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Deserto del Gobi in bici: viaggio da Ulaan Baatar a Pechino 2° parte
Eccoci qua con la seconda parte di questo piccolo viaggio in bicicletta che lo scorso agosto mi ha portato dalla Mongolia (Ulan Bataar) fino alla Cina (Pechino) attraverso il deserto del Gobi. Premetto che tra i due paesi c’è una radicale differenza. L’uomo. Mi spiego meglio. La Mongolia è un paese vasto, a volte desolato, dove la natura predomina su tutto, dove lo sviluppo urbanistico-tecnologico è ancora arretrato. Poche persone si incontrano fuori dai centri abitati e quando ci si incontra, ci si ferma e ci saluta, si scambiano delle battute e si riparte.
La Cina è il contrario. E’ affollata; non dico che è meglio o peggio, è diverso. E ce ne si può accorgere subito dopo aver passato il confine presso la città di Erenhot, dove modernità e tanta tanta gente vive una vita apparentemente così diversa e lontana dai mongoli e tuttavia così vicina...
Mongolia e Cina: due mondi diversissimi
Già il confine, mica così semplice. Infatti, per attraversare legalmente il confine sud-est tra Mongolia e Cina ci si può avvalere del treno, di un minibus che parte solo una volta al giorno (tra le 11 e le 12) o di una delle tante auto private che fanno la spola tra la piazza della stazione e gli uffici della dogana mongola. Io, perduto il minibus ho preso una di queste auto e caricato comodamente la pieghevole Tern accanto a me; dopo una decina di minuti di contrattazione siamo partiti: fortuna (o sfortuna) ha voluto che il tipo si sentisse in grande forma e ha sorpassato la coda chilometrica di auto in file alla dogana e con una manovra da grande rallysta (e gli insulti dei poveretti in coda) ci ha portato davanti a tutti. All’apertura della dogana con uno scatto degno dei migliori centometristi ci siamo diretti al desk per il controllo. Corsa utile perché alla fine la coda là è durata solo una mezzoretta: io squadrato dai mongoli e dai cinesi e dagli agenti tra il divertito e l’incuriosito. E alla fine ho passato il confine. Un altro mondo. Alla sabbia si sono sostituite strade asfaltate, a case diroccate e tende addirittura palazzi di vetro di dieci piani, alle auto o moto sgangherate motorini elettrici e tuk tuk elettrici. Alla polvere ed il buio, insegne luminose e negozi di tutti i tipi, anche un Mc Donalds!
Forse è solo la strategia cinese per far apparire il paese grandioso moderno e tecnologico, comunque l’effetto è quello!
Anche se poi, passata la città di confine se si decide di pedalare nel nulla cinese senza prendere treni o bus, ci si rende conto che la campagna cinese e le cittadine seguenti sono forse più moderne dei villaggi mongoli, ma sempre desolate, con abitazioni non finite e mondezza a cielo aperto, altro che modernità! Quello che conservo del passaggio del confine e dell’immediato paesaggio è la presenza di modernità, quasi shockante, di centinaia di sculture di animali preistorici lungo la statale che scende a sud, visto che la città di Erenhot è la città dei dinosauri (alcuni infatti ritrovati nel Gobi cinese), delle centinaia di enormi pale eoliche e soprattutto degli alberi! Infatti, i cinesi - anche per contrastare l’avanzata del deserto e del vento carico di sabbia - hanno piantato tanti alberi principalmente lungo le strade. E pensare che proprio vicino ad uno di questi alberi ho visto per la prima volta, numerosi picchi!
Verso sud
Proseguo quindi a sud diretto verso la città di Suniteyouzu a circa 123 km di distanza: la strada è dritta, anonima, sferzata dal vento sempre obliquo proveniente da sud e con un sole accecante. Incontro cavalli, mucche e ancora cammelli che attraversano con nonchalance la strada. Automobili moderne sfrecciano al mio fianco, davvero molte moderne: i cinesi, ho poi scoperto, sono maniaci per le autovetture, raramente si vedono auto maltenute o vecchie se si fa eccezione per la mitica (almeno qua) Volkswagen Santana 3000! E ormai riconosco chi guida: mi spiego meglio. Se sorpassa un cinese alla guida, sfreccia senza fare nulla se non farmi il pelo… ma se guida un mongolo, a parte l’automobile più scassata, suona il clacosn ed il più delle volte si ferma. Siamo così vicini al confine che loro non hanno perso la loro bella abitudine di fermarsi quando incontrano qualcuno, soprattutto se in bici, per chiedere se serve qualcosa. E poi magari uno di loro viaggia con una pecora come compagna di viaggio… Arrivo, il cielo è scuro e carico di pioggia, minaccioso, ed il vento continua a sferzare la strada. Provo a campeggiare ma la curiosità della gente attira anche una pattuglia della polizia che forse più per curiosità che altro mi fa smontare la tenda e mi scorta davanti ad un ostellaccio dove dormo, almeno c’è una doccia!
Nella prima notte cinese il sonno mi assale senza darmi il tempo di metabolizzare le prime sensazioni e l’impatto con questo nuovo mondo.
La mia curiosità sulla Cina pian piano verrà soddisfatta e immaginando quando sarò sulla Grande Muraglia scivolo in un sonno profondo.
Il giorno seguente proseguo per Tomortei, altri 123 km, in una tappa più carina con strada più divertente seppur sempre abbastanza monotona. Unica nota colorita: mi fermo in una bettolaccia per rifocillarmi e mangiare due uova sode. Dentro ci sono solo tre cinesi, sembrano clienti abituali, uno è ubriachissimo. Mi scherniscono un po’ ma appena racconto che vengo dall’Italia e gli mostro una cartolina di Roma (che poi gli regalo) si trasformano in grandi amiconi e mi offrono il pranzo!
La sera mi accampo in una radura tra le betulle, dove arrivano presto due pastori con cui a gesti e disegni scambio sensazioni e opinioni. Hanno la faccia cotta dal sole e segnata dal vento, non usano i cani per il gregge ma solo urla ed un bastone: che fatica, penso, e povere pecore (mica rimpiango i cani oh!), ma che bella emozione incrociare la vita di persone così differenti da me e che come me sono così felici di fare quello stanno facendo.
Scoprire la Cina in bici
L’indomani parto per Jining, 90 km di un continuo saliscendi con il vento in faccia che mi ha sferzato dal primo all’ultimo metro, una tappa davvero tosta. Arrivo nella prima vera città, grande, due grandi ciminiere di carbone (tipo reattori dei Simpson per intenderci) in continua espansione, un cantiere aperto e grattacieli (incompleti) un po' ovunque. Qua mi fermo a chiedere informazioni in una banca e dopo mille gesti e disegni arriva (da casa sua dove stava in malattia…) un dirigente appassionato di bici che mi ospita a casa sua! Un grande! Lui mi spiega molte cose, per esempio che ogni tanto il governo stabilisce che alcuni quartieri devono avere i palazzi di un colore (color crema per il suo) e via giù tutti a dipingere…Mangio il migliore street food della vacanza: una crepes con uovo, insalata, formaggio, una specie di salsiccia piccante, patate e salse varie per circa 0,40 euro! Na bomba. Qua si notano i grandi contrasti, tra una povertà manco tanto nascosta (molti dormono nella propria minibottega di 3 m per 3 m, proprio casa e bottega!) e auto lussuosissime Range Rover fiammanti, Buick, Audi e Mercedes. Ma anche tante biciclette.
Il giorno seguente parto all’alba per Datong, il capoluogo della regione, 130 km distante a sud. Impiego un’ora per attraversare la città e poi raggiungo una bella strada con salite lunghe ma non impegnative. Volevo percorrere solo una sessantina di chilometri ma la campagna è talmente anonima ed i villaggi brutti e puzzolenti (tra discariche a cielo aperto ed allevamenti di polli) che proseguo prima verso le grotte di Yungang con il suo Buddha alto 25 metri e poi arrivo finalmente a Datong. La città è enorme, piena di grattacieli ovunque e un fiume largo che scorre calmo e lento in contrasto con la frenesia cittadina. Incontro Kevin un warmshower gentilissimo che mi ospita a casa sua con la moglie e i due figli e che ha un negozio di bici (Cannondale e tra l’altro ha anche delle Tern e mi racconta che in realtà ci sono tante pieghevoli in questa città). Kevin è un grande, praticamente mi adotta. Passiamo due giorni a spasso per la città, in bici ed in automobile, tra ristoranti e musei anche insieme ai suoi amici, davvero bello incontrarlo e parlare di tutto con lui che spesso parte con il figlio ventenne per pedalare in India e in Tibet. Colgo l’occasione anche per visitare il famoso Hanging Monastery del 1000 d.c. a circa 60 km a sud di Datong vicino alla cittadina di Hunyuan: un tempio tutto in legno letteralmente “appeso” alla montagna, protetto dalla stessa parete a cui è attaccato, affascinante. Al tempio incontro anche una famiglia cinese che vuole parlare un po' di inglese e con cui alla fine vado a pranzo e passo tutto un pomeriggio, che umanità.
Pedalando verso Pechino
Il mio viaggio in bici prosegue verso Pechino diretto a est, senza una meta precisa, lungo una strada tortuosa, anche bella tra due catene montuose, ma piena di camion. E i cinesi guidano male, almeno i camion! Per non parlare di quello che cade dai camion, carbone, ghiaia, patate… annaspo, schivo, soffoco, impreco e insisto, e alla fine ne esco indenne. La strada è a due corsie e se guidi un camion e non sorpassi in curva da queste parti non sei nessuno!!! Alla fine mi fermo a Huashaoying, testardo dopo 110 km di inferno! Sono nero di smog e fuliggine e ho mangiato solo noccioline e bevuto acqua fredda (5 litri) non vi racconto di come è finita la sera….Il giorno dopo tappa carina verso Xiahuayuan. Salitelle, curvoni, puzza di allevamenti, pioggia, per fortuna pochissimi camion, qualche cane (tutti piccoletti) e un gatto (il secondo dopo quello visto in una tenda nel Gobi)! Per strada incontro un corteo di un matrimonio, mi fermo incuriosito e vengo accerchiato: un paio di tipi straincuriositi a loro volta, mi toccano la barba ed i peli delle braccia (eh si davvero!) e si fanno le foto con me e pure mi pagano per le foto!
Dormo in un motellaccio dove mi hanno letteralmente portato: un ragazzo gentilissimo che stava alla fermata dell’autobus con la fidanzatina mi ha accompagnato alla stazione dei taxi e lì un tassinaro mi ci ha guidato: questa è l’umanità che mi piace, gente che ti aiuta ed è gentile senza niente in cambio! La serata passa veloce a mangiare con il gestore del motel che sta sempre a torso nudo e ha una panza assurda e che la notte fa il dj al motel, che tipo!
La Muraglia cinese
Ci siamo, la prossima tappa è verso la vera e propria muraglia cinese, Badaling. La strada, spesso costeggiata da bellissimi salici e betulle, è piacevole con saliscendi continui e poche macchine. Fino ad ora della Muraglia ho visto solo vecchi torrioni ormai ridotti ad un cumulo di sabbia, segni di un antico splendore. La Muraglia è (era) lunga oltre 21.000 km! Un’opera grandiosa, maestosa, un muro che si inerpica tra valli e montagne. Quello che mi ha colpito non è tanto e solo la maestosità della Muraglia, ma il senso di tutto ciò: negli anni, mi domando, ma quanta paura hanno fatto i mongoli a ‘sti cinesi!?!Quando arrivo al sito di Badaling resto un po' sorpreso: avevo letto infatti che si trattava di un grande punto di accesso alla muraglia, ma una volta lì non nascondo di essere stato scettico perché per arrivarci percorro una stradina davvero piccola e nascosta e con poche indicazioni… arrivo e trovo un grande piazzale vuoto, sarà chiuso? Eppure avevo letto che questo sito (come altri) sono aperti tutto l’anno….. Mi avvicino e non trovo nessuno… ma come dopo circa 70 km e così tante aspettative è chiuso! Come è chiuso? Azz…. Mi avvicino all’entrata e vedo il guardiano e gli chiedo di farmi entrare e lui secco mi dice “No, closed!”, ma come chiuso e dai! Poveretto, lo capisco, vede arrivare uno “scemo” con una bici da viaggio tutto sudato e sporco di fango (per la pioggia, sono senza parafanghi), che mi aspetto? Ma insisto, e dopo mille gesti alla fine quello chiama un altro guardiano. Entrambi mi guardano perplessi e mi parlano in cinese… alla fine, caparbio, tiro fuori le mappe e gli spiego (ci provo a gesti perché di inglese manco a parlarne) che sono arrivato fin là dalla Mongolia in bici solo per vedere la Muraglia… e alla fine, credo mossi più per compassione che altro, mi dicono (in cinese): “Vabbè fai come ti pare, paga il biglietto e vai, ma alle 17 te ne devi andare che noi stacchiamo” o almeno una cosa così. “Posso portare la bici?” e loro “E fai come ti pare".
Infatti, dall’ingresso c’è un percorso di quasi un chilometro per arrivare alla base del torrione di accesso. Che grandi! Arrivato, imbosco le borse dietro un cespuglio e non pago della fatica fatta mi carico la bici in spalla e salgo sulla Muraglia. Salgo molti gradini e gradoni, pedalo un po', poggio la bici, risalgo altri gradini (anche molto ripidi) e mi fermo in cima su un tratto più alto: sia da un lato che da un altro c’è la Muraglia a perdita d’occhio, una sottile linea di mattoncini che segna le colline circostanti, una linea sottile che però ha difeso per anni, secoli, i cinesi dalle orde mongole. Solo (con la mia Tern), sulla Muraglia Cinese… che spettacolo! Ubriaco di emozione mi guardo intorno, con calma assaporo ogni istante di quel momento. La fatica, le intemperie, il caldo, le difficoltà, tutto scompare di fronte a quello spettacolo unico al mondo.
Il vento, mio compagno in cima alla muraglia, è forte e rumoroso, ma non scalfisce il senso di pace, di armonia e di gioia che provo in questi momenti. Momenti che durano ore, interrotti dalla voce al megafono dei guardiani che non so che dicano ma guardo l’orologio e capisco che il mio tempo da solo in questo angolo di terra così affascinante è finito. Infatti scendendo li vedo arrivare e mi fanno gentilmente delle foto con la bici alzata sopra di me stile Rocky! Prima di andare via regalo a loro le ultime cartoline di Roma e li abbraccio, mi hanno fatto un regalo unico, la Muraglia senza turisti, e quando mi ricapita! Il giorno successivo, siamo a 1630 km fatti, mi dirigo verso Pechino passando per lo Juyong Pass, una delle tre porte ufficiali di tutta la Muraglia. Per arrivarci pedalo davanti al sito turistico principale di Badaling, insomma il vero ingresso, e capisco tutto: l’ingresso dove sono capitato è quello secondario aperto solo i giorni di grande affluenza di turisti, così mi hanno detto. Sarà, ma tant’è che all’altezza dell’ingresso principale è tutta una altra cosa, negozi, bar, hotel e tanti tanti turisti, che fortuna che ho avuto nello sbagliarmi! Lo Juyong Pass è maestoso e la muraglia nei suoi pressi si inerpica sulle montagne vicine in modo incredibile, che opera maestosa. Rapidamente arrivo a ridosso di Pechino.
La gamba è reattiva, resistente e pronta, sento il profumo dell’arrivo. Decido di visitare le tombe Ming. E pare facile. Nel mio immaginario (ma ammetto di aver letto poco prima di partire) pensavo di trovare una specie di cimitero o tempio. In realtà non è proprio così; ossia c’è un tempio più grande dove è sepolto il maggiore imperatore della dinastia Ming, tempio collegato un tempo alla città da un percorso specifico di cui oggi rimane solo parte, ma in realtà le tombe Ming sono sparse in una grande area con diversi tempi. Per questo non capivo perchè chiedendo per strada la gente mi dicesse “Le tombe Ming? Ci sei già” oppure “Vai a destra!” però verso un sito turistico minore o ancora “E devi fare ancora 10 km". A fine giornata arrivo alla periferia di Pechino dove incontro tre attempati ciclisti che gentilmente mi guidano (per 10 km, davvero gentili) fino alla zona dello stadio olimpico Bird Nest. Devo dire che qualche giorno prima avevo realizzato che la settimana in cui sarei arrivato a Pechino ci sarebbero stati i mondiali di atletica. E allora ho scritto ad un paio di amici per sapere se ci fosse stato qualche conoscente con la delegazione azzurra. Ebbene, Cosimo un mio compagno di un corso di Sport e Management mi risponde dicendo “Ci sto io Francè, vediamoci alle 18,00 davanti allo stadio che ho un biglietto per te”. Ho quindi trovato un ostello dove dormire, mi sono lavato e vestito alla meglio (bermuda abbastanza logori, polo Adidas della squadra di rugby e infradito) e sono andato allo stadio. E il grande Cosimo mi ha trovato il biglietto anche per la finale dei 200 m maschili dove Usain Bolt ha stravinto confermando la sua grandezza!
A Pechino decido di passare gli ultimi 5 giorni di questo splendido viaggio in bici, senza visitare nient’altro che questa immensa città, caotica, sempre in movimento, piena di giovani e ricca di contraddizioni. Mi fermo a dormire nella zona degli hutong, lontano dal vero centro città che oggi è la zona del business con i suoi grattacieli altissimi e le auto di lusso. Trovo un piccolo hotel, carino, modesto e pulito dietro l’accademia drammatica in una di queste piccole vie buie che caratterizzano gli hutongs. Questa è una parte della città molto particolare perché in questi vicoletti trovi di tutto: ristoranti e discoteche e folle di giovani che si accalcano, oppure risciò parcheggiati con i conducenti che si riposano all’ombra dei salici, oppure piccoli templi o case antichissime.E nel vicolo dove è il mio hotel faccio un piacevole incontro: infatti in Mongolia al confine con la Cina avevo chiacchierato con un ragazzo taiwanese che sta facendo un giro in Cina, e una mattina, voilà, lo incontro davanti all’hotel dove dorme pure lui! Ci salutiamo, ridiamo sorpresi, ci beviamo un caffè e poi ognuno per la sua strada. E’ così la vita, piena di incontri fortuiti a volte davvero curiosi. In questi giorni giro in metropolitana o in bicicletta e apprezzo la città, i suoi musei (anche il famoso quartiere artistico 978) e i suoi numerosi parchi e devo dire anche le numerose piste ciclabili. Seduto davanti al tempio del paradiso, in una giornata di sole caldissimo e cielo terso, accompagnato dal rumore si uccellini e del thai cin, la tipica danza cinese che moltissimi praticano nei parchi a tutte le ore del giorno (più spesso la mattina presto o la sera tardi), mi rendo conto che sono stato davvero fortunato in questo viaggio per vari motivi. Il primo, perché non ho avuto disavventure o incidenti, insomma più di una volta i camion mi hanno fatto il pelo, ma senza conseguenze… Il secondo, perché la Tern non mi ha dato mai, dico mai, un problema! La Tern è stata perfetta: forte e agile sullo sterrato mongolo, quanto veloce e performante sulle strade cinesi, un bel mix. Davvero chapeau! Il terzo, perché arrivo a Pechino e c’è il sole ed il cielo terso: ma come una delle città più inquinate al mondo? In realtà per fortuna (mia) in questi giorni ci sono i campionati del mondo di atletica e le celebrazioni per i 75 anni dalla fine della II guerra mondiale e il governo ha chiuso scuole, fabbriche, molte società e ci sono le targhe alterne. Il quarto, perché sono riuscito ad “imboccare” allo stadio e vedere la finale dei 200 m maschili ed alcuni tra gli atleti più forti al mondo, mica capita tutti i giorni. Il quinto, perché ho pure incontrato un cugino che vive qua e gestisce un paio di ristoranti e con cui mi ha fatto molto piacere cenare e chiacchierare quando neppure lo conoscevo. Il sesto ed ultimo motivo, è che sono fortunato di poter viaggiare e conoscere nuovi posti e nuove persone, e soprattutto di farlo anche in bicicletta, il che dà un senso diverso al viaggio, una prospettiva unica di lentezza, ma anche velocità e libertà, un modo unico di viaggiare per scoprire l’umanità che ci circonda e per conoscere noi stessi. Mi piace viaggiare da solo anche perché in tutti i viaggi che ho fatto da solo, corti o lunghi che fossero, non mi sono mai sentito veramente “solo”, perché ogni volta pedalo con i miei amici e la mia famiglia nel cuore, e soprattutto pedalo con i miei sogni. E auguro a tutti almeno una volta di fare un viaggio o solo un giro in bicicletta da soli!
Ti sei perso la prima parte del viaggio in bici di Francesco tra Mongolia e Cina? Leggila qui!
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Spero sia un gran viaggio e tienici aggiornati su come andrà!
Buone pedalate!