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Africa in bicicletta: avventura in solitaria nel Continente Nero
Scritto da Fabio.B
Mi sono distaccato dall'avventura in bicicletta perchè oramai troppo sfruttata. Ho intrapreso viaggi particolari, ma a piedi, dove s'incontra un'altra realtà nella quale ovviamente mi rifletto, ho preferito cambiare la filosofia del viaggio avvicinandomi a quello che definisco l'essenza del vero viaggiatore. Abbandonare le tecnologie moderne o utilizzarle solo in parte dando tutta la forza al proprio ingegno... insomma, come in fondo si viaggiava una volta. Diciamo un cammino, un evolversi per non avere tutto facile o semplice perchè oggi lo è...
Quindi mi posso accontentare di utilizzare solo un gps che mi permetta di uscire completamente dalle piste battute provando una vera sensazione di libertà, o in alternativa, uno spot satellitare che non serve a te che lo usi praticamente a nulla se non per inviare l'sos in caso di estremo pericolo. I viaggi che ho in mente ora circoscrivono questo mio modo di viaggiare come, per esempio, attraversare un deserto a piedi senza seguire le piste... ma nel 1990 ho percorso le vie dell'Africa in bicicletta e oggi vi racconterò proprio questo viaggio...
L'Africa occidentale in bicicletta
A zonzo per l’Africa, da Dakar a Bamako, da Tombuctù a Gao, da Niamey a spasso per la Burkina attraversando, per lungo, il Ghana sino ad Accra, Lomè... Poi il Togo, a Kpalimè, a Bassar, nel parco di Keran. Infine a Ouagadougou il termine del viaggio.
Inseguito dagli elefanti, alle prese con villaggi ostili, con il rischio di rimanere in “panne” con la bicicletta, bloccato su percorsi più selvaggi e lontani dalla civiltà (ove si possono ritenere tali), rincorso e minacciato con il machete da uomini che probabilmente non avevano mai visto prima di allora un loro simile su una silenziosa due ruote percorrere i loro consueti sentieri di caccia. Zanzariera, depuratore dell’acqua, attrezzatura per la sopravvivenza, un minimo indispensabile di abiti leggeri e adatti ad ogni genere di clima: piovoso, umido, caldo, freddo. Un equipaggiamento tutto sommato abbastanza pesante, poco più di 35 chilogrammi da spingere ogni giorno e talvolta per più di 200 chilometri in una sola tappa giornaliera.
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Fra Senegal e Gambia
Il primo impatto con l’Africa è quello che determina il successo o meno dell’impresa. L’Africa non è un problema di civiltà, è un problema di mentalità.
Prima tappa da Dakar a Banjul. Se il Senegal risente di una cultura europea, la Gambia non risente neanche della vicinanza con il Senegal. Le strade che sulla cartina sono segnate come arterie di grande scorrimento in realtà si presentano come fatiscenti piste. Se nel Senegal si ostenta ricchezza, la Gambia è una fabbrica di questuanti. Ragazzini a frotte ti avvicinano da lontano e ti corrono incontro, rendendomi impossibile avanzare, per chiedere in dono una moneta. Ti senti intrappolato tra le tante braccia che si alzano, che ti tirano per le maniche, frastornato dalle querule voci. Qui è la povertà che preme, quella vera di un mondo che noi chiamiamo “terzo”: un impatto difficile ed una situazione che ha dell’ossessivo. Vivo un momento di scoraggiamento, tuttavia devo continuare. Mi rendo conto che devo alleggerire il bagaglio e portarlo almeno a 25 chilogrammi disfandomi di attrezzatura e vestiario che ritengo inutili. Uscito da Banjul prendo la strada che porta a Tambacounda, anche questo è un eufemismo. La pista si perde spesso nella vegetazione, attraverso villaggi desolati dove sinceramente non mi sento di fermarmi. Le poche case in mattoni sono cadenti, i pochi negozi non offrono che poche mercanzie, segno di una vita di estrema povertà. Qualche biscotto stantio che lascia un leggero sapore di muffa, rinchiuso in barattoli sporchi. Gli abitanti sono appena coperti di stracci, i bambini, orde di bambini seminudi. Ci sono uomini che appaiono improvvisamente dai sentieri o da cespugli dietro i quali si erano acquattati, agitando contro di me il machete per poi scomparire tra l’erba elefantina (tipica erba della presavana, che raggiunge un altezza media di 1,70 metri), così come erano apparsi. Addio Gambia, la sua povertà mi ha profondamente demoralizzato e avverto un po' di inquietudine pensando all’itinerario che mi impongo di coprire pedalando. Rientrato nel Senegal, raggiungo finalmente l’agognata Tambacounda. Saluto l’ultimo avamposto “urbano”, mi aspettano 200 chilometri di mondo selvaggio prima di Kays.
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Pedalando nel Mali: da Kays a Tiebelè
Il primo impatto con la foresta è piacevole: la pista si perde talvolta nel rigoglio della vegetazione ma a lungo andare faccio fatica ad aprirmi un varco tra le piante che si frappongono come un ostacolo verde. Finalmente, poco alla volta la foresta si dirada e diventa una enorme piatta pianura coperta da erba elefantina. Impossibile, anche alzandosi sulla bicicletta, scoprire cosa c’è al di là del fitto sipario. Penso con ansia a qualche animale nascosto, anche i villaggi sono più rari, quei pochissimi che incontro sono oramai di solo capanne, costruite con paglia e fango. Attraversandoli ho l’impressione di mille occhi che mi spiano anche se in realtà non vi è anima viva. L’ultimo tratto di pista è davvero tremendo, il terreno è pieno di ostacoli e spesso perdo la traccia, un vecchio in lontananza cammina indisturbato dalla mia presenza; lo raggiungo di corsa. Con poche parole in francese gli domando la pista per Kays, lui mi guarda e raccogliendo un legno per terra inizia a tracciare dei segni sul terreno poi ripetendo: Kays, Kays! Si allontana. Torno alla bicicletta seguendo mentalmente i disegni del vecchio e dopo un paio di ore appare Kays.
Riposo alcuni giorni e poi riparto per Bamako. La pista nuovamente si presenta con mille insidie e trabocchetti. Gli imprevisti si moltiplicano. Sono solo in questa vegetazione rigogliosa, pedalo per interminabili chilometri ma è divertente mi sto abituando, così tutto riesce più facile. I villaggi si susseguono, i chilometri si moltiplicano tanto che molte volte, in piena notte, mi trovo ad avanzare sui sentieri illuminati con la lampada frontale. Bamako, poi di nuovo via verso Mopti dove sono aggredito dagli odori più incredibili e disgustosi. Sembra una città che galleggia sugli escrementi. Durante il percorso intanto mi è accaduto un episodio incredibile. Lungo la pista, su un sentiero laterale, incrocio un vecchio in sella alla sua bici malandata, senza cambi, di quelle cinesi, insomma tutta piena di ruggine. Mi si mette a ruota e mi supera. Siamo su una pista. Come al solito le tracce spesso si perdono nella vegetazione. Capisco che vuole fare una gara, si gira e mi incita ad aumentare la velocità. Inventiamo una sorta di ciclocross. Lo sorpasso, mi sorpassa. Continuiamo con questo gioco per un po' fino a che, preso dalla foga, finisco contro un cespuglio e cado. L’anziano si ferma e ride, riprendiamo la gara. Ci lasciamo a Mopti che vanta l’appellativo altisonante di “Venezia del Mali”, ma che con Venezia, salvo il fatto di sorgere entrambe sull’acqua, non ha nient’altro in comune. Comunque decido di prendere una pausa e di arrivare a Gao tramite un battello che fa spola passando da Timbuctou, navigando sul fiume Niger. Quando è generoso di acque il battello prende servizio ed incominciano di nuovo gli scambi commerciali tra villaggi e villaggio. Il paesaggio è stupendo e, forse, uno dei più belli che vedo. Una sinfonia di colori. Il fiume entra nel deserto, scava il suo letto tra duna e duna scivolando tra la sabbia sottile. Timbuctou, ultimo avamposto del deserto. Le dune entrano nelle case. Sembra di essere incastonati, oppressi dal deserto.
Gao, Niamey, Burkina Faso, mi sento in forma e macino i chilometri con ritmi serrati di circa 200 al giorno. Parto in genere alle prime luci dell’alba quando l’aria è frizzante e stabilendo soste di quindici minuti solo ogni due ore consecutive. Spesso mi trovo coinvolto in vere e proprie gare con comitive di ciclisti amatoriali che mi sfidano. Qui utilizzano bici da corsa e la competizione si fa seria. A Tiebelè, una sosta forzata, sono costretto ad aspettare due giorni per avere il visto di entrata per il Ghana. Scopro che, ad una quarantina di chilometri c’è un piccolo parco faunistico, il Nazinga Po. Percorro i chilometri su una pista di terra impossibile, arrivato al parco sono fermato dal custode che mi vieta l’entrata in bicicletta perché pericoloso per la presenza di animali feroci. Ci beviamo un tè e, sconsolato, non mi resta che ripercorrere i 40 chilometri per tornare.
