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I ciclisti per caso da Brescia a Monaco in bici | Arrivo a destinazione

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Lo sguardo dell'uomo allo sportello delle ferrovie tedesche risveglia vecchi fantasmi. Minuti sospesi in attesa di un responso mentre il fronte di ricerca alloggio non sta dando i frutti sperati . Siamo sfiancati dalla giornata passata in sella e vorremmo solo fare una doccia e distenderci un po'. Inganniamo l'attesa ripercorrendo mentalmente il percorso fatto.
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Il quarto giorno

 
Cielo cristallino a ridestare la voglia di viaggiare. Siamo lontani dal traguardo e le salite che ci attendono ci spingono ad anticipare leggermente la partenza dopo il solito carico di zuccheri e proteine. Il sole scalda i corpi e la cromoterapia dell'ambiente in cui siamo immersi da i suoi frutti: morale alto e ruote che scorrono allegramente favorite anche da una strada pendente a nostro favore.
Giungiamo rapidamente all'attacco della salita per il lago di Achen che porta a sgranare il gruppo. Pendenze rigide che, insieme a Giosuè, mi fanno scendere a piedi su alcuni tratti piuttosto che pedalare. Restiamo incantanti di fronte alla cura dei prati e delle colline circostanti. Mucche spettatrici annoiate del nostro passaggio. Il cigolio ritmico della catena di Danilo che mi accompagna lungo la salita mi ricorda che anche le biciclette, faticando, si trasformano e questo le rende decisamente vive oltre il loro esser materiale.
Il lago di Achen si apre ai nostri occhi spianando la strada al nostro passaggio rendendo un po' di pace alle nostre gambe. Pennellate intense di infinite varietà. Un gioiello curato e impreziosito dall'uomo proprio perché lasciato quasi al naturale. Penso ai nostri laghi e al loro territorio stravolto da ammassi di case e strutture ricettive e il confronto è impietoso...
Le ore passano velocemente e nessuno di noi ha l'esigenza, come nei viaggi precedenti, di fermarsi per un ristoro. Resistiamo anche ai profumi intensi che escono dalle cucine di un ristorante, tanta è la determinazione di arrivare al traguardo.
"Ancora un'ora di pedalate" , è il pensiero comune...
La strada scende e risale succhiando le energie residue fino a giungere al cospetto dello scheletro di quella che fu la frontiera Austrotedesca. Siamo stanchi e vorremmo fermarci ma osservando la cartina vediamo che poco oltre c'è un passo che supponiamo sia il valico tra salite e discese, tra fatica e velocità. Proseguiamo.
Poche curve e la strada diventa un otto volante che spezza l'ultimo residuo di morale. Visi stravolti e gambe che cedono ma finalmente l'Auchenpass volge a nostro favore la strada ed inizia la sua discesa verso il fondovalle. Il vento contrario rende necessario spingere anche in discesa ma riusciamo in questo modo e senza troppa fatica a raggiungere velocità più congrue col nostro obiettivo.
Son quasi le due quando scorgiamo un locale caratteristico della zona. Mentre discorriamo brevemente sul da farsi l'"ist alles gut" di un anziano di passaggio rompe ogni indugio ed entriamo. Locale graziosissimo e molto curato, cameriere matronali sorridenti, cordiali e allegre rendono la pausa un vero piacere. Siamo veramente stremati. Pedalare in continuazione per quasi sei ore non è sicuramente impresa da poco. Chiacchiere e racconti. Rileggiamo i passi dedicati alle giornate precedenti come a richiamare un viaggio che inizia a intravvedere la fine. Dopo un dolce delizioso, salutiamo e riprendiamo la strada.
 
Ci copriamo a difesa di temperature calate sensibilmente e poi giù, in gruppo a mordere l'ultimo tratto. D'improvviso scorgiamo un cartello chilometrico che ci da Monaco a meno di 60 chilometri. È fatta! La testa ci dice improvvisamente che il traguardo è lì alla nostra portata. Spingiamo e pedaliamo compatti a tagliare l'aria.
In un gioco del telefono senza fili, dalla coda alla testa chiediamo di rallentare o accelerare e la sensazione è quella di volare. Visi che si trasformano e sfoderano sorrisi. Vedo gli sguardi sorridenti di tutti i miei compagni di viaggio nonostante siano coperti da scure lenti.
Passanti che salutano e il calore tedesco ci avvolge. Trentanove chilometri. Il verde ci circonda.
Nessuna coltivazione intensiva e le poche fattorie sembrano gioielli da collezione. Venti chilometri. Il verde ci circonda.
Ancora una volta restiamo sorpresi nel constatare che il concetto di periferia tedesco è ben diverso da quello italiano. Pochi chilometri. Il sole è alto. Sguardi alla cartina per cercare la strada migliore per entrare in città. Ancora una volta, come a Parigi, non troviamo nessun cartello ad indicare l'inizio dell'area urbana ma gentili passanti ci indirizzano verso lo Stadmitte.
"Forza Italia! Voi sempre felici!"
La rauca voce di uomo al semaforo ci fa sorridere e ci scalda al pensiero di quella che può essere una visione del nostri popolo all'estero. Alla stazione ci dividiamo. Un gruppo ai treni ed uno agli alberghi. I minuti sospesi allo sportello delle ferrovie tedesche si dissolvono non appena ci offre l'opportunità di rientro. Dovremo frammentarci su quattro treni ma almeno sono dei diretti per Verona che ci danno la possibilità di rilassarci per qualche ora. Ci aggiorniamo col secondo gruppo che è in affanno.
Usciamo dalla DB station e il nostro sguardo viene catturato dall'insegna della Pension Locarno. Proviamo. La fortuna ci viene in aiuto dandoci gli ultimi dieci posti per tutti. La qualità lascia a desiderare e dovremo pregare il custode notturno per mettere le bici in cantina ma la serenità di poter dormire in un letto caldo invece che sul selciato della stazione ci rende questo luogo simile ad una reggia. Passando per Marienplatz il cuore si gonfia di gioia per aver raggiunto con le nostre forze questo luogo direttamente dal centro della nostra città.
Foto di rito a tutto il gruppo grazie anche ad una sorridente musicista polacca, vissuta in sud America ed ora artista di strada col compagno che mescolando spagnolo ed inglese ci racconta della sua vita. Pasto frugale e poi piccoli passi in un centro vivo. Lo schianto senza conseguenze di un ciclista ubriaco contro una recinzione metallica ci fa sorridere strappandoci per un attimo da quella sensazione di tristezza larvatamente aromatica che ogni fine di viaggio accompagna.
Distribuiamo biglietti di viaggio e abbracci. Il viaggio proseguirà nelle menti e ricordi che affioreranno per lungo tempo ancora. Ci stendiamo svenendo pressoché all'istante.
La felicità è qui ed ora.
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Il Quinto giorno

