L'isola di Giava in bici... un impatto duro, un pugno da ko tecnico alla prima ripresa! Il traffico mostruoso di Surabaya ci ha investito non appena scesi dal traghetto che ci ha catapultato, come profughi in fuga, nel cuore pulsante dell'Indonesia: cento milioni di abitanti su un'isola più piccola della nostra Italia, l'isola di Giava è terra vulcanica così come i suoi simpatici abitanti. Il cambio di rotta (inizialmente pensavamo di fermarci su Sulawesi) ci ha concesso l'opportunità di scoprire la regione orientale in bicicletta e le sue meraviglie naturali prima di raggiungere le affollate Bali e Lombok.
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Giava in bici: fuga da Surabaya
Seconda città dell'Indonesia dopo la capitale Jacarta, Surabaya non ha molto da offrire se non palazzi decadenti, centri commerciali e un traffico da capogiro che scopriamo quando ripartiamo verso sud. Saliamo presto in sella ma le nubi grigie in cielo ci scaricano il loro benvenuto in testa costringendoci a riparare sotto un ponte che nel giro di due minuti si riempie di motorini e personaggi di ogni genere. Quando, cinque minuti dopo, riprendiamo le bici, migliaia di piccoli veicoli a motore affollano la strada e un ingorgo colossale ha creato una lunga colonna. Usciti sani e salvi dall'ammasso di lamiere, la strada si restringe ma il traffico non accenna a placarsi. Carretti trainati da cavalli, bici cariche di ogni genere di cose (un vecchietto scarrozzava tranquillamente in giro un letto intero in sella alla sua bici d'epoca), risciò spinti da uomini scavati dalla fatica, centinaia di cinquantini, auto tenute insieme con le stringhe delle scarpe e tir che sputano fumo più nero della fuliggine del camino della nonna, si sfidano fianco a fianco su una striscia d'asfalto larga malapena a sufficienza per ricavarvi due corsie... e noi cerchiamo di trovare il nostro piccolo spazio in questo caos cosmico in cui pedoni e bestiame sono un'incognita imprevedibile.
Al termine della prima giornata sull'isola di Giava in bici siamo esausti e ci ritroviamo con braccia e volto ricoperti da una polvere nera e fine che, per tutto il giorno, si è insinuata nelle nostre narici riempiendoci i polmoni... maledetto smog!!!
Visitare il parco nazionale di Tengger - Bromo - Semeru in bici
Fortunatamente il nostro itinerario su Giava in bici, dopo aver raggiunto la città di Probolinggo, abbandona la strada costiera per arrampicarsi verso le vette vulcaniche del parco nazionale Bromo-Tengger-Semeru. Dal mare la strada si inoltra lungo le prime propaggini collinari disegnate da appezzamenti variegati e da piccoli villaggi dimenticati dal mondo. Prima più dolcemente, poi con decisa intraprendenza, la lingua di asfalto, cemento e ciottoli si avvicina sempre più al grande cratere dell'antico vulcano del Tengger che, implodendo migliaia di anni fa, ha dato vita ad altri cinque vulcani ancora attivi. L'ascesa è tosta, soprattutto negli ultimi chilometri e a 2200 metri il fiato si fà un po' corto, ma finalmente appare l'avamposto in quota di Cemoro Lawang, punto di partenza delle escursioni al vulcano Bromo e delle altre attrattive naturalistiche della zona. In questa località turistica, dove incontriamo i primi viaggiatori europei, decidiamo di sostare un paio di giorni per assaporare la bellezza della natura estrema, quella dei grandi giganti fumanti della Terra.
All'alba assistiamo a uno spettacolo eccezionale che si ripete di giorno in giorno: il sole sorge e illumina le vette del Semeru all'orizzonte, del Batok perfettamente conico e del Bromo fumante, un'immagine inaspettata che resterà indelebile nei nostri occhi. Vaghiamo nel cratere del Tengger ammaliati da colori, forme e odori fino a saziarcene completamente. I giganti, al momento quieti, svettano dalla caldera principale elevandosi fino a sfiorare il cielo terso di Indonesia.
Avvicinandosi al vulcano Semeru
Il nostro viaggio sull'isola di Giava in bici riprende da Cemoro Lawang quando risaltiamo in sella percorrendo il mare di sabbia e la savana che ricoprono le pendici del Tengger, per raggiungere il Semeru. La traversata del Tengger non è uno scherzo: il mare di sabbia, così viene chiamato l'interno della caldera del vulcano oltre il villaggio, è difficoltoso da pedalare e spesso sprofondiamo sconfitti. Tra motorini coraggiosi e raccoglitori di erba avanziamo lenti ma determinati fino a ritrovarci di fronte alla candida cementata - sterrata che ci condurrà oltre l'immensa spaccatura della crosta terrestre, a Ranu Pani, punto di partenza del trekking al Monte Semeru. Il cono del grande vulcano sale tra le nuvole raggiungendo i 3676 m e dominando l'intera Giava orientale. Dal 1967 il Semeru è in attività continua, ma l'ultima grande eruzione è avvenuta nel 2008. Restare indifferenti alla maestosità della montagna indonesiana è impossibile: ai pedali e alle borse sostituiamo scarpe e zaino in spalla per avventurarci fino ai piedi del vulcano. L'escursione può durare un paio di giorni in base all'allenamento di ogni camminatori! Il vulcano sbuffa inquieto e noi non possiamo far altro che rendergli omaggio rispettosamente. Dopo tanta meraviglia lasciamo le alte terre del parco per ridiscendere in pianura e immergerci ancora nel traffico, non prima di esserci spaccati schiena e sedere sul terrificante fondo stradale verso Lumajang.
Kawah Ijen all'orizzonte
Giava in bicicletta può essere davvero impegnativa da affrontare... anche in discesa! Da Ranu Pani imbocchiamo la strada, se così si può chiamare, in direzione di Lumajang che attraversa un lungo tratto di foresta pluviale. Il fondo è devastato dagli agenti atmosferici e dal tempo e noi finiamo in ogni buca fino ad approdare esausti in città. Poco più di 24 ore e siamo di nuovo con il naso all'insù, pedalando verso Sembol, Pos Paltuding e il cratere Ijen. Incontriamo un francese che scende con una bici da corsa Bianchi e uno zainetto in spalla, partito da Kuala Lumpur verso Bali. Non fà altro che ripetere: "It's not possible"... ; è salito in camion e sà cosa ci aspetta! Il coraggioso francese ci saluta con un grande sorriso... nonostante la discesa a spinta si è già innamorato dell'Indonesia, proprio come noi! Affrontiamo dieci chilometri di buche, pietre aguzze e scimmie curiose per salire a 1500 metri, il primo scollinamento. La successiva discesa è ancora una volta tra piantagioni di caffè e i vulcani Merapi, Raung e Ijen che si stagliano fieri all'orizzonte. L'imbocco del sentiero di trekking per Kawah Ijen non è lontano, ma l'ascesa con le bici cariche ci rallenta inesorabile fino ai 1850 m dove piantiamo la tenda per riposarci un'oretta. Il sole sta lentamente scendendo all'orizzonte e decidiamo che è il momento di partire per affrontare i 3 km di ripido sentiero e goderci lo spettacolo del tramonto affacciati sul vulcano. La magia del cratere fumante scalfisce anche la corazza dei più scettici e la drammatica storia dei portatori di zolfo stringe forte il cuore. Una notte magica piena di stelle ci concede poco riposo: ripercorriamo il sentiero alle quattro di notte per essere in cima una seconda volta all'alba e riassaporare il magnifico panorama sotto una luce diversa. La salita compiuta fianco a fianco ai portatori di zolfo di Kawah Ijen ci ricorda, se ce ne fosse stato bisogno, quanto siamo stati fortunati a essere nati in un paese occidentale.
Lavorare all'inferno
L'imprevedibile vulcano Kawah Ijen appare al visitatore come un luogo idilliaco dove un lago dalle acque cangianti occupa gran parte della caldera. A fianco dell'acqua spirali di fumo escono costantemente dalla terra creando un'atmosfera suggestiva e colorata.Per i numerosi minatori che lavorano a Kawah Ijen il luogo rappresenta invece la bocca dell'inferno: senza alcun tipo di sicurezza, talvolta in sandali, questi uomini magri e scavati dalla fatica si caricano sulle spalle, ogni giorno per più volte al giorno, due gerle cariche di zolfo appena estratto. Le gerle raggiungono solitamente il peso di 60 kg e i portatori sono costretti a risalire la ripida caldera fino al bordo per poi scendere lungo i 3 ripidi chilometri di sentiero e oltre. Durante l'estrazione dello zolfo i lavoratori respirano i gas tossici del vulcano, gas che bruciano i polmoni e la pelle. Questi uomini percepiscono solitamente una paga a cottimo che si aggira intorno all'equivalente di 6€ al giorno.
L'ultimo soffio di Giava in bici
Due piatti di nasi pecel ci ridanno energia e ci permettono di far sedimentare nella memoria l'agghiacciante storia dei portatori di zolfo di Kawah Ijen, una delle realtà più tristi dell'isola di Giava. In bici ci prepariamo ad affrontare la tremenda discesa (gli amanti del downhill si divertirebbero) verso Banyuwangi, l'ultima località che toccheremo prima di imbarcarci sul traghetto per la vicina Bali. La foresta pluviale ci avvolge ancora una volta nel suo umido abbraccio e tra un avvistamento ornitologico e una sosta per riprendere fiato raggiungiamo la caotica città indonesiana di Banyuwangi. La parte orientale dell'isola di Giava in bici lascia senza fiato per bellezza, anche se è inevitabile respirare anche un profondo senso di ingiustizia per le condizioni in cui vivono migliaia di persone tra i grandi giganti di fuoco della terra.
Abbiamo cambiato programmi più per caso che per consapevolezza ma Jawa Timur ci ha conquistato, ammaliato con i suoi vulcani attivi, le sue piantagioni, i sorrisi della gente e, perchè no, il suo traffico...mai scelta fu meno rimpianta!
Questo articolo fa parte del diario di viaggio tenuto in diretta del progetto Downwind ed è una parte del lungo itinerario di 12000 km dei nostri dieci mesi in bicicletta nel sud est asiatico
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