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Ghana e Togo: sul Golfo di Guinea con l'epatite
Entro in Ghana percorrendo la pista Navrongo-Tamalè. Una fastidiosa toulèe ondulè mi fa continuare a sobbalzare e quando mi accorgo del disastro è troppo tardi: il tappo male avvitato della tanica ha fatto fuoriuscire tutta l’acqua e la gola mi ribolle per la sete. Mi fermo ad un villaggio e, senza curarmi di disinfettare l’acqua, mi abbevero da un pozzo. Accra, capitale del Ghana. Mi sento molto stanco fisicamente, ho la febbre alta, ma decido di restare solo un paio di giorni e di ripartire appena svolte le pratiche burocratiche per il Togo. Lomè: provato al massimo e con segni evidenti dell’epatite che mi ha colpito, cerco alloggio in un piccolo campeggio. I giorni successivi sono anche un tormento dato da una forte dissenteria che non da tregua, il colore giallo della pelle indica la malattia presa per aver bevuto acqua contaminata. Nove giorni dopo la situazione inizia a migliorare gradualmente, il giallognolo della pelle scompare e, a parte dei dolori forti al petto, mi sembra di stare bene. Così riprendo a viaggiare risalendo il Togo. Giungo alle ricche piantagioni di caffè e cacao di Aniè Alakpamè, piccolo villaggio di montagna dove l’aria fresca mi fa dimenticare le giornate calde del deserto. Non sto comunque bene, i dolori al petto sono aumentati, con forti mal di testa, mi sento debole. Attraverso il parco di Kara dove mi imbatto in due gruppi numerosi di elefanti, ho appena il tempo di scattare alcune fotografie che un grosso pachiderma infastidito dalla mia presenza mi carica. Ho solo il tempo di recuperare la bicicletta che avevo lasciato per terra e partire pedalando con tutte le energie, evitando il peggio. Passano i giorni oramai monotoni senza entusiasmo, il tutto contornato dal sopraggiungere di una forte bronchite. Decido a malincuore di fermarmi e di tornare in Italia, dopo un viaggio lungo 109 giorni e 7250 chilometri.
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Fabio è un viaggiatore lento ed ha viaggiato per i luoghi più selvaggi ed incontaminati della terra a piedi, in canoa, in bicicletta... il suo sito, Reportage di viaggio, è un interessante contenitore di foto, informazioni e racconti di avventure davvero fuori dal comune, dateci un'occhiata!!! Se invece volete conoscere il sito fotografico di Fabio con raccolte di sperimentazioni, immagini di viaggio e di esperienze per il mondo, collegatevi alla sua pagina web Contrasti.
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Fabio.B
1984 - Traversata del deserto del Sahara in bicicletta. Da Algeri a Tamanrasset, 2000 chilometri in diciannove giorni, di cui 1200 su piste di sabbia. Temperature medie di 50 gradi con massime di 70.
1985 - Esplorazione della foresta amazzonica, con l’intento di raggiungere tribù cannibali situate in zone di confine tra il Brasile e il Venezuela. Esplorazione interrottasi dopo tre giorni, a causa dell’affondamento imprevisto della canoa avvenuto sul Rio Branco di notte, con perdita dell’intero equipaggiamento. Obbligandomi ad un fortunoso rientro con tecniche di sopravvivenza.
1990 - Attraversamento dell’Africa occidentale in bicicletta. Tra Senegal, Gambia, Mali, Niger, Burkina Faso, Ghana e Togo, fino al Golfo di Guinea, compiendo un percorso di 7000 km in 105 giorni.
1996 - Cile, deserto dell’Atacama. Traversata a piedi da San Pedro de Atacama a Colchane: 410 km di deserto d’altura (con altitudini medie di 4000 metri). Percorsi in 5 giorni di marcia
1997 - Namibia, traversata a piedi del deserto del Damaraland e Skeleton Coast, fino alla città di Swakopmund. Percorso di 410 km in 6 giorni, con l’ausilio di un carretto del peso complessivo di 55 kg per il trasporto dell’equipaggiamento e di 25 litri d’acqua.
1998 - Sud Africa, traversata del deserto montagnoso del Richtersveld. Percorso di 200 km in 6 giorni, con l’ausilio di un carretto per il trasporto dell’equipaggiamento del peso complessivo di 120 kg.
1999 - Giordania, deserto di Wadi Rum. Percorso di 85 km in 5 giorni su piste sabbiose, trasportando l’equipaggiamento e 45 litri d’acqua con uno zaino del peso complessivo di 65 kg. Temperature medie di +55°.
2000 - Namibia, in bicicletta, per incontrare le tribù Himba
2001 - Islanda a piedi.
2007 - L’antica rotta del leggendario esercito persiano del re Cambise in Egitto, ai confini con la Libia, da Farafra a Siwa, in abito antico. Senza permessi, sono stato bloccato nelle due occasioni dalla polizia.
2008 - Botswana, a piedi nel delta dell’Okawango, senza nessuna strumentazione tecnologica e in solitaria.
2009 - Argentina, rievocazione di un antico viaggiatore: un pellegrino crociato (anno 1000), attraverso le Ande.
Sito web: www.reportagediviaggio.com
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico