Cerro. Successivamente giungo al porto turistico passando a fianco prima al tradizionale Arbol (albero) de la Sidra, un’opera realizzata con l’intento di sensibilizzare il riutilizzo del vetro. È composto da 3200 bottiglie che rappresentano il consumo di circa 100 famiglie ogni anno; salute.
Poco più avanti Las Letronas, opera di Alberto García Fernández, dove le lettere sono le cinque che compongono il nome della città, riproducono il marchio turistico di Gijón nato nel 2009 e diventano in seguito scultura nel 2011. Sono realizzate in solido acciaio con il caratteristico colore rosso della città, sono alte più di tre metri, hanno uno spessore di 25 centimetri e ogni lettera pesa più di due tonnellate, quasi dieci in totale. Una delle opere più fotografate della città.
Si continua a uscire seguendo una ciclabile abbastanza tranquilla, fino a quando questa scompare in periferia e mi abbandona in mezzo a enormi fabbriche che sembrano per lo più abbandonate.
Serve comunque poco per tornare nel verde e nella tranquillità, anche se di fatto resto su una strada statale, poco trafficata, fino a raggiungere Aviles: è questa un’alternativa più facile per le biciclette rispetto al tracciato originale del Cammino.
Arrivato ad Aviles, ultima città di grande dimensioni prima di Santiago, percorro il lato sinistro del rio omonimo e, prima di entrare nel centro, sul lato opposto lancio veloce sguardo al Centro culturale internazionale Oscar Niemeyer. Anche qui le frequentazioni brasiliane vengono alla memoria, in particolare i giorni trascorsi a Brasilia tra un appuntamento di lavoro e l’altro.
Mi fermo nella classica Plaza de Espana per la solita pausa caffè, che poi diventa una più tradizionale pausa cioccolata con churros. Anzi rischia di trasformarsi in una pausa cioccolata e basta visto che i churros, in bella mostra sul mio tavolino, diventano prede per i gabbiani della piazza. La gentile cameriera si accorge del furto che ho subito e provvede a rifornirmi nuovamente. Questa volta non mi faccio fregare, ma intuisco dal suono dei loro versi che hanno perso simpatia nei miei confronti.
Uscito da Aviles, sempre seguendo il tragitto del Cammino, mi dirigo verso la costa. Si è alzato un buon vento e ora il cielo è completamente azzurro. Raggiungo Salinas e la sua Playa. Nelle vicinanze godo della vista che regala La Penona, un promontorio che chiude a occidente la Playa de Salinas e che ospita il Museo delle Ancore di Jacques Cousteau, un museo all'aperto, gratuito, dove il protagonista è ovviamente il mare e la sua collezione di ancore, molte delle quali provenienti da navi storiche. In cima alla scogliera si può ammirare un’ampia vista della costa di Castrillón. Troviamo anche un busto in bronzo alto 3 metri raffigurante l’esploratore e navigatore francese.
Lasciato alle spalle il museo, si prosegue per un poco verso l’interno, fino a Santiago del Monte, sfiorando l’aeroporto de Asturias che strategicamente serve per raggiungere sia Gijón che Oviedo.
Il resto della giornata trascorre affrontando continui saliscendi, mai lunghi, ma che alla fine si fanno sentire. Inoltre, il vento uscito a spazzare le nuvole della mattinata, non ha cessato di tenermi compagnia “contraria”. Oggi non voglio sfiancarmi come è successo ieri, spinto dalla voglia di arrivare a Gijón, e decido che il grazioso paesino di Soto de Luina è perfetto per la notte.
Perfetto anche l’albergo che mi ospita, perfettamente attrezzato per le biciclette e la loro manutenzione, ma soprattutto adeguato a soddisfare le curiosità sulla cucina locale. Questa sera fabada e sidro, ma ci aggiungerò anche dei formaggi locali, il cabrales su tutti. Questo per completezza d’analisi.
8. Soto de Luina - A Caridá
73,2 km |965 m D+
Appesantito dallo stufato di maiale e fagioli della sera precedente e forse un pochino anche dal sidro che viene servito solo in bottiglie da 70 cl, riparto con sulla testa la nuvoletta nera con fulmini delle previsioni del tempo. Mancano 280 km a Santiago.
L’inizio meteorologico è incoraggiante, la strada meno e si ricomincia la sequenza di saliscendi partendo dai sali. Cielo plumbeo, non più di altre volte, e niente pioggia.
Le aree che attraverso sono estremamente verdi e tranquille. Il mare, sempre alla destra, appare e scompare nell’alternarsi di piccoli boschi che lasciano spazi a brevi pianure. Quasi torno a toccarlo in prossimità di Cueva e della sua playa, ma poi, subito, il Cammino sterza di nuovo un poco verso l’interno e mi riconsegnerà, brevemente, al mare, in quel di Luerca.
Luerca è un bel paesino racchiuso intimamente in una baia. Vi arrivo dalla parte alta del paese, sul promontorio de la Atalaya con tanto di faro, dove si trova anche l’Ermita de Nostra Señora de la Blanca. Un tempo era porto di baleniere, oggi località turistica aggredita dall’edilizia dozzinale che ne consegue.
Percorro il lungo porto, mi fermo per un caffè nel locale di un burbero barista che sembra pensare: “Dove va questo che sta per venire giù il cielo?”; ed è curioso, perché mentre bevo il caffe io sto pensando: “Tutta sta pioggia non mi pare proprio”.
Risalgo dalla zona del porto per uscire dal paese e la pioggia comincia a cadere da subito in modo intenso, senza avvisaglie, per poi proseguire sempre intensa.
Per fortuna non sembrano esserci grossi dislivelli nei prossimi chilometri. Di fatto, pur senza mai percorrerla si segue la statale N-634 attraversandola in continuazione su stradine locali ma sempre asfaltate.
L’abbigliamento antipioggia fa un eccellente lavoro, ma ormai sembra quasi sera per quanto fitto si è fatto il manto nuvoloso. Dopo una trentina di chilometri di ciclismo subacqueo, identifico in A Caridá il luogo giusto dove provare ad asciugarmi e riscaldare le ossa umide.
Trovo un bell'hotel rurale, non lontano dal centro di questo piccolo paesino. La persona che mi accoglie, estremamente premurosa, si offre di lavare e asciugare le mie cose per il mattino successivo, sono costretto quasi alla lite per poterlo pagare. Ci accordiamo: questa sera andrò a prendere una birra e a cenare nel ristorante che gestisce appena dietro l’albergo. Imprenditore moderno che sa diversificare.
Bagno caldo. Dopo aver pensato a me, tocca alla bicicletta: una bella asciugatura e un’abbondante lubrificata.
La pioggia non ci pensa lontanamente a smettere. Raggiungo il locale per la cena cercando riparo dove possibile e in alternativa correndo. Scendo le scale per entrare nel Porches Pub di A Caridá.
Il locale è carino, un lungo bancone con comodi sgabelli da un lato, una slot che ammicca svogliata, una sala ristorante che in uno degli angoli ha un forno elettrico per pizze, infine un piccolo bigliardo illuminato da un potente neon sopra di esso. Nessuno ad accogliermi, nessun cliente all’interno, eppure l’orario, le 20, è quello che mi era stato suggerito. Mi siedo e dopo pochi minuti ecco il mio uomo comparire da quella che immagino sia la cucina. Contento di vedermi mi confessa che non era certo che sarei venuto. Si unisce a me per alcune birre. Non ha pinchos come ci si aspetta da tradizione e sgranocchiamo qualche patatina.
Mi parla del locale, di come vorrebbe trasformarlo per l’estate in arrivo. Intanto comincia a giungere qualche cliente, dei ragazzi prendono una birra e si dirigono al bigliardo. Sto per spostarmi al ristorante quando vedo arrivare due uomini, uno mi saluta e si avvicina, l’altro lo segue. Chi mi saluta è un ciclista spagnolo, Angel, che ho incrociato giorni fa e con cui ho percorso un tratto della strada verso Aviles, l’altro un italiano di Norcia che sta seguendo il Cammino a piedi.
Ceniamo insieme, menù del Pellegrino e vino tinto. Tanti racconti di viaggi passati e progetti futuri. L’amico umbro, Antonio, ha già percorso molti cammini tra i quali la Via Francigena, fermandosi per la notte a pochi chilometri da casa mia e mi interroga su alcune delle cose viste. In particolare, mi affascina il suo quaderno dove annota ogni dettaglio dei luoghi in cui trascorre la notte. Più tardi ci raggiunge anche il titolare per l’ultimo giro di vino. Abbracci a saluti. Domani si torna a viaggiare, con velocità diverse, ognuno con le proprie storie ad inseguirci.
9. A Caridá - Vilalba
93,1 km |1.692 m D+
Al mattino il vento ha spazzato via le nuvole e asciugato quasi del tutto la pioggia. Oggi succederanno di sicuro due cose: si entrerà in Galizia lasciandosi le Asturie alle spalle e si saluterà l’oceano e la sua persistente presenza sul lato destro della strada. Tutte e due nello stesso luogo, Ribadeo.
Intanto partiamo. Ultimo tratto di costa. Ci sono diversi itinerari che si sovrappongono o si alternano al Cammino. Cerco di restare in prossimità del mare, non riuscendoci sempre. Il vento ha trasformato i paesaggi plumbei di ieri e mi regala gli ultimi scorci della costa illuminati da un bel sole, la “tassa” da pagare è un vento contrario fastidioso che continuerà a disturbare il pedalare anche quando, dopo Ribadeo, svolterò verso sud. Persecuzione?
Quando il cammino arriva alle porte della cittadina, mi lascia di fronte a un grosso ponte. Attimo d’inquietudine, e adesso? Mi trovo davanti il Puente de Los Santos, sul rio Eo, lungo 600 m. Si tratta del ponte su cui corre la superstrada A8, più volte scorta nel corso del viaggio. Ha inizio a Bilbao dove termina l’autostrada AP-8 che si “genera” a Irun; insieme sono di fatto una lunga striscia di asfalto a più corsie che segue la direzione est\ovest lungo la costa nord della Spagna.
Tranquilli, la sorpresa è finta, tutto era specificato nella guida, però ci vuole qualche secondo per capire dove passare. La scoperta è liberatoria e inquietante, conviene non soffrire di vertigini. Si tratta di un camminamento ricavato all’esterno della sede stradale, con griglie di protezione sul lato della strada e una ringhiera sul lato del vuoto, largo meno di 2 metri. Di fatto non ci pedalo dentro, la sagoma della mia bicicletta con le sue borse posteriori esterne concede poco margine. Seduto sulla sella mi spingo a mo’ di monopattino per questi 600 metri e finirli è un sollievo.
Lo stesso sollievo che provo nel vedere il ponte allontanarsi mentre comincio a dirigermi verso l’entroterra e incontro i primi famigliari mojon galiziani con la concha di Santiago. Il Cammino s’inoltra nella Galizia rurale, spesso i paesini che si attraversano sembrano disabitati. Anche le salite s’induriscono e soprattutto si allungano. Si sale fino a Vilamartin Grande per poi scendere verso Lourenzà.
A Lourenzà (Vilanova de Lourenzà) segnalo il complesso benedettino di San Salvador del X secolo con il suo Museo di Arte Sacra. Rapido bocadillo proprio di fronte al complesso che si trova nel centro della cittadina e si ricomincia a salire con il vento che non molla la sua azione di contrasto. La ricorderò come la tappa più impegnativa insieme a quella che mi ha portato a Gijón. Supero una prima collina per raggiungere Mondonedo, da lì si torna a salire lungo una valle boschiva, pressoché disabitata che a fatica mi permetterà di raggiungere la meseta di Lugo in quel di Gontan e poi proseguire verso la fine tappa di Vilalba. Affaticato mi rifugio per gli ultimi 12 km sulla N-634 lasciando per un po’ il Cammino.
Il primo giorno di Galizia lo festeggio a cena con dell’ottimo pulpo gallego e un caldo a base di cavolo (caldo gallego).
10. Vilalba - Arzua
81,1 km |1.080 m D+
Uscendo da Vilalba, per la prima volta avverto la malinconia che sempre prende quando il viaggio sta per finire. Mancano poco meno di 120 km a Santiago, in teoria potrei già arrivare questa sera; decido di non affrettarmi, arriverò a Santiago domani, domenica, in tarda mattinata, con tutta calma.
Percorro i primi 20 km e giungo a Baamonde. Oggi sarà una giornata tranquilla. Passo il mojone dei -100,459 km a Santiago e opto subito per un caffè. Bevendo ricordo come l’anno passato questo conto alla rovescia verso i -100 km sul Cammino francese era scandito in pratica ogni 150 metri e terminava in una celebrazione colorata al suo raggiungimento. Colorata di pellegrini, quasi in coda per la foto ricordo, e colorato il mojone, che mi aveva immediatamente ricordato la tomba di Jim Morrison nel cimitero del Père-Lachaise a Parigi, visitato questo in una scappatella durante la gita di fine scuole superiori.
Tutto questo Cammino è stato diverso dal più famoso e trafficato francese, nel bene e nel male. Il mojone successivo a quello precedente al caffè, recita -99.994km a Santiago, 6 metri prima un cumulo di pietre, un paio di scarponi da trekking e qualche concha celebrano, senza numeri, i -100km. Una scelta differente.
Qualche chilometro dopo lascio la statale su cui ho pedalato da questa mattina, abbandono l’asfalto seguendo le frecce gialle e il Cammino mi porta nuovamente nella Galizia più rurale. L’Ermita de San Alberte, che trovo a fianco di un ponticello di pietre, m’introduce in una vasta area di boschetti, case e i classici crocifissi di pietra a ogni incrocio.
L’Alto Marco das Pias è l’ultima difficoltà della giornata, in discesa raggiungo Sobrado dos Monxes dove si trova il celebre monastero cistercense di Santa Maria del X secolo tuttora abitato dei monaci. Lo visito e faccio due parole con uno dei monaci, lui americano, che vivono al suo interno. Dal 1966 il Monastero è diventato Trappista, i monaci producono birra, ma anche miele e prosciutto.
La chiacchera mi ha messo appetito e terminata la veloce visita ne approfitto per un piccolo, nelle intenzioni, pranzetto al sole nella piazzetta a fianco del monastero. Sottovaluto le porzioni, ricevo un’enorme insalata russa che di fatto basterebbe per completare il pasto e, avendola immaginata “normale”, dopo mi tocca, sempre di dimensioni “XL”, una milanese con patate al forno; tutto poco spagnolo, tutto molto buono e soprattutto molto grande. Due radler completano il pasto dell’atleta che si alza appesantito e riparte.
Prima di iniziare il viaggio l’idea originale era quella di percorrere il più possibile strade alternative al Cammino francese già pedalato l’anno precedente. Arrivato a Boimorto si aprono diverse possibilità: una prima variante verso A Brea, normalmente scelta dai Camminanti dove ci si riunisce al Cammino francese, oppure, un poco più lunga, in direzione di Lavacolla, di fatto l’aeroporto di Santiago. In questo punto poi il cammino è unico verso la Plaza do Obradoiro dove si trova la Cattedrale di Santiago de Compostela. Io scelgo una terza, non inventata da me, ma che si ricongiunge al Cammino francese ad Arzua. Mancano meno di 40 km a Santiago.
Mi fermo per la notte. Il pomeriggio lo passo con le birre di fine tappa a osservare l’allegro caos dei pellegrini impegnati sul percorso più famoso e organizzato tra quelli diretti a Santiago. Basta con la solitudine e silenzio che avevano contraddistinto i giorni precedenti.
11. Arzua - Santiago
38,6 km |688 m D+
La Galizia non si smentisce. Sono le otto del mattino e mentre cerco un posto per fare colazione, Arzua è immersa nella nebbia e fa freddissimo. Ci sono già parecchi camminanti in azione: chi pronto a partire, chi come me alla ricerca del caldo di un bel caffè. Per loro oggi è quasi certamente il penultimo giorno, per me l’ultimo.
Questi 40 km scarsi che ancora mancano li ho pedalati l’anno scorso. In dettaglio ricordo che partiti da Melide, proprio Arzua aveva rappresentato la pausa caffè dopo le prime ore di pedalata.
Si coglie immediatamente la grande differenza in termini di presenza di pellegrini. Come già nel pomeriggio di ieri nella piazza di Arzua, anche questa mattina è presente un numero altissimo di camminanti. Probabile che solo questo breve tratto basti a pareggiare il numero di persone che incontro e i buen camino di saluto con cui mi allontano rispetto ai giorni passati.
Allora diventa tutto un ricordare come erano le cose l’anno passato, a riconoscere i luoghi, a fotografarli identici. Ripercorrere le strade non è mai noia, ci ripassiamo sopra dopo un po’ di tempo, loro sono forse rimasti uguali o almeno simili, noi no.
A esplicitare meglio questo ragionamento, succede che, una volta arrivato a Monte do Gozo, paesino che sovrasta Santiago, dove tutti i pellegrini che nel corso dei secoli hanno percorso il cammino, vedono per la prima volta la meta del lungo camminare, Santiago e la sua Cattedrale. La mia schiena, che qualche avvisaglia aveva dato nei giorni passati, dice che basta! Lei non ne vuole più sapere!
La convinco, per fortuna pedalare una volta raggiunta la sella non è un grosso problema. Raggiungere la sella un poco di più.
Ancora la memoria. L’anno passato arrivando vero il centro di Santiago, un cartello di divieto per le biciclette ci aveva imposto di girovagare un poco prima di raggiungere la Cattedrale. Oggi, in prossimità dello stesso cartello, scendo dalla bicicletta e come un camminante percorro le ultime centinaia di metri a piedi.
La cattedrale non appare che all’ultimo, come tutte le star dello spettacolo. Servono alcuni gradini e finalmente raggiungo la piazza. La Cattedrale quest’anno è priva di ponteggi. Al centro della piazza la gioia di chi è arrivato, magari dopo più di un mese di cammino. Sul lato opposto, un poco all’ombra, coloro che sono arrivati già da qualche minuto, e adesso sono appoggiati al muro, si godono il traguardo di fronte a loro. Le biciclette di chi come me è arrivato pedalando sono sparse ovunque.
Foto di rito con l’aiuto di una giovane pellegrina coreana e poi è ora di pensare alla logistica per poi godersi un buon pasto.
Come l’anno passato mi reco nell’ufficio postale nei pressi della cattedrale e impacchetto la bicicletta per spedirla verso casa, ci salutiamo li. Il servizio offerto è efficiente e lo consiglio. Per la notte la stessa pensione dell’anno passato, Libredon, anch’essa a due passi dalla Plaza do Obradoiro. Non sono abitudinario, forse un po’, ma mi sono trovato bene ed è estremamente comoda, seppure non sia prevista la colazione o la custodia delle biciclette per la quale si può fare affidamento sempre allo stesso ufficio postale a due passi.
Centrale la pensione sì, ma non comodissima per la stazione dove il mattino seguente mi reco per prendere, come fatto anche l’anno passato, il trenino che in 12 ore ripercorrere la Spagna in direzione opposta fino ad Irun.
La mia schiena preferisce stare seduta che ciondolare a piedi. Arrivato in stazione ecco la sorpresa: il treno è pieno e non ci sono più biglietti disponibili. Confesso una gran sorpresa visto che l’anno passato era mezzo vuoto. Mi spiegano che il lunedì capita spesso, perché i pellegrini tendono ad arrivare in massa la domenica e quindi a ripartire, sempre in gran numero il lunedì. In effetti l’anno scorso il rientro era stato fatto a metà settimana. Alternative nessuna. Compro il biglietto per il giorno successivo e ri-ciondolo, dolorante, verso la pensione. La sorridente signora della Reception non infierisce sulla situazione e mi conferma la stanza, appena lasciata, per un’altra notte.
Un altro giorno di turismo, seppure a mezzo servizio causa schiena, non è poi proprio una disgrazia. Trovo anche una farmacia per pomate e antidolorifici ( sono abituati ai pellegrini feriti) e perfino un barbiere, insomma posti dove si può stare seduti, tipo bar e ristoranti. Grazie Renfe.
Il mattino dopo, tutto fila liscio. Treno in orario, la sera alle 20 sono a Irun dopo una giornata intera. Nanna e poi mi aspetta un altro giorno di viaggio in auto. Due viaggi in uno: la macchina torna verso est, i ricordi pedalano verso ovest.
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senapino
Nasco molto tempo fa (1966) in Val di Susa, e poi avercela una di biografia. Pedalatore reale, viaggiatore su Maps. Qualche volta esco dalla mappa virtuale. Quando non sono affetto da smart working, ciondolo tra la valle e Torino dove lavoro, rigorosamente in treno+bici. Racconto il viaggio per memoria personale, per invogliare altri viaggiatori come me, più d’intenzione che di fatto, a partire. Decidere di partire in fondo è la cosa più difficile del viaggio. Viaggiare è facile, e se qualche volta sembra di no, vi state sbagliando. Pochi altri viaggi fatti, un altro Santiago lungo la via del Nord lo scorso anno e qualche una\due giorni “dietro casa” in Francia a caccia di salite. Intenzioni pressoché infinite, la scusa un classico: il tempo, e un sacco di altre fesserie. Ma ci sto lavorando.
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