Il pappagallo dell'hostal Riso è già sveglio quando carichiamo l'ultima borsa sul portapacchi. Il proprietario sdentato sorride augurandoci un buon viaggio mentre socchiude la porta in legno dipinto di blu e bianco. Le venditrici di quinua sono già appostate agli angoli della strada aspettando i primi clienti della giornata e sperando, dopotutto, che non siano i due ubriachi che ci vengono incontro barcollando.
Appena fuori dalla cittadina si è avvolti da un grande silenzio e mi sembra subito di rinascere. Grosse rocce dalle forme più strane, mi ricordano molto le
morge di Pietrabbondante in Molise, lambiscono la strada mentre ci accingiamo ad iniziare la lunga salita verso le
lagune d'alta quota. A ogni tornante guadagniamo metri importanti e l'
odore fresco di eucalipto addolcisce anche le pedalate più dure.
Un grosso volatile giallognolo, sembra quasi un picchio, si mette in posa per una fotografia ricordo prima di tornare a volare libero tra i massi rossastri. Salendo di quota la vegetazione cambia repentinamente e senza neanche lasciarci il tempo di riflettere gli eucalipti lasciano il posto a grossi cactus da film western alcuni dei quali adornati da maestosi fiori rossi. Basta un attimo e la coda dell'occhio scorge qualcosa di unico: un battito d'ali fulmineo, un becco lungo e appuntito, un corpo leggero, agile e fragile, un colibrì, il primo della mia vita, è stato rapito dal fiore di color porpora, non può resistere, succhia il nettare e scompare in pochi istanti. Magico!
Un passaggio mancato
Quando affronti una grande fatica fai di tutto per non pensarci troppo. Cerchi di camuffare, senza spesso riuscirci, le
smorfie di sofferenza con sguardi neutri, cerchi di distrarti con ogni dettaglio nell'arco visivo, cerchi ogni scusa per fermarti e scattare una fotografia (si dice sempre così ma in verità…). Abbiamo sfiorato i 3900 metri e
il respiro diventa più affannato, le pendenze non sono impossibili ma con i bagagli è tutta un'altra cosa. Un camion arranca come noi sulla strada, non so se riuscirà ad arrivare in cima, penso, ma almeno lui ha il motore.
Quando ci affianca abbassa il finestrino e, mosso a compassione dai nostri volti bruciati dal sole e dalla nostra presenza scenica zigzagante, ci chiede se vogliamo un passaggio fino al valico. Le
gambe e il soprasella rispondono si all'unisono, l'orgoglio e la voglia di farcela ringraziano con un sorriso dicendo di no. Il camionista saluta e con un'accelerata inaspettata si lascia alle spalle una nube tossica prima di sparire dietro il tornante. La salita continua…
Il miraggio di un ristorante a 4000 metri
Le scorte di biscotti stanno per finire, a differenza dell'ascesa, visto che mancano ancora diversi chilometri. La velocità media è scesa ai 6 km/h, ma il cielo è sereno e la temperatura tiepida. Imbocchiamo l'ennesimo tornante nel paesaggio incontaminato peruviano e come un miraggio nel deserto appare un piccolo edificio. “Non può essere" pensiamo insieme guardandoci sgomenti, parcheggiamo le bici sicuri di aver preso un abbaglio ed entriamo dalla piccola porta abbassando la testa per non finire contro il muro. All'interno della saletta colorata altri avventori mangiano e guardano la televisione che trasmette le riprese di una festa dove tutti indossano abiti tipici, ballano e cantano.
Una ragazza dai capelli corvini e il fisico tozzo ma graziato ci scruta abbozzando un sorriso
“Tengo il caldo de cordero”, i nostri occhi acconsentono mentre nella mente appare solo un pensiero alla Homer Simpsons
“Cibo!”.
Il brodo di pecora è delizioso, ma forse lo avrei scritto di qualsiasi altro piatto. Tutti ridono sguaiatamente e anche noi ci facciamo trasportare dall'atmosfera festosa. Sembra di trovarsi in un rifugio di montagna anche se gli altri avventori sono camionisti e una signora dei lama in pausa pranzo, la quota dopotutto è 4000 metri.
Notte (gelida) alle lagune
Il tempo passa ma rigenerati dal brodo saliamo più veloci consapevoli di essere ormai quasi arrivati sull'
altopiano delle lagune di Negro Mayo. Scolliniamo a 4100 metri tra urla di gioia e sgommate involontarie. La prima laguna appare quasi immediatamente: avvolta nel silenzio sembra sospesa nel tempo. A poca distanza dall'acqua sorgono alcuni edifici abbandonati. Il vento, che soffia forte e gelido nel pomeriggio, ci convince a cercare un
riparo più solido di una semplice tenda. Una delle casette ha la porta socchiusa: spingiamo e riusciamo ad aprirla.
Dentro sono evidenti i segni del passaggio dell'uomo tra lattine aperte e una panca di qualche anno prima. Spostando un po' di cianfrusaglie facciamo posto alla tenda che per stanotte non sarà completamente alla mercè del vento. Il sole diventa rosso fuoco al tramonto e, mentre tre fenicotteri mangiano nell'acqua incuranti della nostra presenza, ci godiamo il
nostro piccolo angolo di paradiso conquistato pronti a trascorrere una notte oltre i 4000 metri.
Vivere a Negro Mayo
Le lagune di Negro Mayo si susseguono l'una all'altra lungo la strada che taglia l'altopiano: alcune si affacciano sull'asfalto, altre si nascondono dietro gobbe di terra e sabbia. Gruppi di
vigogna selvatiche si mimetizzano tra i lama e gli alpaca al pascolo, mentre
numerosi volatili acquatici passeggiano sulla riva alla ricerca di un lauto spuntino.
Il traffico è inesistente e il luogo incantevole. Tra una pedalata e l'altra ci scappa una fotografia mentre ci avviciniamo a Negro Mayo. Questo minuscolo paese sorge sull'altopiano a quota 4400 metri in mezzo ad uno scenario naturalistico invidiabile ma lontano da ogni altro centro urbano che si rispetti. L'occasione per una sosta è un mate de coca bollente (non si rifiuta mai!) che a queste quote ci trasmette un pochino di energia e calore. Mi chiedo come si possa vivere a queste altitudini, non dev'essere per nulla facile: lama, vigogna, alpaca hanno il pelo ma i peruviani? Un bimbo dalla pelle ambrata, con la testa avvolta in un caldo cappello di lana esce da casa, si siede su un gradino e osserva Leo incuriosito mentre sistema le borse sulla bici. Ha gli occhi vivaci ma lo sguardo perplesso, forse non ha mai visto una barba così lunga e sta pensando che di certo terrebbe più caldo….
Uno strappo lascia il villaggio di Negro Mayo, poi riscende ed infine risale sicuro. Raggiungiamo
Condorcoccha e, poco dopo con il fiatone, il passo a
4549 metri di quota, di sicuro uno dei più alti del nostro viaggio in bici sulle Ande.
Pampamarca e la terra dei lama
Il valico ricorda le nostre Alpi e le alture spoglie dove solo pochi coraggiosi si spingono ad arrampicare.
Dopo ogni salita c'è una discesa e la nostra è piacevole e panoramica, porta al
villaggio di Pampamarca dove si trovano ben due hostal. Quello che scegliamo è piuttosto spartano ma dopotutto costa solo 15 sol (circa 4€). Il bagno è condiviso con tutta la famiglia e gli altri ospiti e i proprietari hanno anche un ristorantino dove potersi rifocillare. Pampamarca è il paese dei lama e degli alpaca che come formiche punteggiano tutta la vallata superando di gran numero gli abitanti.
Questi camelidi sono una risorsa preziosa per gli abitanti delle Ande:
forniscono lana per la produzione di cappelli, maglioni e vestiti caldi e hanno
un'ottima carne deliziosa da cucinare in svariati modi (noi l'abbiamo provata ai ferri e come stufato). Il villaggio è lambito da un torrente dove gli animali si abbeverano e si riposano ruminando e dove le donne lavano i panni. Ci sediamo in riva all'acqua per gustarci il tepore pomeridiano: peccato che i peruviani non abbiano la cultura ecologica se no i pascoli sarebbero lindi come il cielo azzurro spazzato dal vento dell'altiplano...
Un cuy per cena?
Al ristorantino dell'hostal ci concediamo un mate (ormai ne siamo dipendenti) prima di cena ma dalla cucina dei rumori ci insospettiscono.
Squittii insistenti riempiono il locale, mi guardo intorno perplessa ma non vedo nulla di insolito. Poi, finalmente, dalla porta della cucina appaiono decine di
piccoli porcellini d'India. Si muovono come fossero una cosa sola ondeggiando da una parte all'altra. Rimango a bocca aperta e subito
l'occhio cade sul menù: tra i piatti serviti non è presente il
cuy, avrei giurato il contrario! Leo stava pensando di assaggiarlo, ma non riuscirà in questa occasione…
Da Pampamarca si sale nuovamente oltre i 4500 metri, ma è l'ultima vera fatica di questi giorni. L'altopiano finisce e la discesa verso distese coltivate e formazioni rocciose disegnate dal vento che ricordano i Camini delle fate in Cappadocia ci lancia a ruota libera verso gli ultimi piccoli centri prima della Quebrada Linda. Scendiamo zigzagando tra i lavori in corso fino a Chalhuanca per una serata dal sapore asiatico-peruviano in un ristorante lungo la carretera.
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