I primi chilometri in bici sono alle spalle; il periodo di assestamento per digerire fuso orario, clima, acquisire un pò di abitudine a stare in sella per molte ore e conoscere l'atteggiamento delle persone nei nostri confronti è passato.
Ci siamo spostati nella zona più occidentale della Thailandia, percorrendo la vallata del fiume Kwai che conduce fino al villaggio di confine di Sagklaburi dove molti birmani si sono rifugiati per sfuggire alle persecuzioni del governo militare del loro paese.
Per ora ci ha entusiasmato il calore e la cordialità con cui la gente ci accoglie quando passiamo affaticati in sella alla nostra bicicletta e ci ha stupito l'enorme biodiversità presente: migliaia di alberi da frutto e fiori differenti si trovano soltanto alzando lo sguardo lungo la strada.
Lasciata Bangkok in un traffico infernale ci siamo diretti verso ovest... un calvario soltanto uscire dalla città. Prima difficoltà del viaggio è costituita da un ponte sul fiume: per attraversarlo evitando il traffico suicida della metropoli dobbiamo salire 3 rampe di scale, che non sarebbero uno sforzo eccessivo se non avessimo con noi circa 30 kg di bici ed attrezzatura a testa...
Completiamo l'ascesa e già dobbiamo affrontare un secondo ostacolo: per imboccare la direzione corretta dovremo svoltare a destra (qui si guida a sinistra!) su un cavalcavia
autostradale ma crediamo sia un'impresa impossibile e così chiediamo se ci sia una alternativa meno trafficata... no!
A quanto pare nessuno si scompone e tutti ci indicano il trafficatissimo svincolo ma in lontananza ci sembra di scorgere un'ancora di salvezza: un poliziotto. Non può indirizzare
due ciclisti, peraltro stranieri, su quella strada. Significherebbe infrangere chissà quante leggi oltre a mandare alla gogna due ricchi occidentali. Il nostro salvatore ci indica la via ed anzi, ci accompagna pure... fino all'imbocco dello svincolo, invitandoci ad attraversare tre corsie per infilarci sul cavalcavia! Allibiti, non ci resta altro che arrenderci, pregare il dio del traffico di concederci la grazia e prendere la via principale verso
Nakhom Pathon.
Dopo Nakhom Pathon e la sua
pagoda immensa, raggiungiamo a
Kanchanaburi l'imbocco della valle del Kwai, dirigendoci
verso la Birmania. Il caldo non ci dà tregua e riusciamo a percorrere pochi chilomteri al giorno. L'indomani visitiamo il
Wat Tham Phu Wa deviando dalla strada principale. La caratteristica primaria che distingue questo tempio è il fatto di essere costruito all'interno di una grotta piena di stalattiti. La suggestione è enorme e restiamo molto colpiti anche da una surreale conversazione con un monaco del tempio.
La nostra esperienza con i monaci buddhisti non è finita qui per oggi visto che la nostra ricerca di un
campeggio per la notte non porta alcun frutto. Quando ormai la notte ci sta per sorprendere, siamo così costretti a chiedere ospitalità in un altro monastero che troviamo provvidenzialmente sulla nostra strada. Il monaco che ci accoglie, pur vivendo in povertà assoluta, è gentilissimo: ci trova una stanza vuota ma riparata dove possiamo aprire la tenda (per ripararci dai miliardi di zanzare) e dopo qualche minuto ritorna portandoci del pane e dell'acqua fresca.
Un vero angelo custode!
La visita di questa vallata scavata dal fiume Kwai che nasce al confine con la Birmania prosegue raggiungendo le cascate di Sai Yok dove termina anche la ferrovia della morte.
Da qui saliamo su un bus che ci conduce fino alla testa della vallata, nel paese di
Sagklaburi dove possiamo ammirare il nostro primo tramonto infuocato sul ponte di legno che conduce nel
villaggio Mon oltre il fiume. Il monsone ci accompagna facendoci visita praticamente ogni giorno: uno scroscio forte di mezz'ora oppure una leggera pioggerellina per tutta la giornata contribuiscono ad alzare notevolmente l'umidità.
Lasciamo il villaggio che giace ad una ventina di chilometri dal confine birmano e iniziamo a ripercorrere a ritroso
la valle del Kwai in bicicletta. Appena fuori paese uno strappo massacrante (credo che abbia avuto pendenze attorno al 20%) ci fa capire che la strada percorsa in bicicletta è ben altra cosa rispetto all'averla seguita in bus. Ci fermiamo nel
parco di Kao Laem, uno dei numerosi
parchi nazionali della zona facendo una breve passeggiata nella foresta pluviale e ammirando ancora altre cascate, particolarmente ricche di acqua in questo periodo.
Prima di rientrare a
Nam Tok e deviare verso est, abbiamo ancora l'occasione di visitare il
museo dell'Hellfire pass, dedicato ai 60000 prigionieri di guerra ed agli oltre 200000 lavoratori thailandesi impiegati nella costruzione della ferrovia.
Questa zona ancora poco conosciuta al turismo occidentale (quasi nessuno parla inglese) merita sicuramente considerazione per le meraviglie naturali che è possibile ammirare (laghi, cascate, grotte, foresta...) e per la presenza della ferrovia della morte che costituisce un vero e proprio museo a cielo aperto.
Questo articolo fa parte del diario di viaggio tenuto in diretta del progetto Downwind. Se volete leggere le altre puntate, ecco qui tutti gli articoli dei nostri dieci mesi in bicicletta nel sud est asiatico
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