Li abbiamo seguiti di tanto in tanto nella loro splendida avventura, abbiamo letto i loro racconti ed ammirato le loro splendide immagini di luoghi lontani e magnifici. Aitor e Evelin, basco lui, bolzanina lei, sono due grandi cicloviaggiatori e stanno pedalando nel loro giro del mondo in bici dal 2009. Lì abbiamo intervistati mentre si trovano a San Martin de los Andes in Argentina per qualche giorno di riposo, pronti a riprendere la loro marcia verso la "Fin del Mundo" e poi? Chissà, per ora godetevi le loro parole che ispirano e coinvolgono
Siete due grandi cicloviaggiatori... ci raccontate un po' la vostra storia fino ad oggi?
Siamo un basco-catalano e una bolzanina che si sono conosciuti in Cambogia, innamorati in Indonesia e han cominciato a pedalare insieme in Australia. Entrambi, prima di conoscerci, avevamo lasciato quella che è considerata la “vita normale” per provare a inseguire i nostri sogni.
Per me (Aitor) il sogno era di fare un viaggio lungo, e soprattutto in bicicletta. Teoricamente avevo tutto nella vita: un buon lavoro, un appartamento, una compagna, ma nonostante tutto mi mancava qualcosa. Dopo tanti dubbi e anche paure, alla fine nel febbraio del 2009 sono partito con il mio amico Iñigo dal Cairo, in Egitto. Insieme, in 14 mesi, siamo
arrivati fino a Bangkok, dopo aver attraversato il Medio Oriente, l'Asia Centrale (lungo la mitica via della seta e le spettacolari catene montuose del Pamir, del Karakorum e dell'Himalaya) ed il Sudest Asiatico. Iñigo si considerava soddisfatto ed è tornato a casa, mentre io sognavo di arrivare ancora piú lontano. Da Bangkok ho pedalato per un altro anno da solo, attraversando Thailandia, Malesia, Indonesia, Nuova Zelanda e parte d'Australia (da Melbourne a Darwin).
In Cambogia, in uno sperduto paesino chiamato Kratie, ho conosciuto Evelin, che si era fermata per andare a caccia fotografica dei rari delfini di Irrawaddy. Anche lei, nel 2007 aveva lasciato il suo “lavoro perfetto” nella pubblica amministrazione per andare a vivere due anni in Australia a lavorare, viaggiare e fare volontariato con gli animali, la sua grande passione grazie alla quale in realtà ci siamo conosciuti. Dopo esserci rivisti in vari paesi (io sempre in bici e lei in autobus...), alla fine le ho chiesto di viaggiare in bici con me e lei, nonostante la totale inesperienza, ha deciso di provarci. Insieme abbiamo percorso la costa occidentale australiana (da Darwin a Albany), il Vietnam, la Cina e il Tibet Orientale, la Mongolia, la Corea del Sud e il Giappone.
Volati ad Anchorage, Alaska, siamo partiti in direzione Ushuaia, la fine del mondo,che ora sta a meno di 3000 km da noi. In tutto, sono già più di 74.000 km pedalati.
Il blog dove raccontate il vostro viaggio si chiama Cyclotherapy... da dove nasce questo nome?
Ci sembrava il nome perfetto perché il nostro viaggio voleva essere proprio una
“terapia” a due ruote contro la routine che avevamo nella “vita normale”, per tornare a sentirci di nuovo veramente vivi e felici.
Qual è stato finora l'episodio più divertente del viaggio?
I momenti divertenti sono stati tanti, ma ora ci viene in mente quando in Nuova Zelanda siamo andati al negozio della ditta basca di biciclette Orbea, dove avevamo un appuntamento per fare delle riparazioni alla bici. Io (Aitor) ero vestito con roba vecchissima, dall'aspetto un po' trasandato, ma quando ho detto che ero Aitor Galdos mi hanno fatto un sorrisone e si sono dimostrati tutti estremamente onorati di avermi nel loro negozio. Hanno preso un poster della squadra basca Euskaltel-Euskadi chiedendomi di autografarlo, pensando che fossi il corridore professionista del team, anche lui di nome Aitor Galdos...
Ancora oggi mi domando come potessero pensare che un ciclista professionista potesse presentarsi nel loro negozio ridotto come ero io, per sistemare una bici ridotta ancora peggio. Io comunque
il poster l'ho firmato e non ho detto niente... è stato un momento davvero surreale.
E il momento più difficile?
I momenti difficili in bici possono essere tanti, dal freddo intenso al calore opprimente, alla neve, alla sabbia, alla pioggia, al fango, al vento contro talmente furioso che ti fa avanzare a 5 km orari nonostante sia pianura, alla pesantezza della burocrazia per i visti.
Ma per noi, sinceramente, il momento più difficile è stato qualcosa di molto più personale, quando in Colombia ci è arrivata la notizia terribile che mio papà (Evelin) era
gravemente ammalato. Siamo tornati a casa immediatamente e purtroppo dopo poco tempo è deceduto. Un'esperienza durissima che tocca tutti prima o poi, e che ci ha fatto riflettere ancora di più sulla vita.
Qual è stato il popolo più accogliente e quello più diffidente?
Il contatto con le persone è senzaltro la parte migliore del viaggio e la bicicletta rende le relazioni umane ancora più speciali. La lista dei popoli accoglienti è lunghissima, in effetti abbiamo un ricordo bellissimo di quasi tutti i paesi, a cominciare dalla Siria che oggi purtroppo è una nazione martoriata dalla guerra. Fantastico anche il ricordo che abbiamo del calore umano pakistano e indonesiano, della gentilezza giapponese e dell'allegria dei messicani e colombiani. Ma se proprio proprio dobbiamo dirvi un popolo “numero uno”, per noi sono
gli argentini, con il loro entusiamo, la loro ospitalità e simpatia.
Rarissime volte abbiamo sentito diffidenza da parte della gente e più che altro era mescolata anche a timidezza, come nel caso delle popolazioni indigene delle Ande. L'unico paese di in cui non abbiamo avuto molta empatia con la gente è stata l'India.
Dopo tanto tempo in viaggio non vi manca una vita "normale"?
In alcuni momenti il corpo e la mente si stancano e ci sono anche dei cali di motivazione. In questi casi, fermarsi per un po', staccarsi dalla bicicletta e cercare un po' di comfort continuativo è una necessità per ricaricare le batterie e ritrovare l'entusiasmo iniziale per viaggiare.
Però sinceramente, la
“vita normale”, quella del lavoro fisso, il mutuo, eccetera, non ci manca per niente.
Viaggiando in coppia a volte capita di litigare... come reagite quando pedalate?
Certo che ci capita a volte e all'inizio litigavamo in inglese per essere sicuri di capirci. Quasi sempre ci capita in situazioni di stress fisico o mentale mentre stiamo pedalando. In queste occasioni, continuiamo a pedalare senza parlarci per un tempo direttamente proporzionale alla gravità del litigio e cerchiamo di passarci sopra il più rapidamente possibile per il bene della convivenza e del viaggio.
Tre motivi per cui chi legge questa intervista non dovrebbe solo invidiarvi ma anche prendere la bici e partire?
Nessuno dovrebbe invidiarci perché viaggiare così è una cosa che può fare chiunque.
Se a qualcuno dei lettori manca solo una piccola spinta per partire, queste potrebbero essere delle motivazioni:
- Viaggiare in bicicletta è viaggiare piano piano, alla velocità perfetta per vedere e sentire tutto ciò che ti scorre davanti lungo il tuo percorso, conoscendo tanti posti dove non si ferma quasi nessuno.
- Non c'è niente di più meraviglioso della libertà che ti dà la bici e niente di più soddisfacente che raggiungere una meta solamente con le proprie forze e in un modo molto economico che ti permette di viaggiare a lungo.
- Conoscere i diversi usi e costumi della gente per noi è la parte più bella del viaggio. Il contatto con la gente è costante e sincero, perché le persone sono molto più aperte con noi e curiose quando ci vedono arrivare in bicicletta, e questo regala esperienze uniche e indimenticabili.
Il mondo è immenso... vi fermerete prima o poi o avete intenzione di vederlo tutto?
Nonostante gli anni che passano,
il nostro entusiasmo per questa vita è ancora vivissimo e l'idea di tornare a una vita normale ci sembra lontana. Allo stesso tempo però, non diamo mai nulla per scontato e viviamo giorno per giorno, senza fare troppi progetti, perché la vita poi te li cambia tutti senza preavviso.
Quali sono i vostri prossimi programmi?
Per ora l'unica meta certa è Ushuaia... come detto prima, cerchiamo di non fare troppi progetti.
Una volta arrivati a Ushuaia, il sogno sarebbe quello di prendere una nave o un volo per il Sud Africa e cominciare a pedalare il continente africano, ma vedremo...
Dove possiamo continuare a seguire le vostre avventure?
Un epilogo...
Noi pensiamo che
nella vita uno deve fare quello che lo rende felice, e non quello che gli altri si aspettano che faccia. La ricerca della felicità, e non le cose materiali, dovrebbe essere l'obiettivo principale delle nostre vite. Perciò noi crediamo nei sogni e nel fatto che tutti dovrebbero cercare di renderli realtà, senza dimenticare che il presente è più importante del futuro.
Non mi resta che augurare ad Evelin e Aitor buona strada e tanta felicità!!!
Ultimi commenti
Spero sia un gran viaggio e tienici aggiornati su come andrà!
Buone pedalate!