80 anni appena compiuti e due occhi dolci che sembrano guardarti nell'animo. Ettore Mo è uno dei più grandi giornalisti di sempre: viaggiando come reporter del Corriere della Sera ha assistito in prima persona ai più importanti eventi degli ultimi decenni: dall'ascesa dello Ayatollah Khomeini alla guerra in Bosnia, dalla guerra dei Narcos di Ciudad Juarez all'ultima intervista al tenore Pavarotti.
Ettore Mo si può senz'altro definire uno dei più grandi viaggiatori del nostro tempo anche se ha viaggiato per la maggior parte del tempo per lavoro, come reporter di guerra per il Corriere della Sera, per documentare quello che accadeva nel mondo e farlo arrivare sui nostri quotidiani quasi in tempo reale. Un po' come Tiziano Terzani, che però si occupava solo dell'Asia per il Der Spiegel, Ettore Mo ha trascorso l'intera vita a viaggiare da una parte all'altra del globo per scrivere ciò che accadeva. Ho avuto il piacere di incontrare il grande reporter del Corriere della Sera un paio di mesi fa in occasione di una due giorni organizzata dal Distretto culturale della Val Camonica. Per l'incontro era accompagnato dal fotoreporter Luigi Baldelli, suo compagno di viaggio e lavoro dal 1995. La loro grande avventura insieme iniziò durante la terribile guerra nella ex Jugoslavia quando si conobbero meglio... per caso. Dai balcani, per una serie di fortunate coincidenze, partirono insieme per l'Afghanistan e, negli anni successivi, le parole di Ettore Mo divennero indispensabili alle fotografie di Luigi Baldelli e viceversa...
Chi è Ettore Mo?
Ettore Mo nasce nel 1932 a Borgomanero, a due passi dal lago d'Orta e dalla bella isola di San Giulio. Studia all'università di Venezia, ma prima di laurearsi inizia a viaggiare in Europa mantenendosi con i lavori più improbabili: steward, infermiere, cameriere, Londra, Amburgo, Madrid, Milano... Nel 1962 conosce Piero Ottone, l'allora inviato del Corriere della Sera a Londra e grazie a questo incontro entra nella redazione del giornale. Per 17 anni Ettore Mo scriverà solo di spettacolo e cultura fino alla grande svolta del 1979 quando, il direttore Franco di Bella lo manderà a Teheran per raccontare il rientro di Khomeini dall'esilio in Iran e l'invasione russa in Afghanistan. Nel paese di Nassirya tornerà svariate volte durante la sua vita giornalistica... anche da clandestino. Nel 1981 incontrerà il leone del Panshir, Ahmad Shah Massoud, che per anni (fino al 2001 quando venne ucciso in un attacco suicida due giorni prima dell'attentato alle torri gemelle) cercò di difendere il suo popolo dal folle regime dei talebani. Nel corso degli anni in viaggio, incontrerà i personaggi che hanno fatto la Storia del nostro secolo: il generale Giap in Vietnam, Madre Teresa di Calcutta in India ed anche i Beatles a Londra.
Lo spirito di Ettore Mo
La filosofia da giornalista di Ettore Mo è sempre stata quella di essere sul posto per poter parlare con le persone, vedere quello che succede e poi poterlo raccontare direttamente ai lettori, perchè dopotutto il giornalista ha la responsabilità della veridicità dei fatti che riporta e degli episodi di cui scrive. Ascoltando la sua intervista, i suoi racconti e la sua voce, mi è sorta una domanda che son riuscita a porgli con estrema spontaneità. Ettore Mo ha 80 anni, tre figli e due nipoti, è nonno ma, come aveva già ammesso in un'altra occasione, quando riesci ad essere testimone dei più grandi avvenimenti storici, non riesci più a farne a meno. Con Luigi ha appena realizzato un documentario a Ciudad Juarez, la città dei narcos messicani e, nonostante sia in pensione, stà già progettando il prossimo viaggio ad Haiti. In un momento di calma, mi sono avvicinata ad Ettore che si è mostrato subito disponibile: "Ettore ma, davanti a tanta violenza, alla guerra, ai bambini morti, agli omicidi... come fai a mantenere quella freddezza necessaria a scrivere? Come fai a non buttare via subito il tuo taccuino per correre ad aiutare le persone?" La sua espressione neutra si è subito accesa in un sorriso: "Sai, spesso abbiamo lasciato il taccuino e la macchina fotografica nello zaino per parlare con le persone, per aiutare come potevamo, ma poi se noi non raccontiamo il mondo, chi lo fa? Se noi non parliamo e non mostriamo la crudeltà e le guerre, chi potrà conoscere la verità?"
Fare il giornalista
Luigi Baldelli cita Indro Montanelli: "Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare". Dal 1995 Luigi Baldelli ed Ettore Mo hanno iniziato a girare il mondo insieme, ma il loro lavoro non è mai stato un lavoro qualunque anche se dalle parole dei due traspare un senso di abitudine, di quotidianità e di tranquillità nello svolgere una professione come questa. I giornalisti hanno una grande responsabilità nei confronti del loro pubblico, dei loro lettori. I giornalisti devono raccontare la verità ed è spesso difficile non far prevalere i sentimenti, le emozioni e, talvolta, anche la percezione errata delle situazioni. Più volte Ettore Mo si è trovato nel bel mezzo di guerre e rivoluzioni, ha certamente fatto il possibile per rendersi utile, ma poi, ad un certo punto, ha dovuto mettere da parte l'istinto dell'uomo per raccontare la verità. La ricerca della verità, per quanto violenta e crudele sia, non finisce mai, quando la si è cercata per tutta l'esistenza, diventa come una droga della quale non si può fare a meno ed ancora oggi, all'età di 80 anni Ettore Mo programma il suo prossimo viaggio ad Haiti...
Rischiare la vita
Ettore Mo è stato in Afghanistan moltissime volte. Una volta, accompagnato da un collega afghano, salì fra le montagne per incontrare uno dei capi dei mujahiddin, un uomo terribile come lo stesso Ettore Mo lo ha definito. Da Kabul chiese informazioni a Massoud che gli indicò la via ma gli sconsigliò di incontrarlo. Raggiunto il rifugio di questo capo afghano, vennero concesse due interviste: una ad Ettore Mo ed una al collega afghano Jalil. Terminate le interviste i due si ritrovarono per tornare verso Kabul ma le parole di minaccia pronunciate dal capo afghano a Jalil preoccuparono molto Ettore Mo. Dopo 20 minuti di strada dal rifugio fra le montagne, la jeep dei due giornalisti venne fermata da dei guerriglieri che strattonarono Jalil. Il giornalista afghano piangendo si rivolse ad Ettore Mo dicendo: "Goodbye Ettore, this is the end"! Ettore Mo fu costretto a risalire sulla jeep per tornare a Kabul e poche ore dopo seppe che Jalil, il suo collega afghano, era stato ucciso.
Le parole su carta non muoiono mai...
Ettore Mo è solito dire di non aver scritto alcun libro, perchè sono gli editori a roirdinare i suoi articoli per farli uscire pubblicati in volumi. Nel 1987 esce il primo libro di Mo: La Peste, la fame, la guerra edito Hoepli, ma nel corso degli anni gli articoli del grande giornalista daranno vita a molti altri libri sul mondo visto e vissuto dai più poveri, dai più deboli, sugli inferni del nostro tempo... Noi, dopo averli letti personalmente, possiamo sicuramente consigliarvi Treni, nove viaggi ai confini del mondo e della storia e I dimenticati, con le fotografie di Luigi Baldelli.
Se non conoscete ancora Ettore Mo o volete approfondire i suoi viaggi e conoscere meglio il giornalista Mo, potete consultare l'archivio del Corriere della sera che conserva ancora moltissimi dei suoi articoli. Buona lettura!
Ettore Mo è uno dei più grandi viaggiatori del nostro tempo ed ha avuto la possibilità di girare il mondo grazie al suo lavoro di reporter. Altri viaggiatori hanno fatto la scelta di cambiare la loro vita ed iniziare a scoprire il mondo in sella ad una bicicletta o cercando in ogni attimo quel brivido che solo l'avventura sà darti... di alcuni di loro potete leggere qui le appassionanti storie: Annie Londonderry, Fosco Maraini e Luigi Masetti!
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