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La mia Africa, il mio Congo
Scritto da ruggy1976
L’anno scorso, di questi tempi, un’associazione di volontariato di Cremona ha proposto a me e a mia moglie di fare un’esperienza di volontariato a Goma, in Congo. All’inizio abbiamo avuto qualche piccola incertezza visto che questo stato è da sempre, e ancora oggi, scenario di guerra ma poi il desiderio e la voglia di partire sono stati fortissimi. Durante l’anno abbiamo organizzato diverse raccolte di medicinali, vestiti, giocattoli, materiale scolastico e fondi per le diverse attività previste, per aiutare ove possibile, le persone che avremmo incontrato durante il nostro soggiorno in Africa.
Il 10 agosto di quest’anno è finalmente arrivato… abbiamo raccolto tutte le nostre cose e siamo partiti. Dopo quasi 20 ore di viaggio, tra scali e attese in aeroporto, siamo finalmente giunti in Rwanda dove un mezzo ci attendeva per portarci a Goma, in Congo, presso l’abitazione di Luisa. Luisa è una donna che vive da 40 anni in Africa, è responsabile di un centro a sostegno dei malati di Aids. E’ una donna silenziosa, pratica, severa con se stessa ma di una straordinaria umanità. Ci ha accolto con grande affetto e per tutta la durata del soggiorno ci ha amorevolmente sostenuto in tutte le nostre difficoltà. Le nostre valigie erano piene di cose che credevamo utili, abbiamo creduto che grazie ad esse avremmo cambiato le sorti di qualcuno o qualcosa… la realtà è stata ben diversa! Sicuramente abbiamo riempito la medicheria di un ospedale, gli armadietti vuoti delle scuole dei bimbi, i cassetti di persone che non hanno di che vestirsi. Ma a quale scopo? Chi mai potrà colmare il nostro senso di impotenza, di rabbia e di dolore di fronte a tutto quello che abbiamo visto, vissuto, sofferto con e per loro. Cosa potremmo mai fare o dire per colmare la frustrazione di una madre che vede morire la propria figlia di 18 mesi che pesa 1 chilo e 800 grammi, all’ultimo stadio di denutrizione… una bimba che prima di arrivare al centro è stata “visitata” dal santone che pensando fosse un demone a ridurla uno scheletro l’ha puntellata con una forchetta rovente causandole ustioni su tutto il corpo. Non c’è nulla al mondo che possa alleviare il dolore di una madre che negli ultimi attimi di vita di sua figlia grida perdono a Dio per non averle dato da mangiare come avrebbe dovuto. Cosa potremmo mai fare o dire ai ragazzi del GRAM (Centro di recupero di ragazzi malati di AIDS) che piangono perché malati di AIDS, perché i loro genitori sono malati, perché non hanno i soldi per le cure, perché non c’è libero accesso alle medicine. Del resto in Africa si muore per una banale influenza e allora come si potrebbe sperare di avere qualche chance per una malattia cosi grave. Del resto in Africa, nel 2012, si combatte ancora nelle credenze popolari che portano le persone malate di AIDS a pensare che avendo rapporti con donne vergini sane la malattia sparisce come per magia. Il risultato è che le ragazze del centro oltre a subire le conseguenze di una malattia cosi devastante sono anche vittime innocenti di abusi sessuali da parte di parenti ed amici. Cosa potremmo mai fare o dire per i bimbi del centro Ngagi del Don Bosco che ti accolgono correndoti incontro con questi grandi occhi neri un po’ spauriti, che ti chiamano papà perché forse il loro è stato ucciso per mano dei ribelli, che ti fanno grandi sorrisi solo perché tu sei lì con loro, che ti toccano e ti coccolano come mia mamma ha fatto per me, che anziché avere sulle spalle uno zainetto per la scuola portano con se una ciotola vuota in attesa che qualcuno dia loro un pugno di riso… eh sì, questa guerra ha strappato anche la loro tenera fanciullezza che avrebbero meritato, che ogni bambino avrebbe diritto a vivere.
Cosa potremmo mai fare o dire per i prigionieri del carcere minorile che sanno quando sono entrati ma che non è dato sapere quando usciranno, che dovrebbero essere in 200 e invece sono più di 1500, che dormono in 3 in un posto letto singolo, che durante l’ora d’aria, nel cortile interno della prigione, sono talmente numerosi che sono costretti a rimanere in piedi perché non c’è nemmeno lo spazio fisico per sedersi, che non hanno diritto ad un pasto almeno giornaliero perché il governo congolese non ha fondi, che nel cuore della notte gridano “mimi nina njaa mimi nina njaa” che significa “ho fame ho fame” e che a volte li trovi avvolti in un sacco nero di plastica finalmente liberi da questa ignobile prigionia, da questa miserabile guerra. E per cosa? Per una mela rubata al mercato? Per fame?
Noi, figli dell’occidente, che abbiamo tutto e che nonostante ciò a volte ci lamentiamo per indotti desideri, che abbiamo una famiglia sana e amorevole, che abbiamo amici fidati, che abbiamo un lavoro ben pagato, che abbiamo soldi, una macchina, un cellulare ed un pc cosa mai potremmo dire o fare per strappare un sorriso a coloro che hanno perso la speranza di una vita migliore, che nel cuore della notte mentre riflettono su come sbarcare il lunario, fuori dalle loro case fatte di mattoni di fango e lamiera per tetto, sentono raffiche di mitra… Eh sì, la guerra di cui nessuno parla, la guerra a cui nessun africano ha più la forza di ribellarsi, la guerra a cui l’occidente assiste silenzioso, la guerra per cui le multinazionali fanno i loro sporchi profitti, la guerra in cui l’ONU dovrebbe intervenire per ristabilire la pace e invece rimane immobile in attesa di chissà quale intervento divino.
Le nostre valigie erano piene di cose che credevamo utili, abbiamo creduto che grazie ad esse avremmo cambiato le sorti di qualcuno o qualcosa… Al nostro rientro erano vuote ma siamo tornati con un carico unico e prezioso, un bagaglio di esperienze, di luoghi, di incontri, di sguardi, di sorrisi, di emozioni contrastanti e di lacrime condivise che nessun’altra esperienza ci potrà mai donare. Il nostro cuore e la nostra anima traboccano di gioia e di tristezza allo stesso momento. Nella nostra mente sono scolpite a fuoco le parole di chi abbiamo incontrato, che ci hanno dato tutto... e noi non abbiamo dato nulla se non la nostra appassionata presenza anche solo per tre settimane.
Se volete riempirvi gli occhi con le splendide immagini di Fabio, non potete perdervi il suo reportage fotografico sul Congo intitolato Congol eyes, buona visione!
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico