Unisciti alla LiT Family
Oman in bici: bikepacking alla scoperta dei monti Hajar
Erano un po' di anni che mi ronzava nella testa una meta invernale in una parte di mondo che avevo sempre trascurato. Quest'anno, a gennaio, ancora una volta ho deciso di aprire quel cassetto stracolmo di sogni a pedali ed estrarne uno, stavolta non proprio a caso. Ho trascorso un paio di settimane in Oman in bici, esplorando i monti Hajar e le strade selvagge e remote del Sultanato, il paese più stabile e progressista della penisola arabica.
In questo articolo
- Muscat e il forte di Nakhal
- Wadi Bani Awf: verso il canyon del serpente
- Aggirando gli Al-Hajar occidentali
- Tuffo nell'oasi di Damm
- Il Gran Canyon d'Arabia: sul margine del Wadi Al Nakhr
- Jebel Shams: un anello in paradiso
- Il forte di Bahla e l'antica capitale Nizwa
- Quattro chiacchiere con Anus
- Tuffo nel Ghubra park
- Si torna a salire negli Hajar orientali
- Tombe Jaylah e picchiata verso il mar d'Arabia
- La chiusura del cerchio può attendere
A causa di un rientro anticipato non ho pedalato le ultime 4 tappe per 220 km circa, da Qalhat a Muscat lungo il mar Arabico. Le tracce GPS delle tappe 13-14-15-16 che ho preferito comunque caricare per completare l'anello sono frutto della mia programmazione e non sono state pedalate quindi prendile con le pinze anche se non dovrebbero esserci grossi problemi di percorribilità.
Muscat e il forte di Nakhal
La zuppa liofilizzata di funghi che sto mangiando ha il sapore del più delizioso dei piatti. La luna crescente, forte e convinta, illumina da qualche minuto ciò che il sole, scendendo all'orizzonte, ha lasciato al buio: rocce rosse e aguzze che si rincorrono in una gara di bellezza più che d'altezza, una strada di nuda terra ingarbugliata tra i piccoli wadi che scendono dai pendii e più giù, all'orizzonte, il mare d'Arabia che divide queste terre dall'Iran.
La prima giornata di viaggio doveva essere transitoria, fatta per uscire dalla capitale Muscat e dirigersi verso le alte vette dell'entroterra e invece si è rivelata, nel pomeriggio, già un concentrato di avventura e magia. Sì, ho trascorso l'intera mattinata a pedalare nel traffico per uscire dalla città, ma ben poca cosa rispetto a quanto mi aspettassi. Le premesse di ciò che mi aspetta si manifestano prima di raggiungere Fanja: la strada di servizio che fiancheggia l'autostrada è un concentrato di polvere e ghiaia da far invidia alle Strade Bianche toscane.
Mi rifocillo in uno dei tanti ristorantini di Fanja, che si era preannunciata poco prima con un'enorme moschea ed è dominata da un forte ormai in rovina. Lascio la cittadina e la vallata principale per entrare nel Wadi Maawal. La strada asfaltata prima si inerpica tra le rocce dalle venature violacee e poi si tuffa sul versante opposto. Superato uno sparuto agglomerato di case, mi ritrovo nuovamente sullo sterrato, accompagnato da resilienti alberi d'acacia che fanno da sentinelle sparse qua e là ai margini della strada. Giunto al termine della pista che s'era fatta via via più tortuosa, mi ritrovo in un'oasi verde dove vengono coltivati ortaggi e palme da dattero.
Nel paesino trovo un piccolo locale sporco dove un bengalese (scoprirò poi che praticamente tutti i locali commerciali in Oman sono gestiti da bengalesi, pakistani o indiani) mi propone l'unico cibo che ha a disposizione, un dolce fritto e pesantissimo. Ne azzanno due morsi prima di desistere e fare buon viso a cattivo gioco. Trangugio il cay che lo accompagna e cerco di intrattenere una pseudo-conversazione a gesti con due altri clienti bengalesi che, a quanto ho capito, lavorano nei campi: uno ha la mano fasciata a causa delle spine di una palma.
Finisco a fatica il secondo pezzo che ho nel piatto e barcollo verso la bici. Il sole è sceso poco sopra l'orizzonte: è tempo di cercare un giaciglio per la notte. Riprendo un'altra pista e poco oltre, uno spiazzo a bordo strada sembra fare al caso mio. Pianto la tenda e mi godo il cielo infuocarsi della luce del tramonto. Mentre aspetto che la zuppa si cuocia, il cielo passa dall'aracione al rosso fino a spegnersi nell'ora blu. Questo viaggio in Oman in bici non poteva iniziare in modo migliore!
Al risveglio, appena salito in sella, incrocio Hassan, due occhi azzurri e profondi incastonati in un viso d'ambra reso più maturo solo da una barba ben curata. Scende dalle baracche dei pastori sopra la strada, che ieri sera non avevo notato. La conversazione, dopo i soliti convenevoli, langue ed entrambi ce ne rendiamo conto troncandola con un caloroso saluto.
Riprendo la pista e ben presto raggiungo le rovine di una fortificazione. Passo oltre chiedendomi a quale epoca risalgano ma sarà una domanda che resterà irrisolta. Un breve tratto di asfalto mi porta in un paesino dove riesco a trovare un panificio, se così vogliamo definire il localino con un forno e un bancone sporco di farina su cui un sorridente begalese stende la pasta. Mi allunga due piadine fritte il cui nome risulta per me impronunciabile.
A stomaco pieno riparto e subito trovo la deviazione che mi fa uscire dall'arteria principale. Dieci chilometri di rettilineo alienanti sono il preludio a una sterrata tutta da pedalare che solca il fondovalle e aggira rocce lavorate da acqua e vento. Un wadi (canyon) scende dalla catena montuosa che si alza a oriente e sono costretto a scendere nel suo letto in secca per risalire sul versante opposto.
In cima si apre sotto di me la piana di Nakhal, ricoperta di palmeti a perdita d'occhio e dominata dal forte ristrutturato di recente. Il forte, conosciuto anche come Al-Haim fort, risale all'epoca pre-islamica ma ha subito nei secoli numerose ristrutturazioni e ampliamenti. Oggi costituisce una delle attrazioni turistiche più apprezzate della zona e anch'io dedico un paio d'ora alla visita della struttura che domina l'oasi da uno sperone roccioso panoramico.
Wadi Bani Awf: verso il canyon del serpente
Lasciata la cittadina dopo un lauto pranzo, i successivi trenta chilometri sulla statale sotto un sole cocente sono solo noia. Non appena devio verso il Wadi Bani Awf, alte sciogliere e frescura mi sorprendono. Incontro Shabi che esce dal suo palmeto e chiedo se fosse possibile campeggiare lì: detto fatto. Mi fa entrare nella sua proprietà, mi fa vedere un buon posto dove accamparmi e mi accompagna più in alto dove c'è Il canale irriguo che scende dai monti: "You bath here!" dice e capisco che mi ci posso lavare.
Il cielo si oscura presto nel canyon e non resta da fare altro che coricarsi sotto una luna oggi quasi piena.
Un fresco risveglio mi convince a lasciare presto questo luogo idilliaco, così saluto Shabi e riprendo la via verso il canyon del serpente. Le alte pareti rocciose mi accompagnano per qualche chilometro ma non appena il paesaggio si apre un po', l'ampia strada in cemento lascia spazio a una corrugata e polverosa sterrata.
I pickup sfrecciano ricoprendomi di pulviscolo mentre arranco sotto al sole sempre più pungente. Ora il percorso trova la sua via tra le rocce, seguendo quello che sembra il letto di un fiume in secca. La pendenza è dolce e il panorama mi fa avanzare senza sentire la fatica. Gli stoici alberi d'acacia, ovunque preda della voracità delle capre, accompagnano il mio incedere.
Wadi Bani Awf è il nome della vallata che sto solcando, punteggiata qua e là da case e campi che si dissetano dalle viscere della terra. Un fuoristrada accosta e un sorriso lunare esce dal finestrino. Ahmed mi offre banane, datteri e un caffè omanita che versa in un bicchierino di carta da una caraffa che, evidentemente, porta sempre con sé.
Percorro l'ennesima curva e una fenditura squarcia la montagna d'innanzi a me, da cima fondo: è il canyon del serpente. È una gola profonda e stretta in cui è possibile inoltrarsi per fare canyoning tra le rocce levigate dall'acqua e pozze fresce: a me ricorda moltissimo il Wadi Mujib in cui ci eravamo avventurati durante il viaggio in bici in Giordania sul mar Morto. Me lo lascio a sinistra rinunciando all'esplorazione, che richiederebbe una guida esperta e più tempo, e imbocco la stretta via verso Beemah.
La strada s'impenna, la sabbia ricopre le rocce senza che l'esiguo passaggio di auto la riesca a spostare. Arranco, spingo sui pedali tirando i muscoli allo spasmo ma non c'è niente da fare, le pendenze sono improbe e anche serpeggiando su tutta la larghezza della carreggiata sono costretto a cedere, scendere di sella e spingere.
Il sole ormai alto non mi dà tregua anche se dalla valle sale una delizosa brezza che allevia leggermente le mie sofferenze. Il groviglio di curve e controcurve si accanisce su un unico versante fino a scavalcare lo sperone a strapiombo sull'ultima oasi della valle sottostante. Non appena possibile, risalto in sella e proseguo in questo viaggio negli inferi della terra: sono circondato da guglie e pinnacoli di una bellezza rara, superata da sé stessa man mano che avanzo. Un ultimo strappo mi svela la piccola conca in cui giace Beemah, in realtà un semplice serraglio dove decido di fermarmi: è solo mezzogiorno e ho percorso poco più di venti chilometri ma non voglio andarmene, voglio godere di questi luoghi il più a lungo possibile. Domani tornerò a valle, ma mi voglio concedere una sera in Paradiso.
Aggirando gli Al-Hajar occidentali
Lo vedo da lontano, in fondo alla strada dritta che taglia per lungo la piccola conca a 1200 m, dove sopravvivono due casupole e una piccola moschea.
Ilhal cammina verso di me con passo sicuro e sorriso sincero:
"Hello my friend!" esclama come se fossi il primo uomo che incontra da settimane.
Parla un inglese scolastico ma comprensibile e mi racconta che vive lì, in una di quelle casette, coltiva qualcosa di indecifrabile ed è andato a controllare le capre sull'altro versante. La disdisha bianca delle feste (è venerdì) è intonsa e non mi capacito di come riesca a tenerla così candida in mezzo a tutta questa polvere. Non glielo chiedo, mi sembra scortese, ma conversiamo ancora per un po', parlando del più e del meno, di lui e di me.
"No friends? No family? Nothing?" è sinceramente dispiaciuto per me.
Sorrido, lo saluto e riprendo la via verso Wadi A'Sahtan.
Il percorso precipita in una gola stretta e strabiliante e ancora una volta la strada si fa condurre dalle rocce, assecondandole. Dietro l'ennesima curva un muretto a secco divide il tracciato da un giardino verde e rigoglioso. Un anziano zappa sulle rocce e mi sembra la traduzione perfetta della perseveranza. Prendo esempio, stantuffo sui pedali senza sosta e in poco tempo mi ritrovo ai margini dei monti Hajar, su una strada enorme spuntata dal nulla. I chilometri volano come aironi in migrazione e il sole attende che la terra giri per illuminarne un altro spicchio.
Una guglia isolata e coraggiosa sfida la gravità restando immota. Mi piace e ai suoi piedi c'è una spianata perfetta: mi fermo e preparo la tenda. Per oggi a cena: fave e pomodori, ma viste le prelibatezze mangiate ieri nel comodo gazebo di Bemaah non posso lamentarmi!
Tuffo nell'oasi di Damm
La successiva doveva essere una giornata transitoria e invece si è rivelata un'altra perla d'Oman. Non tanto per il percorso, comunque suggestivo, quanto per il contesto.
Già il risveglio mi regala un'alba incastonata tra una corona di montagne austere e, anche se alla bellezza non si fa mai l'abitudine, diciamo che dopo cinque giorni qui è una cosa nota.
Non sono noti invece i voli di uccelli finora non ancora incontrati. La coturnice d'arabia mi fa un agguato dal ciglio della strada mentre passo: non so chi dei due si sia spaventato maggiormente, se io o lei. Fatto sta che la vedo sfrecciare e in men che non si dica è già mimetizzata di nuovo tra le rocce.
Passo un paio d'ore in un wadi da favola tra Murri e Rumaylah, pedalando sulle rocce tra palme e oleandri in fiore ma è alla sera che la giornata svolta.
Sto pedalando sulla retta che conduce al Wadi Damm, meta odierna dove spero di campeggiare. Una macchia bianca sul pendio alla mia sinistra attira l'occhio. Poi un'altra e un'altra ancora. Mi fermo e uno dei grossi volatili si alza in volo. Ala bianca e nera, becco arancione e volo a planare. Sono 7-8, forse 10. Non possono essere che loro, anche se la distanza non mi aiuta nell'identificazione (e nemmeno nelle fotografie).
Capovaccai. Avvoltoi tra i più caratteristici e tipici di queste zone. Uno ad uno si alzano tutti sulla mia testa e poco più avanti trovo la carcassa di un vitello che conferma la mia ipotesi. Era una delle molte speranze di questo viaggio: vederli librarsi in volo.
Potrei essere soddisfatto e piazzare la tenda ma la presenza delle piscine naturali di Wadi Damm mi fa essere ambizioso. Raggiungo l'accesso al canyon e nello spiazzo apposito ci sono già tre o quattro tende. Lascio la bici appoggiata a un'acacia e proseguo a piedi lungo il letto del wadi. Devo camminare 10 minuti saltando di qua e di là, ma nei pressi di una briglia in cemento trovo una piccola pozza d'acqua. Non c'è nessuno: mi spoglio e mi tuffo godendomi l'acqua tiepida che mi leva il sudore di dosso.
Non poteva esserci un finale di giornata migliore!
Il Gran Canyon d'Arabia: sul margine del Wadi Al Nakhr
Nella notte, assopito nella mia tenda ai margini del Wadi Damm, vengo destato all'improvviso da strani versi che si odono in lontananza. La lotta per la sopravvivenza si sta consumando nel buio e la tensione di ululati e guaiti si fa sempre più intensa, culminando in un rapido sconto di cui non saprò mai l'esito. Così come non saprò mai quali animali abbiano dato vita a questa sfida letale.
Riprendere a dormire non è facile, ma ho bisogno di riposare, perché la giornata che mi aspetta è segnata sul calendario di viaggio come una delle più impegnative. Mi sveglio presto: voglio evitare il caldo sulle rampe iniziali e così alle 7.30 sono già in sella.
Saluto la bellissima location di Damm e mi avvio sulla pista che in 20 km mi dovrebbe portare ai margini del "Gran Canyon d'Arabia". La Jebel Shams è alta la vetta più alta del massiccio, la montagna del sole, la prima a vedere i raggi sorgere e l'ultima a vederli sparire. La cima nord, occupata da una base militare e inaccessibile, tocca i 3009 m mentre quella sud si spinge fino a 2997 m. Io però mi fermerò ai margini superiori della gola di Al Nakhr, a 2000 m circa.
La salita inizia dolce ma non passa molto tempo prima che si inferocisca. Vedo da lontano una rampa spaventosa e decido di fermarmi a prendere fiato. Mi guardo attorno e ammiro ancora una volta questo paesaggio scarno, brullo, vuoto: mi riempie, mi fa sentire libero e leggero come di rado mi capita in altri ambienti. Ne assorbo l'energia e sfido la rampa sconfiggendola.
Non è una strada isolata come pensavo e qualche pick-up passa. Uno di loro si ferma e ne esce una mano tesa con un'arancia. Sorrido, ringrazio e mi fermo subito a mangiare il succoso frutto.
Il sole si alza, la quota pure e così la forza dei raggi non mi fa paura. Incredulo, giungo davanti a un edificio enorme, probabilmente una stazione di polizia. Poco oltre anche l'asfalto mi stupisce ma è un'illusione che dura poco. Polvere e sabbia lo destituiscono dopo qualche centinaio di metri. La strada continua a salire a strappi. Un capovaccaio plana sopra la mia testa in cerca di cibo mentre davanti a me la cupola militare che domina la vetta del Jebel Shams inizia a vedersi. Manca poco e quando tocco il punto più alto, ritrovo l'asfalto.
Qui c'è parecchio turismo e riesco anche a mangiare e bere una torta al mango e un succo d'arancia proprio sul limitare del canyon.
La forra è impressionante e fatico, soffrendo di vertigini, ad avvicinarmi al bordo. Un vuoto enorme sotto i piedi: non sarà il Grand Canyon ma in profondità non ha nulla da invidiare al cugino americano. Proseguo fino in fondo alla strada panoramica per poi tornare sui miei passi in cerca di una buona location per la notte.
Il problema è il vento ma trovo un muretto a secco che pare costruito apposta, proprio sul limitare del precipizio, per proteggere la tenda. Il tramonto infiamma le vette proprio mentre finisco di preparare il mio giaciglio notturno e così mi metto a cucinare, protetto dalle rocce, con le ultime luci del crepuscolo.
Un'altra degna conclusione di giornata in questo viaggio in bici in Oman che sta iniziando a diventare straordinario.
Jebel Shams: un anello in paradiso
Il risveglio sul ciglio del Wadi Al Nakhr è come me lo aspettavo: esaltante!
Esco dalla tenda all'alba e vengo travolto dalla maestosità del panorama: i 600 m di vuoto sotto di me sono coronati da un arcipelago di nuvole rosse che si staccano dalla cima del Jebel Shams e corrono a oriente. Il vento spira gelido ma non crudele. Lo sopporto, mi proteggo sotto uno dei tanti balzi sul dirupo, mi ranicchio e resto lì in commossa contemplazione.
Ancora oggi, dopo anni di vagabondaggi, di esplorazioni e ammirate visioni, riesco a stupirmi davanti a quanto meravigliosa sia Madre Natura. Quando il sole già scalda, e a queste latitudini ci mette poco anche a 2000 m, riprendo la sella e torno sui miei passi per affrontare un anello ai piedi della vetta, aggirando il canyon da nord.
Tanto per cambiare le sterrate da affrontare sono erte e polverose ma gli strappi odierni sono brevi e intervallati da altrettante discese. La strada verso la vetta è interdetta perché tutta l'area è zona militare e quindi proseguo verso Karb, un villaggio di poche case affacciato verso il mar d'Arabia che si intuisce all'orizzonte. Discese e risalite ardite si susseguono per trenta chilometri durante i quali incontrerò sì e no tre o quattro auto.
Un altro enorme canyon si apre sul versante settentrionale del massiccio e lì nel mezzo volteggiano due capovaccai in cerca di cibo. Il muezzin di una delle mille minuscole moschee che punteggiano i pendii chiama tutti alla preghiera e io, più per stanchezza che per devozione, mi fermo per un attimo a riposare all'ombra. L'ultima erta ascesa mi riconduce sul versante sud-occidentale dei monti Hajar dove inizia la mia lenta ma inesorabile discesa verso le vallate dell'entroterra omanita.
I primi chilometri sono epici: tornanti e controtornanti, sabbia alta una spanna e pendenze in doppia cifra fanno diventare tosta anche la discesa. Giunti al bivio già pedalato ieri, ritrovo l'asfalto che non lascerò più per oggi. Un frugale pasto nello stesso chiosco del giorno precedente conclude in via ufficiale la mia visita al Jebel Shams.
Ma le emozioni non finiscono e dopo una picchiata rapida e pendente di 1200m, sulla lunga retta verso Al Hamra vedo in lontananza una carovana di cinque biciclette: papà in testa e mamma in coda proteggono i tre bimbi altrettanto carichi. La famiglia svizzera è in viaggio da un anno e prima di approdare in Oman per svernare aveva affrontato un lungo viaggio da casa alla Romania. Dopo essermi fatto raccontare la loro storia, mi chiedono qualche dritta sul futuro percorso che li aspetta ma purtroppo non li posso rassicurare con false speranze: la salita sarà tosta anche se ben ricompensata.
Chiudo la giornata arrivando presto in un alberghetto prenotato su internet e trovo la gradita sorpresa di una piccola piscina che sfrutto per un tuffo rinfrescante.
Il forte di Bahla e l'antica capitale Nizwa
Giornata di fortificazioni e autostrada. Giornata decisamente alternativa.
La partenza è stellare, con una colazione pakistana-omanita da vero atleta: omelette, pane e dahl di lenticchie, pancake omanita con formaggio, latte e miele, frutta a volontà: le prime due ore di pedalata sono dedicate alla digestione! Che è poi più o meno il tempo che impiego a raggiungere Bahla, oasi dominata dal primo forte che visiterò oggi.
Risalente al XII secolo, è stato di recente ristrutturato e si presenta davvero imponente. Il forte è l'unico, tra quelli della regione ai piedi del Jebel Akhdar e in generale in Oman, a essere inserito nella lista dei patrimoni UNESCO fin dal 1987.
È incredibile come sia possibile realizzare opere del genere con un po' di fango, paglia e qualche roccia. Impiego un'ora per la visita che chiudo con un assaggio di pasta di datteri niente male.
Riparto che il sole già scalda e dopo qualche chilometro di stradine mi ritrovo direttamente in... autostrada. Sembra essere l'unica via di comunicazione tra Bahla e Nizwa in questa vallata anche se al suo fianco mi pare di intravvedere di tanto in tanto una strada di servizio che però non oso prendere perché sembra perdersi nelle colline.
Il traffico è irrisorio e la corsia di emergenza ampia, quindi i chilometri non pensano troppo ma appena possibile esco e imbocco una sterrata. Un capovaccaio festeggia con me volteggiandomi sulla testa ma ormai non faccio più caso a questi volatili che sono onnipresenti sui pendii dell'entroterra omanita.
Entro a Nizwa tra i mille vicoli del centro. Il forte è imponente ma tutto il souq merita di essere esplorato. Lascio la bici e mi perdo senza remore per un paio d'ore, sedendomi in un café per dissetarmi con un fresco succo di mango.
Quattro chiacchiere con Anus
Tanta pianura, tanta strada trafficata e qualche debole sussulto mi attendono il giorno successivo, mentre pedalo da Nizwa verso Mahlah: Anus, un anziano di Al Qaryatayn, ha in testa il kuma, cappello tipico arabo che copre un folto ma curato ciuffo di capelli color delle stelle. La barba argentea risplende nella cornice di un volto dalla carnagione olivastra mentre il bianco disdasha scende fin sopra i piedi infilati in due sottili sandali di pelle.
"Wher you fom?" attacca, senza un minimo di fantasia.
"Italy" rispondo
"Ah, italian... Roma" aggiunge esperto
"No, Milan" lo contraddico senza precisare che in realtà vivo a 300km da Milano.
"Oh, i see. Milan, good football team"
No, non ce la posso fare a intavolare un'altra conversazione sul calcio senza saperne nulla, ma anche lui cambia discorso, molto più interessato al mio viaggio e al suo paese.
"How long you in Oman?" mi incalza
"I will stay 2 weeks"
"Where have you been?" anche il suo inglese inizia a sciogliersi.
"Muscat,Jebel Shams..."
"Oh, Jebel Shams, cold there, very cold"
Ehm, abbiamo dei concetti diversi di freddo ma sì, ci saranno stati 12-15°C lassù in piena notte, poi fai te se è così fredda o meno la temperatura.
Non glielo dico e confermo con riserva: "Yes, cold, but not too much"
"Very very cold!" sentenzia
"Have you been there?" chiedo sapendo già la risposta
"No, far. Very very far!" e glissa "where you go now?"
Non avendo idea di dove stessi andando, indico la strada e lui snocciola una serie di nomi tra cui ne intuisco uno: "Sur, yes" anche se non ci arriverò, però la direzione è quella. Un po' come la mia cittadinanza milanese.
Soddisfatto, Anus mi indica la strada, mi dice di svoltare prima a sinistra, poi a destra e poi: "Then you on the highway and very very fast to Sur"
Anche in questo caso resto senza parole, indeciso se contraddirlo o dargli ragione. Alla fine opto per la seconda, lo ringrazio delle indicazioni e ci salutiamo: "Be careful" mi raccomanda sincero, gira i tacchi e svanisce tra le case del paesello.
Tuffo nel Ghubra park
Trascorro la notte lungo la strada, ai piedi delle prime propaggini di Hajar orientali dopo aver pedalato per un paio di giorni in pianure. Il cielo è crivellato di stelle che finalmente, con la luna calante, iniziano a svelarsi in tutta la loro maestosità.
Mi risveglio di buon'ora perché nell'entroterra a bassa quota le ore centrali della giornata sono state particolarmente afose e cerco di anticiparle: parto presto e dopo 20 chilometri un bel caffè condito con un panino e un succo di mango mi ridanno energia. La strada si incunea tra due gobbe e diventa più piacevole, quasi tutta in saliscendi. Una coppia di dromedari ha la brillante idea di attraversarmi la strada in discesa e sono costretto a una frenata improvvisa.
È mezzogiorno quando arrivo a Mehlah e mi infilo in un negozio per trangugiare qualcosa di fresco. La bassa quota alza le temeprature e quando riparto il dubbio amletico se girare verso il deserto o proseguire verso le montagne è dipanato. Si va dritti nel cuore dei monti. Passa poco dal bivio che mi si presenta questo parco con una pozza d'acqua lungo l'ampio wadi che sto seguendo: un cartello indica che sono arrivato al Ghubra park. Lungo la strada ci sono dei bagni pubblici e a dominare il wadi con la poca acqua residua sono stati installati alcuni gazebo per fare ombra. Un po' di famiglie sono sistemate con i pick-up proprio nel letto del fiume, al fianco del piccolo stagno.
Un canale irriguo passa proprio sotto di me e ne approfitto per immergere i piedi indeciso: è un luogo meraviglioso e mi sto facendo tentare. Sono solo le due del pomeriggio ma ho già fatto 70 chilometri e sono soddisfatto. Non ci metto molto a farmi convincere: mi fermo, mi rilasso, scendo nel wadi e faccio un tuffo prima di finire i soliti compiti per la sera: tenda, cena, diario e buonanotte.
Fa caldo, più del solito, ci sono zanzare e qualche omanita viene a fare una grigliata al fresco mentre io mi addormento con una corona di stelle sopra la testa visto che a causa della temperatura non ho nemmeno montato il telo esterno della tenda.
Si torna a salire negli Hajar orientali
Dopo tre giorni di trasferimento oggi sarà il giorno di ritorno nei monti, questa volta gli Hajar orientali. Quest'avventura in bikepacking in Oman è già eccezionale ma mi aspetto grandi cose anche dall'attraversamento di questa zona.
La giornata inizia nel parco di Ghubra, con il sole che colora d'oro le rocce dell'Oman mentre il wadi sottostante si tinge di rosa. L'ampia strada verso Sumayyah si inoltra in leggera salita tra le pendici dei monti perlustrati da decine di capovaccai. L'avanposto con un piccolo centro medico e una moschea rappresenta l'ultimo agglomerato urbano dove trovare cibo lungo il percorso e così faccio scorta prima di imboccare la strada verso le montagne. Mangio un dahl di lenticchie, piatto tipico indiano ma ormai adottato anche in Oman e riparto deviando verso sinistra.
La salita verso l'altopiano di Salmah inizia con una strada sterrata dalle pendenze ancora dolci. Dromedari al pascolo mi salutano mentre mi riparo dalla canicola meridiana sotto un'acacia. Un muro di roccia attorno al quale la strada gira è il segnale: da qui in avanti si fa sul serio. Gli ultimi 7 chilometri avranno una pendenza media superiore al 10% visto che mi porteranno a superare un dislivello di 750 metri.
Il sole picchia duro e temo per l'acqua, ma il panorama offre scorci strepitosi, le nuvole alleviano il calore e a metà salita trovo un piccolo edificio con la cisterna di acqua piovana e uno dei tanti filtri a disposizione di tutti. Faccio scorta e riempio le borracce, un omanita dall'età indefinibile, ma sicuramente più giovane del suo pick-up, si offre di darmi un passaggio. Rifiuto e me ne pento subito dopo quando devo spingere sulle rampe assurde in cemento liscio e levigato dai tanti passaggi. Scivolo a ogni passo ma manca poco e scollino.
Un edificio enorme, una scuola mi diranno poi, domina la conca, abbandonato. Il vento si incunea nel valico e soffia forte ma è già tardi e devo decidere cosa fare: trovo un altro po' di acqua e un ragazzo mi suggerisce una stanza delle preghiere poco più avanti, dove poter dormire al riparo. Sfinito entro nell'edificio e cucino quel poco di cibo a mia disposizione prima di crollare distrutto sul materassino, mentre le porte in lamiera sbattono in balia di Eolo.
Tombe Jaylah e picchiata verso il mar d'Arabia
Ho fissato la sveglia abbastanza presto perché la giornata si prospetta lunga e intensa. Se voglio raggiungere il mare a Qalhat mi aspettano 66 chilometri di saliscendi sui monti Hajar orientali.
Subito la strada inizia in salita con una bella rampa per arrivare sull'altopiano di Salmah, a 1800 metri di quota, dove si trova il sito archeologico della torre di Jaylah. Una serie di strutture troncoconiche, che probabilmente rappresentano delle tombe dell'età del bronzo (2500-300 a.C.), molto simili ai nuraghe in Sardegna, punteggiano l'altopiano. Si contano fino a novanta strutture, alcune alte fino a 8m e larghe 7m: molte di esse si trovano esattamente di fianco alla strada che sto percorrendo, rendendone l'accesso molto facile nonostante il vento sferzi prepotente queste brulle alture.
Il saliscendi che mi si presenta davanti stanca solo a guardarlo ma il paesaggio è struggente: brullo, aspro, arcigno, spoglio, infinito. Mi fermo, in contemplazione, accompagnato dalla mia solitudine e dal rumore delle pietre frustate dall'aria.
Dopo ore di salite e discese su una strada pazzesca immersa tra rocce colorate, senza incontrare nessuno, verso mezzogiorno completo l'ultima picchiata per ritrovarmi nel fondo di un wadi in mezzo ai monti Hajar orientali. Da qui non c'è alternativa, si può solo risalire. Come ieri, anche oggi mi aspetta una salita di nove chilometri e 900 metri di dislivello per arrivare all'ultimo valico, oltre i 2000 metri, prima di scendere verso il mare.
Non incontro una macchina, la strada è a tratti sterrata e a tratti cementata, il che non ha bisgono di ulteriore commento. Salgo per cinque chilometri fino a incontrare un piccolo villaggetto dove finalmente trovo un negozio aperto: sono passati due giorni dall'ultima spesa. Mi rifocillo un po' sedendomi sulla scalinata della moschea, come sempre l'edificio più grande del paese.
Un ragazzo passa con un pick-up, mi guarda e si offre di portarmi fino alla vetta: avrà visto la distruzione sul mio volto? Indeciso, volgo lo sguardo alla strada che è talmente pendente da far paura: accetto volentieri l'invito e mi faccio trasportare fino in cima anche se dopo un chilometro, sull'orlo di un precipizio appoggiato malamente sul cassone del vecchio veicolo, mi pento della scelta pregando che il tragitto passi in fretta.
Sopravvivo, ringrazio e mi tuffo nell'ultima discesa. In realtà il lunghissimo avvicinamento al mar d'Arabia è eterno, con qualche salita nel mezzo ma soprattutto ancora una volta paesaggi stratosferici ad accompagnarmi verso la nebbia. Sì perché il mare è celato da un basso strato di nubi. Si sente persino l'odore di umidità salire mentre mi avvicino. Esco dai monti ma è stato davvero uno spettacolo. Per oggi notte sotto un tetto...
La chiusura del cerchio può attendere
L'occasione fa l'uomo ladro e una serie di accadimenti che non starò a raccontare mi offrono l'opportunità di unire al viaggio in bici in Oman uno scalo in Grecia prima di rientrare in Italia. Ho concluso la parte più avventurosa del viaggio e mi resterebbero un paio di giornate lungo la costa ma a Qalhat decido di saltare su un taxi per l'aeroporto e catapultarmi ad Atene. Non chiudo il cerchio, ma il mar d'Arabia può attendere: i tratti più suggestivi del Sultanato sono alle spalle e un giorno mi piacerebbe tornare per esplorare solo la costa e la zona più a sud, verso Salalah, sulla rotta dell'incenso. Chissà, meglio lasciare la porta aperta e non precludersi nulla.
L'Oman mi ha regalato paesaggi straordinari, strade affascinanti e un calore umano a cui, nonostante sia la norma quando si viaggia in bici, non riesco proprio ad abituarmi. Se cerchi un viaggio avventuroso da fare nei mesi invernali, in un paese sicuro e accogliente, dove fare campeggio libero è consentito e incentivato, allora non posso che consigliarti di esplorare in bikepacking l'Oman e i monti Hajar alle spalle di Muscat.
Nelle tracce GPS che trovi qui sopra ho inserito anche le ultime quattro tappe (circa 200 km) che avevo programmato ma che non ho percorso in bici per lo scalo inatteso in Grecia. Non avendole percorse potrebbero presentare tratti poco ortodossi anche se in fase di programmazione ho cercato di essere il più preciso possibile nella tracciatura!
- Wadi Bani Awf: meravigliosa gola da percorrere verso il canyon del Serpente e oltre, tra picchi suggestivi e strade scavate nella roccia
- Wadi Damm: spot perfetto per campeggiare e fare un tuffo a fine pedalata, ai piedi degli Hajar Occidentali
- Wadi Al Nakhr e Jebel Shams: sporgersi sul Gran Canyon d'Arabia ai piedi della montagna più alta d'Oman è un'esperienza imperdibile
- Forte di Bahla: l'unico forte patrimonio UNESCO dell'Oman, oggi completamente ristrutturato
- Nizwa e il forte: i vicoli e il forte con enorme torrione dell'antica capitale
- Altopiano Salmah e tombe di Jaylah: l'altopiano negli Hajar orientali dove si trovano decine di tombe dell'età del bronzo
- Come raggiungo Muscat in Oman? La compagnia di bandiera Oman Air ha un volo diretto da Milano e Roma ma ci sono svariate alternative più economiche. L'unica che ho trovato che ammette la bici nella franchigia bagaglio senza supplemento è la Qatar Airways
- L'itinerario è segnalato? L'itinerario non è segnalato, è stato tracciato da noi e può essere migliorato in alcuni passaggi, soprattutto tra Al Hamra e Nizwa dove si segue in alcuni tratti l'autostrada.
- Sono presenti fontane o fonti d'acqua in generale? Non sono presenti fontane essendo un paese desertico ma ci sono molti distributori di acqua piovana con filtri per renderla potabile: io ho utilizzato quest'acqua e non ho mai avuto problemi!
- Com'è la qualità delle strade dell'itinerario? Il percorso si svolge su asfalto e sterrati di vario livello ma quasi tutti definibili gravel roads. Non ci sono tratti su sentiero o a spinta (se non per le forti pendenze).
- Documenti necessari: per entrare in Oman è necessario un passaporto in corso di validità (almeno 6 mesi) e un visto che può essere richiesto qualche giorno prima della partenza online sul sito governativo evisa.rop.gov.om
- L'Oman è piuttosto turistico ma le zone attraversate dal percorso sono, in parte, remote e non sempre è facile trovare alloggio per la notte se non nelle cittadine principali, dove ci sono strutture di ottima qualità ma dal costo non proprio economico.
- Il campeggio libero è ammesso e incentivato. Anche gli omaniti amano campeggiare nelle oasi e lungo i wadi dove si trovano i ristagni di acqua anche in inverno. Si può campeggiare un po' ovunque ma fermarsi nelle aree più frequentate può essere più sicuro e rappresenta un'occasione per fare anche qualche piacevole conoscenza
- Cosa mangiare lungo l'itinerario? La cucina omanita ha subito molte influenze dai tanti immigrati dei paesi orientali: indiani, bengalesi e pakistani sono presenti ovunque e gestiscono praticamente tutti i ristoranti. Il dahl di lenticchie è il piatto più mangiato e si trova un po' ovunque.
- Dove mangiare lungo l'itinerario? Per mangiare piatti più sofisticati, quasi sempre comunque a base di pollo o manzo, è necessario pernottare nelle cittadine più grandi
- Visit Oman: portale turistico ufficiale del Sultanato dell'Oman
- Nizwa fort: il sito ufficiale dedicato al forte di Nizwa
- Oman Tripper: blog realizzato da un omanita e ricchissimo di informazioni
Log in con ( Registrati ? )
o pubblica come ospite
Leo
ITA - Cicloviaggiatore lento con il pallino per la scrittura e la fotografia. Se non è in viaggio ama perdersi lungo i mille sentieri che solcano le splendide montagne del suo Trentino e dei dintorni del lago d'Iseo dove abita. Sia a piedi che in mountain bike. Eterno Peter Pan che ama realizzare i propri sogni senza lasciarli per troppo tempo nel cassetto, ha dedicato e dedica gran parte della vita al cicloturismo viaggiando in Europa, Asia, Sud America e Africa con Vero, compagna di viaggio e di vita e Nala.
EN - Slow cycle traveler with a passion for writing and photography. If he is not traveling, he loves to get lost along the thousands of paths that cross the splendid mountains of his Trentino and the surroundings of Lake Iseo where he lives. Both on foot and by mountain bike. Eternal Peter Pan who loves realizing his dreams without leaving them in the drawer for too long, has dedicated and dedicates a large part of his life to bicycle touring in Europe, Asia, South America and Africa with Vero, travel and life partner and Nala.
Ultimi da Leo
- Intervista a Alberto Murgia: a Capo Nord in inverno
- Gonfiare le gomme? Scegli la pompa giusta! Guida completa per ciclisti
- Orso del Pradel da Andalo in MTB
- Cosa sono le eSIM e vanno bene per viaggiare?
- Bosnia e Serbia in bici: anello di 400 km 'attorno' alla Drina
- Luci per bici anteriori: 11 migliori del 2024 per vederci ed essere visti
Ultimi commenti