Ci sono situazioni che cambiano definitivamente la vita, episodi incontrollabili ed inaspettati che ti conducono dove mai ti saresti immaginato... anche sulla Route 66, la strada più chiacchierata d'America. Norberto De Angelis, uno dei più forti giocatori di football americano in Italia, dopo anni di carriera sportiva, decise di lasciare la sua Parma per dedicare un periodo della sua esistenza al volontariato in Africa. Un grave incidente sulle strade della Tanzania, fece risvegliare Norberto, dopo due mesi di coma, in un letto d'ospedale italiano, con le gambe paralizzate. Norberto, però, non si è mai arreso e dopo mesi di preparazione ed allenamento ha realizzato un sogno che oggi ci racconta...
Ciao Norberto, prima di tutto complimenti davvero per la tua grande impresa… per quanto tempo ti sei preparato prima di partire per affrontare la Route 66 in handbike?
Ciao a tutti, grazie per i complimenti che ben gradisco.
Ho avuto l'idea di fare un qualcosa di speciale, dopo che mi è stato asportato un tumore maligno nel settembre 2007. Ero molto sereno ma determinato a realizzare un'impresa che mi stimolasse. L'idea di percorrere in handbike tutta la US Route 66, l'ho avuta dopo aver visto il film Forrest Gump. Ebbene, quando ho visto il protagonista-bambino rompere i tutori delle gambe ed iniziare a correre, sfrecciando negli splendidi paesaggi dell’America on the road, ho capito che potevo fare qualcosa di simile anch'io. Quella scena è stata un'illuminazione e mi ha totalmente folgorato. Non volevo però fare un qualcosa di troppo destabilizzante, o peggio ancora di traumatico, per il mio fisico già provato, quindi mi sono detto: - Norberto, quello è l'obiettivo giusto per dare una svolta alla tua disabilità? Hai deciso di vivere, giusto? E, allora che aspetti? Datti da fare. -
A gennaio 2008 è arrivata la svolta. Il desiderio di fare l’impresa è diventato un chiodo fisso. Il mio tormento. La magnifica ossessione. Di giorno mi allenavo, la notte stilavo un programma di massima dove valutavo eventuali sponsor, fornitori di attrezzatura, possibili accompagnatori e mi documentavo attraverso Internet sulle difficoltà del percorso. Ho buttato giù un piano di azione in totale solitudine, barricandomi in casa per giorni e giorni senza sentire il benchè minimo desiderio di vedere qualcuno, fatta eccezione per il mio dobermann Brando. Così mi son messo a pianificare quanto più possibile per realizzare questo sogno. Ci son voluti la bellezza di 16 mesi di assoluta dedizione al progetto, evitando anche tutti gli amici e svaghi non inerenti al progetto stesso.
Quanti chilometri hai percorso di media ogni giorno e qual’è stata la tappa più difficile dell’intero viaggio sulla Route 66? Ci racconti il motivo?
Ho percorso 3798 km totali in 80 giorni o 245 ore di effettiva corsa. Circa un 60-70 km di percorrenza media al giorno. La percorrenza media variava spesso in base alle difficoltà del momento. Comunque al giorno percorrevo quanti più km possibili cercando di evitare lo stress fisico, che comunque è arrivato, specie quello mentale ed un piccolo stop in un albergo per febbre dovuta ad un principio di blocco renale per la troppa sudorazione.
Troppe variabili dovute all'enorme e pericoloso traffico delle città attraversate (Chicago, Saint Louis, Tulsa, Oklahoma City, Amarillo, Albuquerque, Flagstaff ed infine Los Angeles per citare le più grandi), pendenze del percorso (Chicago è sui 170 mt.l.m e Flagstaff sui 2200 Mt.l.m. di continui saliscendi), un asfalto simil grattugia, avversioni climatiche di freddo, caldo, vento quasi sempre contrario, pioggia (a maggio attraversando l'Oklahoma, ho incontrato un tornado. Infatti maggio, per Oklahoma è il mese dei tornado), guasti meccanici (fortunatamente pochi), riposi articolari...
Tappe difficili ne ho passate. A volte mi son scoraggiato molto, ma la delusione di aver venduto parole e non fatti, mi ha sempre spinto ad andare avanti. Forse anche un po' l'incoscenza ha aiutato (non sapevo cosa avrei incontrato o affrontato). La tratta più difficile, anche perchè avevo già oltre 3000 km sulle spalle e braccia, è stata sicuramente il Mojave desert in California. Nel deserto viaggiavo di notte. Dalle 10-11 di sera circa fino all'alba per poter pedalare con temperature ottimali. Di giorno il termometro si aggirava sempre oltre i 53, 54°. Ma anche all'inizio. La città di Chicago mi aveva spaventato un pò. Per uscire dalla città, viaggiavo a fianco di bolidi ruggenti ed ingombranti, a fianco della superstrada a 5-6 corsie, sembrava quasi di pedalare in tangenziale a Milano durante le ore caotiche di punta ( ed è durato un giorno e mezzo). A Los Angeles poi, ho pedalato in mezzo al traffico e semafori per circa 200 km (la distanza fra San Bernardino - Los Angeles - Santa Monica) in tre giorni totali. Ho anche fatto un passo montano di circa 35 km di salita (pendenze medie dell'8%), prima di scendere nella valle del fiume Colorado che taglia il deserto sul confine californiano.
Ci racconti l’incontro più bello avvenuto durante il tuo viaggio sulla Route 66 in handbike?
Beh, sicuramente gli splendidi paesaggi del New Mexico e Arizona. I folkloristici personaggi sempre pronti a spronarmi ed incoraggiarmi con il pollice alto (i motociclisti), le trombe degli enormi Camion, l'urlo da "mammut" dei treni, la disponibilità e gentilezza degli americani nell'incontrare un italiano disabile. Anche attraversando le zone malfamate di Chicago, come East ST. Louis..., ho incrociato sorrisi cannibali ma non di minaccia. In un paesino del Midwest (Elkhart), dopo essere entrato in un bar vicino a dove sostavamo col camper, mi è sembrato di essermi catapultato nel bar di guerre stellari (quello dove bevevano i mostriciattoli e c'era il pilota-orso-yeti "Ciuba" o "Ciubeca"). Clienti gentilissimi, ospitali ma di pessimo aspetto fisico oltre che veramente grassi. Per rendere un'idea del posto, lì si usava un detto: - Qui lavorare è duro, ma divertirsi lo è ancor di più -.
Oltre agli incontri divertenti vorrei anche far presente un episodio triste accaduto: in più di un’occasione ho pedalato con le lacrime agli occhi. Veramente tanti animali morti investiti ai margini delle strade. In quei territori vive anche un animaletto curioso molto simile all'orsetto lavatore, dal carattere mite e giocoso. Spesso lo si può incontrare in prossimità della strada ed, in caso di pericolo, è solito posizionarsi a gambe all’aria in segno di resa. Ebbene, nell'incrociarlo sull'altra corsia, l’ho visto fermarsi in mezzo alla strada, pietrificato dalla paura al passaggio dei mostri a cento ruote e… nulla da fare! L’arrivo di un auto lo ha lasciato per sempre in quel punto. Non ho potuto fare nulla. L’ho visto morire, indifeso, senza essergli potuto correre in aiuto. Anche questa è stata la strada e la mia avventura, con le sue ciniche, durissime leggi, dove l’unica scelta che ti viene concessa è quella di proseguire il cammino. O di fermarti.
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Dopo l’incidente hai avuto una grande forza d’animo per ricominciare a vivere la tua vita in maniera molto diversa rispetto a prima, cosa ti ha aiutato maggiormente in questo percorso?
Inizialmente ho avuto la fortuna di incontrare una fantastica donna che mi ha permesso di riprendere fiducia in me. Ma poi mi son sposato allo sport. E' lui che mi indica la direzione giusta da seguire. Ed è nello sport che ritrovo spesso la determinazione e stimoli per uscire dal tunnel.
Ad un ragazzo che, giovane come te, dovesse perdere l’uso delle gambe, cosa consiglieresti di fare per prima cosa, per ricominciare a vivere?
In primis, imparare a essere autosufficente. Rimboccarsi le maniche, perchè ogni piccola conquista è spesso doppia fatica. Non chiudersi in casa e frequentare ambienti dinamici o lavorativi o sociali. Per me è stato, ribadisco, lo sport. Beh, anche coltivare gli affetti e amici ha molta importanza.
Ora stà per iniziare un’altra grande avventura in Africa, ci racconti del progetto… da dove nasce l’idea?
per quel che riguarda il progetto in Africa ti invio una brochure informativa + link gruppo FB (se ti piace iscriviti, abbraccia la storia e condividi il gruppo, grazie) e link pagina evento dal sito web: http://www.cefaonlus.it/come-aiutarci/challenge-traversata-in-tanzania.asp Per rispondere a come è iniziato il tutto ti spiego: durante un meeting sportivo (happy hand) a Bologna nel giugno 2012, ho conosciuto un fotografo professionista,
Gabriele Fiolo, che aveva lavorato per il football americano e con i miei vecchi compagni di gioco. Parlando del più e del meno, gli ho spiegato dell'incidente avvenuto in
Africa mentre partecipavo ad un progetto di volontariato con una ONG, la CEFA Onlus di Bologna. Lui mi ha detto che aveva anche fatto dei servizi per il CEFA di Bologna e che conosceva bene il responsabile raccolta fondi CEFA, il Dottor Giovanni Beccari. Ebbene, la settimana successiva all'incontro, mi ha telefonato il Dottor Beccari dicendomi che sarebbe stato contento di conoscermi e che gli avrebbe fatto piacere organizzare con me un evento-progetto per la
disabilità africana, sulla falsa riga della mia impresa americana. Ci ho pensato due minutini e lo ho subito richiamato per dirgli che ero assolutamente favorevole all'idea. Da quel momento è iniziato un dialogo sempre più costruttivo fino all'attuale progetto work in progress presente in questa broschure scaricabile:
Qual'è la sensazione più forte che provi quando pensi che tornerai in Africa?
Un indescrivibile piacere di arrivare ad un altro stimolante obiettivo o traguardo. L'idea di tornare e di ripercorrere in handbike i luoghi e la strada del mio incidente mi incuriosisce. Realizzare una nuova avventura, impresa e voglia di sfidare una sorte avversa mi esalta. Il villaggio di Matembwe (dove vivevo), nel distretto di 'Njombe dell'altopiano di Iringa, il parco nazionale del Mikumi, le zone aride dei Baobab, la terra dei Masai... WOW... Ero andato per imparare a vivere, dare sfogo alla curiosità, fare del volontariato e accidentalmente son tornato a casa con una diversa vita. Ora tornerò da disabile per rifare del volontariato ai loro disabili. Chiudo un ciclo vitale davvero bello e importante. Mi hanno offerto una risposta ad una domanda che sempre mi sono posto. Non ho mai saputo tradurre il significato di quell'accaduto. Forse a dicembre finalmente saprò...
Quando partirai e quanto durerà il tuo viaggio nel Continente Nero? Come possiamo aiutarti nel progetto Less is more? Dove possiamo seguirti nel tuo itinerario?
Siccome abbiamo avuto il patrocinio dal presidente nazionale del C.I.P.(Comitato italiano Paralimpico), avv. Luca Pancalli, si è pensato di partire per l'Africa in concomitanza della giornata nazionale paralimpica del 10 ottobre 2013. Quindi, da Roma o da Milano, "l'allegra" comitiva s'imbarcherà con destinazione Tanzania. Per la sosta in Africa dobbiamo ancora definire i particolari, ma per me dovrebbe essere di 30-40 giorni (dovrei rientrare a cavallo dell'inizio della stagione delle piogge) E' graditissima la divulgazione del progetto tramite social networks e pagine web. Anche con articoli giornali o interventi TV (se avete contatti o amici giornalisti). Dai link che ti ho indicato sarà possibile ricevere tutte le news del progetto, eventi, spostamenti.. Seguiteci, e come già scritto, se vi va iscrivetevi, abbracciate e condividite il gruppo. Invitate anche i vostri amici farlo, ci darete davvero un grande aiuto per questo progetto a sostegno dei disabili dell'Africa! Anche eventuali donazioni, che saranno detraibili, sono ovviamente sempre ben accette (il progetto è stato organizzato tramite CEFA Onlus).
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico