Salire, scendere e poi risalire... è un arduo compito lasciato a temerari di tempi lontani, tempi in cui l'ardito era elogiato, rispettato, temuto. Ormai l'ardito, nel nostro mondo tecnologico e sviluppato, è un diverso, un eccentrico senza futuro, un soggetto da isolare e da cui prender le distanze. Noi, che del mondo moderno ci facciam beffa sfruttandolo di tanto in tanto per ricaricare le batterie e prender fiato, stimiamo molto chi d'ardore non teme ma freme. Noi, che di salire, scendere e poi risalire godiamo e gioiamo, ancora una volta ci siam catapultati nel mondo dei vinti a veder un po' come si stà.
Ed in fondo, di essere sconfitti, sottomessi, calpestati... questi fieri agricoltori e allevatori delle valli e dei monti d'Indocina, non se ne fanno così tanto cruccio!
Vivono, anzi sopravvivono alla malevolenza del destino sorridendogli, giocandoci assieme ed a volte, quando se lo merita, dandogli una sonora pedata nell'ampio fondoschiena. Quel malandrino, il destino, li ha voluti far nascere nelle viscere della foresta di un paese la cui civiltà risale a migliaia di anni fa. Civiltà spazzata via da quegli uccelli di lamiera che hanno defecato sulla loro testa centinaia di migliaia di tonnellate di strani attrezzi su cui tutt'oggi, a distanza di quarant'anni, ogni tanto salta qualche bambino che gioca nei campi... e se di quella civiltà era rimasta una fiammella di vita, ci ha pensato una rossa bandiera a spegnerla definitivamente, utilizzandola per ardere vivi coloro i quali osavano mostrar perplessità. Oggi, mentre noi arditi curiosiamo con vergogna tra le macerie di questo mondo, quella fiammella prova a riaffiorare con fatica dalla cenere lasciata. Si vedono teste rasate in abito arancione liberarsi dal timore delle persecuzioni e camminare scalze per le vie cittadine o sui sentieri tra le risaie, per raggiungere templi dall'architettura arcaica, sopravvissuti chissà come agli attrezzi piovuti dal cielo ed alla bandiera rossa issata su tutti i pali. Sono monaci buddhisti, giovani e meno giovani che chiedono rispetto e di che vivere a quelli che da vivere ne hanno meno di loro. Eppure sono felici, sorridono alla vita ed alla gente avanzando con lento incedere, fermandosi per far due chiacchiere, sollevare gli animi e consolare i cuori: in assenza di beni materiali, il supporto morale val più di molto denaro. La gente al loro passaggio non si tira indietro, non gira le spalle né abbassa lo sguardo. Anzi. Prepara doni, cuoce riso, si inginocchia in segno di reverenza sperando in una benedizione. Noi, dal canto nostro, restiamo silenziosi spettatori di un mondo lontano che ci affascina e che nei mesi abbiamo imparato, in parte, a conoscere e capire. Il nostro è un passaggio rapido come quello di un treno ad alta velocità ad una fermata secondaria. Pedaliamo su e giù attraversando il Laos da Nord a Sud, scoprendo angoli di un mondo che non credevamo potesse più esistere. Un mondo fatto di ritmi lenti, momenti di socialità costanti e frequenti, vita comune. In definitiva, un mondo da noi ormai perso. Per questo motivo ce ne siamo andati con il rimpianto nel cuore, la nostalgia già nata prima di uscire.
Vivono, anzi sopravvivono alla malevolenza del destino sorridendogli, giocandoci assieme ed a volte, quando se lo merita, dandogli una sonora pedata nell'ampio fondoschiena. Quel malandrino, il destino, li ha voluti far nascere nelle viscere della foresta di un paese la cui civiltà risale a migliaia di anni fa. Civiltà spazzata via da quegli uccelli di lamiera che hanno defecato sulla loro testa centinaia di migliaia di tonnellate di strani attrezzi su cui tutt'oggi, a distanza di quarant'anni, ogni tanto salta qualche bambino che gioca nei campi... e se di quella civiltà era rimasta una fiammella di vita, ci ha pensato una rossa bandiera a spegnerla definitivamente, utilizzandola per ardere vivi coloro i quali osavano mostrar perplessità. Oggi, mentre noi arditi curiosiamo con vergogna tra le macerie di questo mondo, quella fiammella prova a riaffiorare con fatica dalla cenere lasciata. Si vedono teste rasate in abito arancione liberarsi dal timore delle persecuzioni e camminare scalze per le vie cittadine o sui sentieri tra le risaie, per raggiungere templi dall'architettura arcaica, sopravvissuti chissà come agli attrezzi piovuti dal cielo ed alla bandiera rossa issata su tutti i pali. Sono monaci buddhisti, giovani e meno giovani che chiedono rispetto e di che vivere a quelli che da vivere ne hanno meno di loro. Eppure sono felici, sorridono alla vita ed alla gente avanzando con lento incedere, fermandosi per far due chiacchiere, sollevare gli animi e consolare i cuori: in assenza di beni materiali, il supporto morale val più di molto denaro. La gente al loro passaggio non si tira indietro, non gira le spalle né abbassa lo sguardo. Anzi. Prepara doni, cuoce riso, si inginocchia in segno di reverenza sperando in una benedizione. Noi, dal canto nostro, restiamo silenziosi spettatori di un mondo lontano che ci affascina e che nei mesi abbiamo imparato, in parte, a conoscere e capire. Il nostro è un passaggio rapido come quello di un treno ad alta velocità ad una fermata secondaria. Pedaliamo su e giù attraversando il Laos da Nord a Sud, scoprendo angoli di un mondo che non credevamo potesse più esistere. Un mondo fatto di ritmi lenti, momenti di socialità costanti e frequenti, vita comune. In definitiva, un mondo da noi ormai perso. Per questo motivo ce ne siamo andati con il rimpianto nel cuore, la nostalgia già nata prima di uscire.
In 10 mesi nel sud est asiatico ne abbiamo viste davvero di tutti i colori: bambini di dieci anni che trasportavano su un sacco i fratellini di cinque, topi e blatte sulla nave, ricchi thailandesi impressionati da due cicloviaggiatori che ci offrivano pranzo, scimmie assassine, monaci bambini che si sfidavano in bicicletta, amanti che, nel cuore della notte, aprivano la porta sbagliata, contadini orgogliosi del loro lavoro, mondine nel fango... in questo racconto Leo ha voluto ricordare l'ardore di spirito di tante persone incontrate lungo la nostra lunga strada in Oriente!
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