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Sud Italia Coast to Coast in bici | Un viaggio lento, nel tempo
La partenza
Finalmente siamo pronti per partire. Abbiamo pensato a questo viaggio in bici da Natale. Oggi è una domenica di fine luglio e mentre Alessio è pronto a partire da Milano, dove fa un caldo bestiale, Giuseppe è andato in bici all’alba in stazione a Mola di Bari.La costa da Salerno a Paestum e la Piana del Sele
Il tempo di caricare le borse sulla bici e siamo in sella. Pedaliamo da Salerno a Battipaglia e poi da Battipaglia a Paestum. Attraversiamo la foce del Sele.Questa è la prima grande esperienza del nostro viaggio. Incontriamo un paesaggio consumato. Qui l’agricoltura è di tipo iper-intensivo, con coltivazioni in serra che oggi interessano seimila ettari di terreno, su un comprensorio di circa sedicimila ettari totali. Il resto è cemento e asfalto. Si coltiva tutto l’anno. Ci sono grandi piantagioni di fragole, pesche, meloni, angurie e kiwi. L’utilizzo sempre più diffuso delle serre, oltre a determinare l’uso di sostanze tossiche, favorisce il consumo di frutta e ortaggi lontano dalla stagionalità dei prodotti. Le serre non finiscono mai, sono tutte uguali e bianchissime. I sistemi d’irrigazione sono organizzati e modernissimi.Il Cilento: Roccadaspide e le gole del Calore a Felitto
In pochi chilometri il paesaggio cambia totalmente. In questa zona del parco nazionale del Cilento, dove passa anche la Via Silente, le strade sono strette e tortuose. Ci sono boschi e castagni. Ci sono anche tanti mandorli e qualche albero di carrube. C’è poca gente in giro, sono tutti italiani.Roscigno vecchia e Giuseppe Spagnuolo
L’indomani riprendiamo il nostro viaggio alle nove del mattino. Per evitare il caldo bisognerebbe partire alle sei del mattino. Ma ovviamente noi di svegliarci all’alba non ci pensiamo proprio. Arriviamo a Roscigno alle 10.30. Siamo un bagno di sudore e siamo già stanchissimi. Io mi fermo al bar. Invece Giuseppe è già scomparso. È andato a Roscigno Vecchia. E ha fatto già conoscenza con Giuseppe Spagnuolo, l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia, paese abbandonato nel Cilento. Giuseppe Spagnuolo ci accoglie con un sorriso e ci accompagna come un Cicerone tra le strade deserte e ricche di storia.La Basilicata
Abbandonato il verde e boscoso Cilento quello che ci colpisce subito della Basilicata sono i suoi spazi infiniti, i suoi paesaggi collinari a perdita d’occhio, le linee sinuose delll’orizzonte che uniscono i colori della terra con l’azzurro del cielo.Partire o non partire: questo è il dilemma!
Pedalando per la Basilicata scopriamo una regione delicata e affascinante. Attraversiamo un territorio vasto e vario, le tracce dell’uomo sono minime e sempre in simbiosi con la natura. I paesaggi e i panorami sono romantici. Questa regione conta circa cinquecentomila abitanti, distribuiti in più di cento comuni e un’infinità di frazioni, e piccoli agglomerati di poche case. Considerando il numero di abitanti, è un territorio vastissimo.È la penultima regione in Italia per densità abitativa. Solo la Valle D’Aosta ha meno abitanti per chilometro quadrato. Anche qui, la questione più sentita dagli abitanti lucani è molto legata allo spopolamento. Tutti sono preoccupati perché i giovani vanno via e non c’è nessuno che viene ad abitare questo territorio bellissimo. Per le strade di Abriola incontriamo solo vecchietti. Sono gentili, ci indicano come attraversare il paese e poi proseguire sulla provinciale. Ad Anzi arriviamo sulla piazza del paese giusto a mezzogiorno, quando tutti gli abitanti del paese si affrettano a comprare le ultime cose prima del pranzo. Entriamo in piazza passando sotto un arco, percorrendo una salita ripidissima e faticando a ogni pedalata per spingere le nostre biciclette cariche di bagagli. Tutti ci guardano incuriositi. Non ci conosce nessuno. Ci fermiamo e attacchiamo boccone con due ragazzi. Sono gli unici under-30 della piazza. Poi, dopo aver comprato due panini dal negozio di generi alimentari del paese, facciamo due tiri a pallone con i bambini del paese. Sono solo tre. Uno di loro, il padrone del pallone, aspetta che il suo papà, il padrone del negozio di generi alimentari, finisca di lavorare, prima di andare a mangiare a casa. Quando arriva il suo papà, il bimbo prende il suo pallone, saluta tutti e va via. Anche gli altri due bimbi vanno a casa a pranzare. “I giovani vanno via, cosa devono fare qui? Non c’è lavoro”, ci dice Pasquina a Castelmezzano. “Ho tre figli, è complicato mandarli a scuola. Devono prendere il pullman la mattina alle 7.00 per poter andare a Potenza. Tre anni fa abbiamo chiuso la scuola media. L’anno scorso per far numero e mantenere la scuola elementare a Castelmezzano abbiamo dovuto iscrivere gli anziani. Abbiamo anche cercato di metterci in contatto con i paesi limitrofi come Albano Lucano e Pietrapertosa per fare delle classi comuni, ma quelli del comune non si mettono mai d’accordo.” Anche a Muro Lucano incontriamo solo anziani. È piacevole chiacchierare con loro nella villa del paese, all’ombra dei pini. Trascorrono lì il pomeriggio, dopo aver mangiato e aver dormito una bella pennichella. Si siedono sulle panchine in pietra dopo aver appoggiato sul loro posto un pezzo di cartone. Così non si sporcano i pantaloni. I pochi giovani che incontriamo ci parlano sempre di viaggi. Dei viaggi che hanno fatto e di quelli che faranno. E pensano sempre a cosa significa partire e cosa significa restare: “Non so davvero che fare. Potrei partire ma a volte penso sia più giusto rimanere.”; “Avrei voglia di partire ma dove vado? Non ho nessun appoggio. Mica posso andare via così.”; “Ho un po’ paura a lasciare tutto e andare via. Dopo tutti i sacrifici che ho fatto.”; “Non è facile partire. Se ti va bene, ok. Ma ho visto gente tornare e impazzire.”; “Ma no, che dici? Qui si sta di lusso. Molti partono per lavoro ma non vedono l’ora di tornare per godersi la pensione.”; “Non posso lasciare tutto e partire. C’è bisogno di me qui. Chi si prenderebbe cura di mia madre e mio padre?”. Cosa significa veramente viaggiare? Viaggiare per conoscere. Viaggiare per necessità. Farsi coraggio e partire. Lasciare tutto e andare via.Anche nella murgia, a Spinazzola, troveremo facilmente una camera dove dormire. Vito, un altro caro amico ci aspetta già da una settimana. Ci ha parlato di una festa in campagna. Con formaggi e salumi locali. Poi barbecue. “Non ci sono problemi”, ci ha detto. “Dormirete in campagna, da amici”.
Picnic con i briganti
Le ultime pedalate in Basilicata, prima di raggiungere la murgia pugliese, sono tra Bella, Muro Lucano e San Fele. Arriviamo in treno alla stazione di Bella-Muro. La stazione è un semplice scalo ferroviario a pochi chilometri da Bella e Muro Lucano. Non c’è quasi niente. Di fronte ai binari della stazione c’è una piana, dove pascolano mucche e pecore. Alle spalle dei binari c’è solo la SS7 che collega Potenza a Muro Lucano.C’è un bar aperto nella stazione. Beviamo un caffè, e chiediamo informazioni alla barista. “Vorremmo visitare Muro Lucano e poi le cascate di San Fele. Da dove dobbiamo andare?” “Sinceramente io sono di Muro e non ci sono mai andata alle cascate di San Fele. Ma che ci andate a fare alle cascate di San Fele? Non sono niente di ché! Solo un po’ di acqua fresca, non vi aspettate certo le cascate del Niagara. Comunque per andare a Muro vi conviene prendere la provinciale. Prendete questa strada qui di fronte e poi al bivio andate a sinistra. Mi raccomando, non andate a destra, quella è la nazionale ed è pericolosa. È già morto un ciclista qualche anno fa.” Siamo un po’ perplessi ma continuiamo il nostro viaggio.
Muro Lucano è bellissima e soprattutto il belvedere merita una pausa contemplativa. È sicuramente uno dei panorami più belli che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio. Però siamo ansiosi di visitare anche San Fele e le sue cascate. Quindi ci rimettiamo in sella. Nel bosco tra Bella, Muro Lucano e San Fele, alla fine di una lunga salita, incontriamo un gruppo di uomini che, in un’aria picnic presso lo chalet “Acqua del Faggio”, stanno bevendo e mangiando. Ci fermiamo a chiedere indicazioni per la prossima fontana. Ci invitano al loro tavolo e nel giro di pochi minuti siamo già grandi amici. Scherziamo e parliamo di tutto in libertà. Si parla un po’ di tutto. I ragazzi ci raccontano di un territorio che offre grandi possibilità. Il turismo innanzitutto, ma anche tutte le possibilità legate alla terra che è tanta e costa poco. E poi qui in Basilicata non ci sono mafie che si appropriano e gestiscono il territorio. Circondata da camorra, ndrangheta e sacra corona, sorprendentemente la Basilicata non è terra di mafia. Nonostante ciò, in pochi rischiano. Gli anziani non ci pensano neanche. I pochi giovani che incontriamo ci dicono che non è facile. “Innanzitutto mancano le persone e in particolar modo i giovani. In pochi possono e vogliono rischiare veramente. Manca la consapevolezza delle nostre ricchezze e manca anche un’educazione all’imprenditorialità. Qui se apri un negozio e poi chiudi sei uno sfigato.” “Ma che dici? Non è mica vero. La verità è che la colpa è solo nostra. Chi ce lo fa fare a noi a rischiare? Ci vedi qui tu adesso? Che stiamo facendo? Stiamo festeggiando il 29 Luglio col caciocavallo, la provola, il salame e il vino che ti sei bevuto gratis perché l’ho portato io! Capito? E domani che faremo? Festeggeremo il 30 luglio. Capito? Lo festeggiano a Milano il 30 Luglio? No che non si festeggia! E allora? Che vuoi rischiare? Stiamo bene così. Caciocavallo e salame, un po’ di vino e passa la paura. Rischiare, ma che vuoi rischiare!”
Gli animi cominciano a scaldarsi. “Ueeeh, rambo, parla per te!!! Io mi rompo la schiena tutti i giorni da trent’anni. Altro che festeggiare! Ho lavorato da tutte le parti: a Bari, a Bitonto, a Falconara, a Monfalcone, in Svizzera, in Germania, e qua e là. Vedi le mani che ciò. Ciò le mani gonfie e dure per tutto il lavoro che ho fatto. Ciò pure una moglie e tre figli. Non mi venire a parlare di provola e salame perché io mi spacco la schiena da trent’anni. Festeggiare! Festeggiare a me …”.
Non ci sentiamo di dar torto a questa gente. Un po’ capiamo quello che sentono. E anche noi la pensiamo come loro. La questione dello sviluppo economico del territorio in questi luoghi è molto delicata e sempre attuale. La responsabilità individuale e le ingiustizie di uno stato distante si mescolano in un groviglio ormai inestricabile. Questa gente non ha partecipato alla creazione dello Stato ma lo ha sempre subito. In tanti ci parlano del “brigantaggio” e la loro versione non corrisponde a quella dei libri di storia della scuola di stato. Ci parlano di gesta eroiche di compaesani che lottavano per la propria terra contro uno stato invasore. La parola brigantaggio solleva ilarità e sospiri di pacata rassegnazione. A volte qualcuno non resiste, si lascia andare e racconta la “sua” versione. E gli occhi si accendono di passione e risentimento. “Ma tu l’hai visto Cristo si è fermato a Eboli di Gian Maria Volontè? E Li chiamarono briganti lo hai visto? Cosa abbiamo fatto noi per dover subire tanta ingiustizia? Cosa significa essere italiano? Cosa ho io in comune con Bergamo e Bolzano? Mi sono sentito più straniero a Bergamo che non quando sono andato in Spagna, a Malta, e in Albania. Questa è la terra mia, se l’Italia vuole la terra mia, deve venire qui e ragionare con me. È vero, siamo un po’ fatti così e abbiamo tante colpe. Pensiamo alla pensione, rischiamo poco e ci lamentiamo. In molti, anche fra i giovani, si lamentano. Ma il lamento è come un canto che aiuta a tirare avanti e a sopportare le difficoltà e le ingiustizie a cui siamo sottoposti da tanti anni. Lo Stato ci considera ancora terra di conquista. Qui lo Stato non è mai venuto veramente a conoscerci. Ci ha sfruttato e basta. Si è portato via acqua e petrolio e ogni tanto ci ha dato un contentino. E quando ha avuto paura di noi, ci ha fatto la guerra, e ci ha ammazzato come bestie. Anche questo è lo Stato. Dovrebbero scriverlo sui libri di storia.” Cala il silenzio. Non abbiamo altre parole da aggiungere. Ci sentiamo uniti da un’ingiustizia comune che in qualche modo tutti conosciamo. Ma ci sentiamo anche un po’ colpevoli perché non facciamo abbastanza per cambiare, per riscattarci e ribellarci. Poi qualcuno si distrae. Qualcuno si allontana e qualcuno arriva. Ricominciamo a chiacchierare. A bere e a mangiare. Si sta facendo sera. Dobbiamo andare. San Fele è a pochi chilometri.
La Murgia
Siamo fortunati. Proprio oggi a San Fele comincia la festa più sentita del paese, in onore del Santo nativo del luogo, San Giustino. Assistiamo alla tradizionale fiaccolata che apre i festeggiamenti. È un’esperienza emozionante. Tutti gli abitanti partecipano alla fiaccolata. Per l’occasione tutte le luci sono spente e c’è un silenzio profondissimo. La fiaccolata comincia fuori dal paese, entra cantando fra i borghi incantati del centro abitato e termina di fronte alla chiesa, dove i pochi bambini delle elementari inscenano una rappresentazione teatrale della vita di San Giustino. Partecipiamo con interesse e in tanti si presentano e ci spiegano l’importanza della festa di San Giustino per San Fele. Ci sembra davvero di fare un viaggio nel tempo. Forse cento anni fa, la festa di san Giustino era esattamente così come l’abbiamo incontrata noi oggi. L’indomani, abbiamo giusto il tempo di fare un tuffo nelle splendide cascate di San Fele per poi continuare il nostro viaggio verso Rionero, Ginestra, Ginosa, e Spinazzola. A Spinazzola, Vito ci aspetta con un programma densissimo. Abbiamo giusto il tempo di poggiare i bagagli e fare una doccia e siamo già in macchina, con Vito e i suoi tre bambini, di tre, cinque e sette anni che ci fanno le feste. Andiamo in campagna dove si festeggia la nonna Anna che oggi compie 80 anni. I dodici figli della nonna Anna abitano tutti fra Spinazzola e Minervino Murge e oggi sono tutti presenti, con consorti, nipoti, e pronipoti. Sembra un matrimonio. Mariangela, la moglie di Vito, ci presenta sua nonna Anna e tutti gli invitati, uno ad uno. Facciamo una gran confusione con i nomi, sia perché gli invitati sono tanti, ma anche perché beviamo troppo vino. Intanto i bambini corrono e gridano a destra e a sinistra.
Non riusciamo a distinguere i bambini dalle bambine, sono scalzi, tutti vestiti con pantaloncino e maglietta colorati. I capelli sono un po’ lunghi e un po’ corti e non si riesce a guardarli bene in faccia perché corrono e non si fermano mai. Mentre i bimbi giocano senza controllo, gli adulti mangiano senza tregua. Per la festa della nonna Anna, ognuno ha preparato qualcosa. Il che significa che un esercito intero potrebbe mangiare oggi, domani e dopodomani. Formaggi locali e salsiccia secca di Spinazzola solo per cominciare. Poi focacce, panzerotti, pizze rustiche, melanzane grigliate e melanzane ripiene; e poi ancora mozzarelle, ricottine, burratine, calzoni, bruschette, olive dolci fritte, taralli, polpette, friselle, lampascioni, zeppole, peperoni al forno con aglio e capperi, zucchine alla poverella e formaggio arrostito. E ovviamente questo è solo l’antipasto. Tutti aspettano il vero pezzo forte della serata: la carne alla griglia. Sebastiano, il papà di Mariangela, ha acceso il fuoco alle cinque del pomeriggio. In quanto a professionalità, Sebastiano può fare concorrenza alle migliori bracerie del posto. Bombette, spiedini, salsicce, fegatelli, costine e costolette. La carne salta di vassoio in vassoio, dalla brace ai tavoli e tutti si servono in disordine, mentre parlano, ridono, mangiano e bevono. Non c’è musica ma tutti si alzano, si allontanano, ritornano e si riaccomodano come se ballassero.
Ci complimentiamo con Sebastiano per la salsiccia secca di Spinazzola. “Ok, grazie. Sono contento che vi piaccia. È tipica di Spinazzola. Domani mattina vi accompagno da Nicola, un amico mio, che la prepara e la vende ad amici e clienti fidati. Se volete potete comprarne un po’ da lui così la portate a casa con voi.” Non ci aspettavamo un ricevimento di queste dimensioni. Abbiamo serie difficoltà a resistere. Non riusciamo a capacitarci di come tutti riescano a mangiare così tanto. Ma non solo. È già mezzanotte e nessuno sembra avere sonno. In seguito Vito ci confiderà il segreto. “Da queste parti, non si può sopravvivere se non ci si ferma ai box dalle due alle sei di pomeriggio. Non è una pennichella, è proprio una dormita di quelle profondissime. Alcuni si mettono proprio il pigiama. Fa troppo caldo, per strada non c’è nessuno. Dormono tutti. Verso le cinque e mezza, sei, ci si alza, si prende il caffè e così comincia il pomeriggio. Così i bambini possono giocare in piazza fino alle due di notte e i grandi fanno quello che devono fare.” Intanto siamo ancora assediati dal cibo.
Non ci è concesso rifiutare. Quando proviamo a rifiutare qualcosa adducendo per scusa che “siamo pieni”, ci guardano di malocchio. Rosetta, la sorella di nonna Anna, ci fornisce un ottimo consiglio per continuare la maratona. “Non preoccupatevi, basta fare due passi, bere un sorso di vino e poi vedrete, sentirete un leggero languorino, e potrete ricominciare ad assaggiare tutto.” Non osiamo contraddire Rosetta e seguiamo il suo prezioso consiglio. Alla fine accettiamo qualunque cosa. E per questo tutti sono contentissimi di noi. Ad un certo punto perdiamo coscienza, io cado su un’amaca e Giuseppe si addormenta su una sedia di vimini. Verso le tre di notte, Vito viene a raccoglierci e ci porta a casa. “Ragazzi, non va bene addormentarsi così con lo stomaco pieno. Dai, su, andiamo a prendere un grappino e poi a nanna.” Lo seguiamo trascinandoci con le nostre ultime forze. È un’ora imprecisata della notte. Il bar di Spinazzola è aperto. Non ha ancora chiuso. Oppure ha appena aperto. Grappa. Poi crolliamo sui nostri letti senza avere la forza di spogliarci. La digestione di questa cena è stata più dura della peggior salita del nostro viaggio. Ci svegliamo alle dodici con la gola secchissima e lo stomaco che sembra aver percorso la Parigi-Dakar. Prepariamo le bici e ci rimettiamo in sella senza dire una parola. Non abbiamo la più pallida idea di quello che stiamo facendo. Vito e i suoi tre bimbi sono venuti a salutarci. Promettiamo di ritornare l’anno prossimo. Mentre stiamo per partire verso la strada che ci porterà a Poggiorsini, Sebastiano ci insegue con una busta di plastica piena di formaggi e salsiccia secca. “Ragazzi, Nicola mi ha dato questi, non potete perdervele. Portatele con voi.” Carichiamo tutto, ci abbracciamo come se fossimo fratelli e ci salutiamo.
Il mare
Il viaggio da Spinazzola a Poggiorsini e poi per Ruvo di Puglia, fino a Bari è una passeggiata rispetto alla cena del giorno precedente. Le salite sono finite, finalmente. E fortunatamente oggi non fa tanto caldo. Ci godiamo la murgia, le sue lunghe distese di terra gialla che si alterna con colline rocciose. Arriviamo a Poggiorsini, tappa obbligatoria per Giuseppe, a breve gli daranno la cittadinanza onoraria per quante volte c’è andato. Sostiamo per un caffè in un bar vicino la famosa balconata di Poggiorsini, un posto da cui ci si affaccia su una distesa infinita di campagne e colline. Il tempo di farci fare una foto ricordo, in posa come due che hanno appena vinto il giro d’Italia e ripartiamo! Pedaliamo lungo infiniti rettilinei che sembrano non finire mai costretti a fermarci soltanto per qualche imprevisto. Il primo imprevisto è un gregge di pecore che ci taglia prepotentemente la strada e restiamo fermi 15 minuti seduti sulle nostre biciclette ad ammirare la carovana bianca che ci passa davanti. Il secondo imprevisto è Giuseppe che affamato decide di fare una sosta e “rubare” delle pere da un albero lungo la strada. Si avvicina con la bicicletta fin sotto l’albero e…fora. Ripariamo la foratura, mangiamo le pere e di nuovo in sella, attraverso muretti a secco e masserie, fino a Ruvo di Puglia. A Ruvo non possiamo non fermarci per uno spuntino veloce in una delle famose aziende casearie del posto. Pranzo a base di mozzarelle, burratine e formaggi vari. Ora siamo pieni d’energia, Bari ci aspetta. A Bari ci accoglie un mare meraviglioso e una città semi deserta. È bello rivedere il mare dopo tanti chilometri. Ci fermiamo sul lungomare e poi a un bar per una tonica con limone. Siamo emozionati. Manca davvero poco. Siamo orgogliosi perché il viaggio non è stato facile. Ma siamo anche un po’ tristi perché è già finito. Da domani torneremo alla nostra vita di tutti i giorni. Non ci diciamo niente ma entrambi sappiamo quello a cui stiamo pensando. Pedaliamo da Bari a Mola per gli ultimi pochi chilometri della nostra avventura lungo la complanare della statale 16. Da un lato c’è il mare che ci guarda incuriosito. Dall’altro lato ci sono le macchine della SS16 che corrono e ci ricordano che domani il nostro viaggio sarà finito. C’è un vento inusuale che soffia da sud-est. E un vento caldo che soffia contro di noi. Qui, quasi sempre, il vento di maestrale o di tramontana soffia da nord. Invece oggi c’è questo vento così strano che ci rallenta, quasi a volerci trattenere. Pedaliamo contro. Spingiamo sui pedali con forza ed ostinazione. Verso casa. Contro vento. Il vento asciuga tutto il nostro sudore. Più pedaliamo, più il vento aumenta. È faticoso ma non molliamo. Mola è lì, davanti a noi.
Casa
Siamo a casa. Dieci giorni fa siamo partiti dal lato opposto del nostro Sud Italia, lo abbiamo tagliato in bicicletta, pedalando attraverso strade e luoghi a noi sconosciuti, ci siamo persi, abbiamo ritrovato la via, abbiamo conosciuto tantissima gente, abbiamo riso e abbiamo faticato. Non sapevamo nulla di quello che ci avrebbe riservato una esperienza del genere però qualcosa dentro noi ci diceva di farla. Ed una volta scesi dal sellino delle nostre biciclette, forse, lo abbiamo capito.
Viaggiare in bici significa vedere il mondo a venti all’ora, sudarsi la meta, conoscere l’intermezzo prima ancora di tale sudata meta, omaggiare e rispettare la terra che percorri, immergerti in essa e conoscerla in maniera un po’ più approfondita. Viaggiare in bici vuol dire privarsi delle comodità quotidiane, per dare loro un nuovo valore. Viaggiare in bici ti riavvicina ad una dimensione umana fatta di semplicità di rapporti, dello scambio e della comunione con la terra e i luoghi che attraversi. Ti permette di conoscere ed aprirti a sconosciuti e di ritrovarti improvvisamente ad offrir loro da bere, sempre se non l’abbiano fatto prima loro. Viaggiando in bici impari a non preoccuparti delle tue condizioni esteriori o di come sei pettinato.
Viaggiando in bici ti si dischiude un nuovo concetto di viaggio che difficilmente poi riuscirai ad abbandonare. Ma soprattutto, viaggiando in bici, lentamente, rispettando e conoscendo quello che la strada ti riserva, ti fa comprendere quanta umanità esiste ancora e che purtroppo ci perdiamo persi ed intrappolati nei ritmi frenetici della cosiddetta società civile. Questo è stato il nostro Sud Coast To Coast. Un lento viaggio in bicicletta in cui abbiamo avuto il tempo di apprezzare quello che avevamo intorno, i paesaggi, i colori, gli odori del nostro meraviglioso Sud. Un viaggio che ci ha portato a far tappa nei paesi più piccoli e irraggiungibili del nostro entroterra, luoghi in cui il tempo scorre lentamente e ti fa apprezzare i rapporti umani, le tradizioni, il valore delle piccole cose. Forse è questo il filo conduttore del nostro viaggio in bicicletta attraverso i paesi del sud. È un inno alla lentezza come unica strada per riscoprire quei valori troppo spesso dimenticati. Ed eccola la foto finale, ci siamo fatti fotografare seduti sul lungomare di Mola di Bari, appena tornati a casa. Riguardandola oggi, la prima cosa che ci viene in mente riguarda proprio questo termine, “casa”. Perché, dovete sapere, che noi ci siamo sentiti a casa in ogni paese che abbiamo attraversato, in ogni angolo sperduto che abbiamo toccato e di questo dobbiamo ringraziare tutte quelle meravigliose persone che vedendoci arrivare pedalando per le vie del proprio paese ci hanno accolto con sorrisi, gentilezza e una disponibilità che non dimenticheremo mai. Il nostro grazie va a tutti voi e, chissà, forse un giorno capiterà di rivederci.
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SudCoastToCoast
Giuseppe Errico, 42 anni, programmatore informatico. Vivo a Mola di Bari, nella splendida Puglia che amo girare in lungo e largo ogni qualvolta riesco a ritagliarmi un po' di tempo libero dal mio lavoro davanti al pc. A piedi zaino in spalla o in sella ad una bicicletta, l'importante è andare, viaggiare ed esplorare, lentamente.
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico