Ci fermiamo vicino ad una pietra miliare, davanti al cancello d'ingresso di una vecchia casa dove un signore che ne ha sicuramente viste di tutti i colori nella sua longevità, seminascosto dietro il muretto della sua abitazione, resta quasi impietrito alla nostra comparsa. Un uomo di mezzà età osservandoci dal lato opposto della strada appollaiati sula calda terra di metà mattinata in silenziosa attesa, decide che è il momento di
fare due chiacchiere con gli stranieri e ci raggiunge sulla sua bicicletta manovrandola con l'unica gamba in carne e ossa.
Il simpatico cambogiano parla un inglese comprensibile e ci narra con orgoglio le sue
peripezie in guerra dove, al posto delle solite inutili medaglie, si è guadagnato una nuova gamba... in plastica! Non riusciamo bene a capire se la sua battaglia fosse contro o con
Pol Pot, ma nei suoi occhi brilla una luce che ci spaventa mentre rivive quei giorni, una
bramosia di rivincita ed un profondo desiderio di tornare a combattere. Non condividiamo i suoi sentimenti e non riusciamo a comprenderli, inoltre si stà facendo tardi ed abbiamo ancora parecchia strada da percorrere oggi. Salutiamo l'
ex combattente ancora estasiato dalle avventure vissute in guerra e l'anziano signore della casa che, messa da parte la timidezza iniziale, si è avvicinato per poterci scrutare meglio.
Nessuna foto agli uomini dei polli, ma ugualmente tanti pensieri nella testa sulla via verso la
riserva naturale di Ang Trapeang Thmor, voluta da Pol Pot e dai suoi crudeli scagnozzi khmer rossi. Questa grigia striscia che, incurante dei nostri copertoni, li consuma un po' ad ogni giro di ruota, oggi non vuole proprio finire.
71 chilometri sotto il sole a picco di metà giornata, gambe dure e fiato corto dopo dieci giornate di riposo, ma non è tutto. Per giungere nella riserva, il percorso devia di 90° sulla destra diventando sterrato, polveroso e pien o di crateri capaci di inghiottire anche uno di quei grassi
bufali d'acqua che pascolano pigri nei dintorni: il risultato finale è un repentino passaggio di velocità media dai 20 km/h circa agli 8-9...e per fortuna l'offroad della giornata sarà solo di 18 chilometri.
Il paese di
Phnom Srok ci conquista subito accogliendoci con un banchetto dove viene vendutolo squisito succo di canna, una manna di dolcezza dopo un tracciato turbolento. Girovaghiamo per l'abitato ma
di guesthouse o homestay neppure l'ombra...non ci resta altro da fare che interrogare tre ragazzi di un'agenzia di microcredito sulle possibilità per la notte.
Uno di questi si offre volontario per ospitarci nell'abitazione dei suoi genitori, sita poco distante dall'ufficio. Tre minuti di terrore fra strette e sinuose viuzze e ci ritroviamo
catapultati negli anni cinquanta, nel cortile di una vecchia casa di ringhiera attorniati da dieci persone di ogni età curiose e un pochino sorprese. Un bimbo fissa la barba di Leo e inizia a piangere rumorosamente, gli altri si scambiano qualche occhiata imbarazzata e scoppiano a ridere: abbiamo conquistato la loro simpatia!
Vvandy deve tornare al lavoro ma promette di portarci alla riserva la sera stessa. Talvolta gli sguardi, i sorrisi o i semplici gesti sono più chiari delle parole e ce ne accorgiamo durante l'ora successiva fra discorsi muti e mimica degna della più rinomata rappresentazione teatrale dell'Amleto. Il bagno della nostra
homestay è esterno situato a circa trenta metri dall'abitazione, è dotato di turca e di una grande vasca rivestita di piastrelle di ceramica e ricolma d'acqua da attingere con una ciotola di plastica per levarsi di dosso l'arsura della giornata. E' l'ora X ed i nostri due condottieri in motorino vengono a prenderci: si parte...
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