 
Fermi al rosso del semaforo pedonale, ci fronteggiamo con un gruppo di tedeschi tra cui una ragazza in bicicletta. Strade deserte. Salvatore attraversa con italica disinvoltura. La canzonatura è d'obbligo e viene ampiamente compresa dal gruppetto locale.
La ragazza sorride e dopo un'attimo di tentennamento decide di passare prima che scatti il verde. L'apostrofiamo benevolmente e tutti, lei compresa, scoppiano a ridere. Una trasgressione liberatoria delle regole.
Dopo una colazione in una catena danese, nella più tipica delle internazionalizzazioni, torniamo alla pension per recuperare bici e bagagli.
Due coppie sono già partite. Porto fuori le borse e consegno la chiave al receptionist. Mi dice che ne manca ancora una, please!
Scendo con Federico in ascensore e studiamo la tattica: "mandiamo su Salvatore, che magari fatica anche a capirlo, e noi scappiamo prima di incasinarci!"
Alla fine la chiave era nella toppa di una delle stanze già lasciate e tutto si risolve senza spargimento di sangue. Passeggiata tra le vie del centro brulicante di vita, di musicisti e di attori. Marienplatz col naso all'insù a guardare lo storico orologio.
Chiacchiere e racconti a riviver i momenti più emozionanti; ma l'emozione va sublimata col buon cibo ed un bicchiere di birra. Troviamo entrambi in una birreria dietro il duomo. Ci avviciniamo e mentre decidiamo come mettere le biciclette in vista, una voce da dietro: "uè, guagliò, mica stiamo a Bari??! Qua le bici non ve le rubbano!"
Un cameriere dal caratteristico tratto ci guarda sorridendo e ci apriamo in una sonora risata quasi imbarazzati per i retaggi di cui siamo schiavi. Trascorriamo seduti gli ultimi momenti prima di salutare l'ultimo gruppo. Restiamo in tre: io, Stefano e Federico.
È strano pedalare, voltarsi indietro e non vedere il gruppo. Raggiungiamo l'English garten camminando in una natura rigogliosa gremita di gente: famiglie con bambini, coppie, single, gruppi di amici...tutti in perfetta armonia. Tra gli alberi si apre un laghetto solcato da piccole barche e anatre. Sul bordo un chiosco vende pesce alla brace.
Decidiamo per una merenda alternativa da dividere con le mani bevendo il bicchiere della staffa.
Sguardo lontano ad assorbire gli ultimi colori.
A progettare il futuro.
 
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Ciclisti per Caso

Il gruppo è nato casualmente tre anni fa da un'idea di Federico Pascucci e Vincenzo Cinque, medico ed infermiere dell'Ospedale Civile di Brescia, con l'intento di raggiungere i genitori del primo residenti a Cortona. Coinvolti altri due colleghi, è venuto spontaneo chiamarsi "Ciclisti per caso" proprio perchè nessuno di noi utilizza la bicicletta se non per brevi spostamenti cittadini. L'idea è che il cicloturismo è alla portata di tutti anche senza preparazione fisica specifica ma solo con la forza della convinzione.
Partiti tra lo scetticismo dei colleghi, grazie alla riuscita del primo viaggio, l'anno successivo si sono uniti altri due amici in direzione Parigi in un viaggio che ci ha fatto capire le nostre potenzialità e quest'anno abbiamo raggiunto la ragguardevole cifra di 12 partecipanti.
La composizione è variegata con una forbice di età compresa tra i 26 e i 63 anni. Lo spirito è caratterizzato dalla casualità non solo nell'approccio alla bicicletta ma anche sulla scelta delle destinazioni, considerando che negli ultimi due viaggi le decisioni sulle mete sono state affidate ad un lancio di monetina.