Un viaggio a due ruote verso nel Mustang, uno dei 75 distretti del Nepal che fu un isolato reame ai piedi dell’Himalaya: qui, dove popolazione e cultura sono tibetane e la religione è buddista, convivono tradizione e globalizzazione.
Kathamandu ci accoglie una mattina d’ottobre in una nuvola di smog. La nostra avventura inizia nel traffico caotico e assordante della capitale nepalese, una città sovraffollata che cresce a un ritmo forsennato.
Il disordine regna sovrano, baracche costeggiano strade sterrate polverose, in cui scorrazzano galline e vacche, mentre autobus sgangherati, macchine e moto conquistano il diritto di precedenza con il clacson. Ma si percepisce subito un disordine organizzato in cui tutti sorridono, in cui convivono povertà e ricchezza,tradizione e modernizzazione: l’enorme Stupa ricoperto d’oro di Boudhanath nel quartiere tibetano, l’antico tempio induista Pashupatinath, noto per le sue cremazioni rituali, il vivace quartiere turistico di Thamel dove le agenzie di trekking si alternano a negozi di attrezzature sportive e le periferie con la gente che vive in improvvisate baracche di lamiera.
Un viaggio in bici nel tempo e nello spazio
La via verso il Mustang passa da Pokhara, 200 km a nord-ovest di Kathmandu, che raggiungiamo in bus dopo più di sei ore di scossoni e curve, un viaggio nel tempo e nello spazio che ci regala le prime viste sulla catena himalayana innevata, in contrasto con le fertili valli immerse nella vegetazione tropicale. A Pokhara, in riva al lago in cui si specchiano il Machapuchare e l’Annapurna, rimontiamo le biciclette e all’alba raggiungiamo in sella il piccolo aeroporto da cui, grazie a venti minuti di puro brivido, voliamo tra le montagne atterrando a Jomson, a 2800 m, là dove la valle del Kali Gandaki si apre.
Orograficamente il basso e l’alto Mustang sono diversi: chiuso tra le alte pareti del Dhaulagiri e dell’Annapurna, il fiume ha scavato una valle che va restringendosi in profonde gole, fino alla piana di Pohkara, per continuare la sua corsa verso il Gange.
Jomson è un punto di arrivo e di partenza, una cittadina cresciuta intorno all’aeroporto, alla strada e alle basi militari, piena di gente, moto, fuoristrada e bus stracolmi.
Da Jomson partiamo per la nostra cicloescursione che, in 12 giorni, ci porterà fino ai confini con il Tibet, poi al Thorong La e di nuovo nelle gole del Basso Mustang. Bastano poche pedalate per liberarsi dalla modernità e sprofondare nella magica atmosfera dell’Alto Mustang. Paradiso perduto, l’ha definito Tiziano Terzani, Regno proibito Michel Peissel, Tibet sopravvissuto, Gianfranco Bracci.
L’Upper Mustang è un deserto d’alta quota, selvaggio e ventoso, un territorio arido lavorato dal vento, scavato dal Kali Gandaki, il fiume nero, punteggiato di villaggi arroccati a quasi 4000 metri e dominato dal Dhaulagiri, dal Nilgiri e dall’Annapurna.
Geograficamente parte dell’altopiano tibetano, il Mustang è stato fino al diciottesimo secolo un regno indipendente, fiorito lungo gli itinerari commerciali tra India e Cina. Nonostante sia stato annesso al Nepal nel 1789, ha sempre goduto di una relativa autonomia e la dinastia dei Raja ha governato con indiscussa autorevolezza morale. «Mustang» deriva dalla storpiatura del nome della sua capitale Lo Mantang, ma storicamente si chiamava il Regno di Lo, il regno del sud, il sud del Tibet, perché tibetana è la popolazione e la cultura, buddista la religione.
Chiuso al turismo fino al 1992, ma anche oggi le presenze sono regolamentate, l’alto Mustang è parte dell’Annapurna Conservation Area e le limitazioni hanno ragioni ambientali.
Fino alla fine degli anni ’70 la regione era, invece, chiusa per motivi militari. Dopo l’invasione cinese del Tibet, i ribelli antimaoisti – i Khampa – trovarono rifugio in Mustang, appoggiati dagli americani e armati dalla Cia, che voleva sfruttare la loro spinta ideale in chiave anticinese. L’apertura di una fase di disgelo tra Usa e Cina ha isolato questo piccolo esercito partigiano, proprio mentre in Nepal iniziavano a prendere piede movimenti maoisti che lottavano contro la monarchia: due eserciti di liberazione che, da opposti fronti, combattevano per la libertà e l’autodeterminazione. Per non inimicarsi gli americani, nel 1974 il Nepal decise di aprire un’offensiva conto i Khampa. Solo l’intervento del Dalai Lama, che diramò un appello alla resa delle armi, impedì la strage. Molti guerriglieri andarono a ingrossare le fila dei profughi, altri scelsero la strada del suicidio. Da allora un’aura romantica avvolge la lotta dei guerrieri della nebbia, contribuendo al fascino di questa regione.
Pedalando su una striscia di sassi e sabbia
Sbrigate le pratiche burocratiche, la nostra piccola carovana, composta da sei bikers, due guide nepalesi e il fuoristrada di appoggio, parte in sella da Kagbeni per arrivare in quattro giorni alla capitale Lo Mantang. All’antica carovaniera che percorre la valle, da pochi anni è stata affiancata una nuova e discussa strada e che dal Basso Mustang porta fino alla Cina. Questa striscia di sassi e sabbia, scavata nella montagna, interrotta da frane, spesso esposta ma quasi sempre pedalabile, ci porta in un ambiente arido e selvaggio, modellato dal vento che, dal primo pomeriggio, sferza violentemente creando incredibili sculture di sabbia e roccia. Pedalare tra i 3500 e i 4000 m è impegnativo, perché improvvisamente le gambe si rifiutano di ubbidire; “drink, drink!” e “slowly, slowly!” sono i mantra delle nostre guide che ci consigliano di iniziare la cena con una zuppa d’aglio per abbassare la pressione sanguigna. All’ombra dell’Annapurna, attraversiamo piccoli villaggi – Samar, Ghami, Tsarang – con case di fango, circondati da oasi strappate al vento da muretti a secco coltivate a orzo, grano saraceno e qualche ortaggio, con esili pioppi. La poca legna viene messa a seccare sui tetti, come segno di distinzione sociale, mentre l’altro combustibile – lo sterco – è lasciato sui muretti a disposizione dei più poveri.
La spiritualità buddista permea di sé il territorio; i passi che faticosamente scavalchiamo sono ornati dalle bandierine che liberano al vento le preghiere. A pochi chilometri da Ghami costeggiamo un lungo muro «mani», sulle cui pietre sono incisi i mantra di Padmasambava – il Guru Rimboche – che portò il buddismo nelle regioni himalayane; gli stupa ornano i crocevia e attendono i viaggiatori all’ingresso dei paesi per liberarli dal maligno; sorti come monumenti funerari per custodire le ceneri di Buddha, sono ora luoghi di preghiera, rappresentazioni simboliche del mondo e del percorso verso l’illuminazione. Proseguendo verso nord, il paesaggio cambia, le cime himalayane sono alle nostre spalle mentre pedaliamo alle propaggini meridionali dell’altopiano tibetano, su un fondo sempre più sabbioso, che rende faticoso procedere. Dal passo di Lo si apre la piana di Lo Mantang, la piccola capitale del regno, cinta da mura e con un’unica porta di accesso; ricca di un fascino antico, ospita tre importanti Gompa, recentemente restaurati dal pittore italiano Luigi Fieni. Nell’antico palazzo reale risiede ancora per parte dell’anno il vecchio re, tristemente trasformato in un’attrazione turistica.
Dopo una gita in auto sull’altopiano Kora La a 4660 m fino al confine cinese, un’infinita recinzione che divide due mondi uguali, puntiamo le nostre ruote a sud e in due impegnative giornate ritorniamo a Kagbeni, lungo il sentiero che corre oltre i 4200 m, con tratti più tecnici, un po’ di portage e discese impegnative in ambienti maestosi. Nel piccolo monastero di Lo Gekar, un luogo meraviglioso, alcuni monaci ci cucinano un piatto di riso e lenticchie. La leggenda narra che quando il Guru Rimboche liberò Lo Mantang da un demone, ne gettò le membra al vento; dove cadde il cuore fu costruito il solitario Gompa. Dal monastero iniziamo la lunga e divertente discesa fino al piccolo villaggio di Dhakmar, che sorge all’ombra di impressionanti bastionate rocciose rosse bucherellate di grotte. Gli archeologi ne hanno censite più di 10.000, segno di un’antropizzazione molto antica della regione.
Tradizione e globalizazione
Il giorno successivo, al passo Nyi La, a 4000 m, mentre il volo delle aquile fa fuggire i corvi, assistiamo attoniti a un ingorgo di fuoristrada, che alza nuvole di polvere tra cavalli carichi e persone con gerle enormi. Tradizione e globalizzazione vivono a fianco; le guide non capiscono le nostre preoccupazioni nei confronti di simili episodi, che possono allontanare i turisti occidentali diretti in Mustang alla ricerca del paradiso perduto. Ridono e ci rispondono «beh, poi verranno i cinesi e gli indiani». Che cosa significhi un turismo di massa lo intuiamo il giorno seguente, salendo da Kagbeni a Muktinath. Dopo pochi tornanti, estasiati dalla vista della catena del Nilgiri, capiamo di essere finiti in un gi- rone infernale; lungo lo sterrato sfrecciano autobus stracarichi con persone attaccate alle porte per farsi i selfie, mentre moto e fuoristrada alzano nuvole di polvere. Da quando esiste la strada, Muktinath è diventata meta di un turismo religioso variopinto e chiassoso. Per noi è troppo: la metà del gruppo aspetta l’auto e si fa caricare. Mukthinat è una cittadina caotica con un gigantesco parcheggio sotto i templi, alcuni alberghi nuovi troneggiano nelle vie piene di donne in abiti tradizionali che tessono per strada. Spaesati, ci domandiamo se sarà questo il Mustang del futuro. Non ci piace, ma forse i padroni dei lodge la pensano diversamente. La nostra meta è il cosiddetto Campo base a 4200 m, da cui il giorno successivo affrontiamo il Thorong La, un passo a 5416 m. Il rifugio è una struttura gelida, pronta a ospitare decine di trekker in stanzette divise da pareti di cartongesso, ora però è completamente deserta. Seguendo il consiglio delle guide, noi due decidiamo di procedere a piedi, mentre gli altri saliranno al passo con la MTB (e non in MTB). È ancora buio quando partiamo nel gelo pungente, l’alba è solo sulle cime più alte. La salita al Thorong La è dura, ma arriviamo al passo. Stravolti e felici giungono anche gli altri. In picchiata i bikers affrontano festosi la discesa a ritroso. Ma in questo ambiente mozzafiato, a circa 5000 metri, ci sono alcune baracche piene di bottiglie, carta e spazzatura. Abbiamo portato la plastica ma non le conoscenze ecologiche e ambientali. E lì i rifiuti restano, tra monti incantati, triste segno di una globalizzazione senza confini.
Dove il sole e la luna si incontrano
Siamo ormai alle tre tappe finali. Dopo la visita al santuario di Muktinath, luogo d’incontro tra buddismo e induismo, dove un’enorme statua di Buddha guarda impassibile il Dhaulagiri e decine di persone affrontano allegre i riti di purificazione induisti correndo sotto le 108 fontanelle di acqua gelata, iniziamo la nostra lunghissima discesa. Arriviamo a Jomson con un vento infernale e, tra le solite nuvole di polvere sollevate dal traffico, ci infiliamo nella valle che precipita a meridione. Superiamo Marpha e i suoi campi di mele e Tukuche da dove partì la spedizione di Maurice Herzog che, nel 1950, scalò l’Annapurna. La vegetazione riprende il dominio del territorio. Arriviamo a Lete che è ormai buio, ma lassù sulle cime innevate, il sole e la luna si incontrano in un chiarore da fiaba. La nostra discesa continua nelle gole del Kali Kandaki tra cascate, ponticelli sospesi e boschi, in un ambiente che cambia rapidamente lasciando il posto ad agrumi, stelle di natale, tageti e flora tropicale. A Tatopani le nostre fatiche finiscono nelle calde acque termali. Pochi chilometri ci separano ormai dalla civiltà; a Beni, frastornati dal chiasso in mezzo a edifici di cemento, aspettiamo mestamente il nostro pulmino che ci ricondurrà a Katmandu.
Informazioni sul viaggio
- Periodo: 25 ottobre - 11 novembre
- Mezzi: 1 fuoristrada di appoggio - bici portate dall'Italia
- Tappe del viaggio: 13
- Chilometri pedalati: 330
- Dislivello superato:12764 m
Tappe del viaggio nel dettaglio
- Jomson - Kagbeni | 10 km | 342 m
- Kagbeni - Samar | 25 km | 1755 m
- Samar - Ghami | 25 km | 1653 m
- Ghami - Tsarang | 12 km | 479 m
- Tsarang - Lo Mantang | 16 km | 604 m
- Lo Mantang - Confine Cina (in auto) | 47 km | 1299 m
- Lo Mantang - Ghami | 22 km | 848 m
- Ghami - Kagbeni | 39 km | 955 m
- Kagbeni - Campo Base | 15,6 km | 1321 m
- Campo Base - Thorong La a/r | 19,4 km | 1486 m
- Muktinak - Lete | 52 km | 858 m
- Lete - Tatopani | 24 km | 849 m
- Tatopani - Beni | 23 km | 315 m
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