La mattina seguente mi sveglio verso le 7:30 ed una giornata limpida e fresca fa capolino tra le tende a fiori della mia cameretta.
Mi preparo con calma e scendo a fare colazione nella grande sala a pian terreno come unico ospite dell’albergo. Scambio due parole con il solitario padrone continuando a fare finta di sapere il francese, mi faccio riconsegnare la bicicletta e mi rimetto in sella verso il Col de Turini. Al primo incrocio dopo Sospel trovo le indicazioni per il colle che scopro essere a circa 24 km di distanza: una bella salita, penso fra me e me...
2° tappa: Sospel – Menton (per il Col de Turini)
Distanza percorsa: 130 km
Dislivello in salita: 1250 m
La strada inizia a costeggiare il torrente con un susseguirsi di dolci ondulazioni in leggera salita, per poi imboccare quasi all’improvviso una stretta ed ombrosa gola tra le rocce inerpicandosi sempre più. Mi costringo a non forzare troppo il passo per digerire bene la colazione e non avere problemi sulle rampe più ripide che mi aspettano dietro l’angolo. La profonda gola nella quale mi trovo piega gradualmente verso nord e si fa sempre più impervia e selvaggia; non si scorgono costruzioni tutto intorno, tranne una piccola cappella in lontananza, molto più in alto, che sembra sospesa sull’abisso.
Mi chiedo se dovrò mai raggiungere quella isolata costruzione, testimonianza di una fede religiosa fervida e coraggiosa che ha innalzato un’ode a Dio per mezzo di un’ardita architettura. Ben presto mi rendo conto che sì, dovrò proprio salire fin lassù, a far visita a Notre Dame de la Menour e rendere omaggio all’antico ed audace architetto della piccola cappella. Infiniti tornanti mi separano ancora dall’ameno eremo; prendo il ritmo, quasi mi accompagnasse un valzer lento nello scandire ogni giravolta del nastro d’asfalto che mi guida sicuro verso il cielo. Poco prima delle 10 sono a far visita a Nostra Signora; appoggio il mio cavallo di alluminio al muro della strada e mi accingo a salire l’irregolare scalinata di pietra ricoperta di tenera erba verde sospesa per mezzo di un ponte ad arcate sul profondo abisso della gola calcarea della valle. Un piccolo piazzale con un crocifisso ligneo a destra ed un giovane alberello sulla sinistra dà respiro alla graziosa facciata della chiesetta intonacata di giallo tenue, dietro la quale si scorge il ruvido muro in pietra che curva dolcemente sul retro a formare l’abside.
Mi fermo in contemplazione dell’armonia tra la natura selvaggia ed aspra tutt’intorno e l’aggraziato intervento architettonico dell’uomo che ha saputo ornare l’impervio sperone dove mi trovo con tocco artistico leggero, senza alterarne il delicato equilibrio. Un breve rapporto all’assidua mamma che mi segue con la fantasia sulle carte geografiche della Francia, e poi via, si riparte verso un primo tratto pianeggiante che scorre a mezza costa lungo la valle che si apre leggermente dopo la stretta gola che ne sbarrava l’accesso alla parte superiore. La pianura dura solo pochi chilometri, per dar subito nuovo spazio ad una salita costellata di tornanti a gomito che ben presto mi conducono al villaggio di Moulinet, a circa metà strada tra Sospel ed il Col de Turini. Da qui in avanti lo scenario cambia completamente; con l’aumentare della quota la vegetazione assume un carattere tipicamente alpino, e una folta pineta sostituisce il bosco di latifoglie. Il profumo della resina si diffonde nell’aria primaverile con una fragranza dal sapore agrodolce, mentre la strada continua a salire con numerosi “lacet”, ovvero tornanti in francese; alla vista di ogni cartello che li preannuncia tiro un sospiro di sollievo, in quanto la presenza dei “lacet” scongiura rampe di salita continue che sono molto più faticose da affrontare, non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista psicologico.
Nell’ultimo tratto della salita prima di raggiungere il colle la neve a bordo strada fa la sua comparsa nei versanti più ombreggiati, ed il paesaggio acquista il tipico aspetto dei primi periodi di disgelo; anche sulle montagne vicine, leggermente più alte, la neve rende l’atmosfera quasi invernale. Poco prima di mezzogiorno sono al Col de Turini, dove sul crocevia delle varie strade che portano verso Nizza, ne approfitto per predispormi alla lunga discesa in picchiata che mi aspetta. Ho scelto di percorrere la strada più lunga tra le due che portano a Nizza per poter godere delle bellezze delle Gorges de la Vesubie, come l’amico Alberto, grande ciclista dal quale ho preso ispirazione e conoscitore profondo del territorio, mi aveva suggerito prima che mi mettessi in viaggio.
La discesa verso Bollene de la Vesubie e verso Lantosque offre panorami mozzafiato tra strapiombi rocciosi ai quali è letteralmente appesa la strada e viste aperte sulle profonde vallate rigate da torrenti costellati di pozze d’acqua dai colori sgargianti che vanno dal blu al verde smeraldo. Mi coglie un senso di felicità profonda nel trovarmi libero in questi luoghi selvaggi ed isolati, accompagnato solo dalla mia bicicletta e grazie unicamente alle mie forze. In certi momenti ho l’impressione di poter prendere il volo; il vento sul viso, il cielo aperto, le gole profonde che si spalancano sotto di me immediatamente oltre il precario ciglio della strada, fanno assomigliare la mia cavalcata ad una planata di un rapace che sfrutta le termiche vicino alle rocce scaldate dal sole del mezzo dì. A Bollene de la Vesubie, un piccolo borgo dai tetti di tegole rosse, abbarbicato allo scosceso pendio della montagna, decido di fermarmi per il pranzo. Scorgo all’inizio del vicolo principale un piccola osteria a gestione famigliare che offre un piatto unico a base di hamburger e patate fritte ai pochi commensali che si riposano dal lavoro nei campi o di muratore. Mi sfamo mentre osservo compiaciuto la tranquilla vita quotidiana di una tipica famiglia francese con quattro figli, tra i quali la più piccola, biondissima, non smette di danzare tra i tavoli disposti sul piccolo spiazzo all’aperto dove mi trovo. Dopo una sosta di circa un’ora riprendo il mio viaggio in bici verso valle, dove mi aspettano le Gorges de la Vesubie che scopro ancora una volta all’altezza delle mie aspettative: gole profondissime circondate da pareti di roccia chiara verticali, e costellate di alberelli e cespugli di un verde molto intenso. La strada si districa proprio all’interno delle Gorges assecondando la loro sinuosità. La mia danza riprende accompagnata dallo scroscio dell’acqua al fondo della gola. Pian piano il pendio digrada e la valle si apre tuffandosi nella spianata finale prima di giungere al mare contornata da morbide e verdeggianti colline. Mi aspetta ora una delle parti più pericolose del percorso: l’ingresso e l’attraversamento di Nizza, che date le sue dimensioni, presenta grandi vialoni a veloce percorrenza e fortemente trafficate che poco si prestano ad essere percorse in bicicletta; nel frattempo un forte vento contrario rende la discesa finale particolarmente faticosa. Seguo fiducioso i cartelli che indicano il centro di Nizza e ben presto mi ritrovo su un raccordo dell’autostrada senza accorgermene: la strada ha una sola corsia e una larga fascia asfaltata a bordo strada, ma non sembra ancora una vera e propria autostrada. Non faccio in tempo a percorrere un chilometro che un furgone della polizia mi supera e mi fa cenno di fermarmi. L’agente che scende dal mezzo, con modi molto cortesi mi avvisa che sono su una strada a divieto di transito per le biciclette e mi aiuta a scavalcare il muretto di cemento che separa la strada da una pista ciclabile che corre parallela un paio di metri più in basso; mi suggerisce di tornare indietro e di riprendere la statale sul lato opposto del fiume. Così faccio, e dopo circa un’ora arrivo alle porte di Nizza. Fatico non poco a districarmi nel traffico alle prese con grossi svincoli a più corsie, ma alla fine riesco finalmente a raggiungere la famosa “Promenade des Anglais”; l’unico problema è ora rappresentato dal vento che è cresciuto di intensità con raffiche che a occhio sfiorano i 40 km/h e che naturalmente continuano ad essere in direzione opposta alla mia. Le ventate più intense riescono addirittura a nebulizzare le creste delle onde alzando ciuffi d’acqua vaporizzata verso il cielo. Le persone che passeggiano sul lungomare sono costrette a tenersi alle ringhiere per non perdere l’equilibrio, mentre io non riesco a fare più dei 12 km/h in pianura! La luce del tardo pomeriggio sulla Costa Azzurra è comunque sempre un grande spettacolo: il mare ondulato è di un azzurro intensissimo e le costruzioni del litorale risplendono dorate. Supero Nizza ed imbocco la “Basse Corniche”, ovvero la strada che costeggia la riva del mare, dalla quale posso ammirare le sinuose forme di Cap Ferrat, uno dei posti più esclusivi della “Cote d’Azzur”. Poi è la volta di Eze, arroccatissimo villaggio a strapiombo sul mare con i suoi giardini pensili di piante grasse; Monte Carlo, dove percorro un tratto del famoso circuito di Formula 1 che è già in allestimento per il Gran Premio che si terrà a fine maggio ed infine Cap Martin, dietro il quale sorge Menton, la mia meta dove arrivo con gli ultimi raggi di sole. Mi sistemo nel nostro appartamento e volo, ancora in bicicletta a mangiare una ben meritata crepe in centro al borgo. Alla fine della giornata la mia bici avrà percorso circa 130 km, con un dislivello in salita di 1250 m. Il 27 Aprile mi concedo un giorno di pausa, e lo passo a camminare sul lungomare a Mentone.
Il viaggio in bici di Edoardo è iniziato a Torino, la sua città e... a proposito, avete già letto la 1° tappa della sua avventura per il Parco del Mercantour in Francia? Se volete continuare a viaggiare intorno a Menton in bicicletta, leggete anche la terza tappa della sua avventura!
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