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Transtaurus, viaggio in bici dal Mediterraneo alla Cappadocia in Turchia
Transtaurus è la quintessenza di un viaggio in bici, è la traduzione in realtà di un teorema che mi ha fatto innamorare di questo tipo di turismo. Dal Mediterraneo all'Anatolia, dal mare alle montagne, dalla città di Antalya ai villaggi della Cappadocia.
Mettiti comodo, scorri sulla pagina e scopri come è andata questa avventura: sono certo che arrivato in fondo non vorrai far altro che inziare a programmare la tua partenza.
In questo articolo
Cosa non è e cos'è Transtaurus?
Transtaurus non è un viaggio organizzato, non è un percorso permanente, non è un itinerario segnalato. Transtaurus è un'avventura disorganizzata, cercata e modellata a nostra immagine e somiglianza sulle orme del viaggio di Ryan Wilson tra i monti Tauri nel sud-ovest della Turchia.
Meno di 1000 chilometri in un mese, ventidue tappe, 18 notti in tenda, almeno 100 çay e oltre 14.000 m di dislivello positivo. Sono numeri, e come tali mi interessano poco, ma ti danno l'idea del nostro stile, di quello che andiamo cercando e che abbiamo trovato su queste strade turche, tra questi sentieri d'Asia.
Siamo cercatori di lentezza. Intesa come tempo restituito al tempo, come vuoti riempiti di nulla, come silenzi che si fanno assordanti.
Ma siamo anche esteti dell'ignoto e Transtaurus ci ha regalato tutto questo: percorsi lenti, scassati, remoti, silenziosi, belli.
Siamo passati dalle coste del Mediterraneo sovraffollate della festa di fine Ramadan, alle radure deserte d'alta quota nei parchi sconfinati dei Tauri. Dai meandri di salite infinte ai pericoli di discese veloci, dagli infiniti boschi di pini, cedri e ginepri ai verdi pascoli ancora macchiati di nevi morenti.
Oltre i monti abbiamo pedalato su un percorso straordinario nella piattezza anatolica, prima di concludere in un luogo magico, ridotto a parco giochi all'aperto per cacciatori di esperienze.
La Cappadocia è come una bella donna, meravigliosa ma vittima della sua stessa bellezza che porta chi la guarda a fermarsi spesso in superficie, senza approfondire.
Deturpata dalla massificazione di un turismo esasperato dalla sovraesposizione da social. Popolata da tribù di turisti alla ricerca di emozioni autentiche, ormai globalizzate: è così che arrivano orde di cultori del selfie alla disperata ricerca di un pallone gonfiato o di una motoretta a quattro ruote per poter nutrire il prorio ego e pubblicare il proprio bel faccione con quei pinnacoli alle spalle, senza nemmeno guardarli veramente.
Lei, la Cappadocia, resta straordinariamente attraente e lieta di far conoscere i suoi lati più nascosti a chi avrà la voglia e il tempo da dedicarle.
Ma andiamo con ordine e iniziamo a raccontare questo viaggio dall'inizio.
Dal Mediterraneo al canyon del Köprülü
Punto di partenza del nostro itinerario è Antalya (o Adalia per chi preferisce la versione romana), cosmopolita città di quasi tre milioni di abitanti. Il distretto di Muratpaşa rappresenta il centro di questo agglomerato e prima di inforcare la bici ti suggerisco di trascorrere una giornata tra i vicoli acciottolati, spingendoti fino al porto romano incastrato tra le scogliere che proteggono la città oppure passando sotto la porta di Adriano.
Dopo aver esplorato la città è tempo di partire e mettersi in sella: una bella ciclabile costiera porta verso oriente facendoci restare fuori dal traffico fino al parco del torrente Düden che si tuffa nel Mediterraneo con un salto spettacolare. È il giorno di fine Ramadan e i Turchi inziano un periodo di ferie che lì porta in massa verso il mare: in giro c'è il mondo.
Barbecue su cui si grigliano pesce e carne sono ovunque, le spiagge sono prese d'assalto e man mano che pedaliamo verso est entriamo in una zona di grandi resort stracolmi. In un tratto di strada noioso incontriamo Murat, cicloviaggiatore turco che si unisce a noi nella fuga dalla ressa. Il traffico ci stressa ma per fortuna troviamo una bella pineta nei pressi della cittadina di Belek. Il tramonto si insinua tra i rami dei pini marittimi e decidiamo che la sabbia su cui risulta difficile pedalare possa essere invece un ottimo giaciglio per la notte.
Al risveglio è già tempo di abbandonare la costa per inoltrarci verso le vette dei Tauri Occidentali, che cingono in un ampio abbraccio Antalya e le sue spiagge.
Serik è una cittadina compatta ma caotica, porta d'accesso alle rovine di Aspendos e alla vallata del fiume Köprülü. Passiamo campagne infinite e ci lasciamo alle spalle l'acquedotto romano. Evitiamo invece di fermarci all'anfiteatro dell'antico insediamento dato che lo avevamo già visitato un paio di anni prima nel viaggio #backtothewest.
Un ponte che ci accompagna sulla sponda orientale del fiume indica anche il nostro ingresso nella valle. Il canyon del Köprülü è anche un parco nazionale ma soprattutto le sue acque sono famose per il rafting. Sulle sue rive sono presenti molti centri ma anche tanti terrapieni utilizzati dai turchi per i picnic. Uno di questi ci accoglie per una notte sotto le stelle e risuciamo anche a fare un tuffo nel fiume sotto la pioggia. L'indomani raggiungiamo un ponte romano non lontano dalle alte pareti terminali del canyon.
La strada lascia il fondovalle per iniziare ad arrampicarsi verso Selge, altro insediamento di origine romana di cui si è conservato l'enorme anfiteatro. Le formazioni rocciose e le foreste di cedri ci accompagnano nel parco nazionale anche il giorno successivo, quando l'asfalto lascia spazio allo sterrato. La strada scollina ma la discesa è meravigliosa.
Murat pedala sempre con noi e al mattino ci prepara un delizoso caffè. I monti Tauri si avvicinano e con essi le strade ardue e montane. Cukurca è la porta di accesso a una delle salite più toste dell'intero viaggio. Sprofondiamo nelle viscere della terra fino a rituffarci per un'ultima volta nelle acque del Köprülü prima di risalire su un pendio arduo e scosceso verso Eiki Beydili.
Sfioriamo per la prima volta i 2000 m sopra a Beydili e alla sera troviamo un prato nei pressi di un abbeveratoio dove ci tuffiamo per lavarci dalla polvere della giornata.
Dedegöl, la stella cometa
Se avessi immaginato come avrei voluto che fosse questa traversata dei Tauri in Turchia, difficilmente sarei riuscito a trovare parole che fossero all'altezza della realtà.
Strade ogni giorno esaltanti, panorami su vette innevate e spot per campeggiare alla sera ogni giorno più belli. Insomma, l'avrai capito che anche oggi è stata una giornata strepitosa.
Il risveglio si è rivelato gelido, con il termometro sceso nella notte fino a 5°C. Una limonata calda (visto che il tè era finito) e il sole finalmente in faccia ci hanno rivitalizzato, convincendoci a ripartire. La strada resta splendidamente in quota come il finale della sera precedente e man mano che avanziamo notiamo delle meravigliose vette innevate dinnanzi a noi: non ci lasceranno fino a sera.
Scendiamo di quota e ci ritroviamo a pedalare per pochi chilometri sull'asfalto prima di imboccare una traccia di strada tra immense praterie popolate da decine di cavalli. Il percorso si insinua nel bosco e ci costringe a spingere la bici sulle rocce di pendenze troppo ardite per le bici cariche. Superato il valico l'ennesimo passaggio idilliaco ci si para davanti.
Nala rincorre brevemente un vitello prima di rinunciare per manifesta inferiorità fisica e noi attraversiamo un prato fiorito per raggiungere un pendio roccioso a picco sulla valle. La picchiata è tremenda ma a Mentese, due anime in croce trasferitesi qui per la cava di marmo enorme che incombe sul villaggio, troviamo un negozietto in cui rifornirci. Fuori dalla porta 5 cuccioli di kangal dormono all'ombra di un ombrellone sgualcito dal vento.
Ci sediamo nel giardino della vicina moschea per mangiare pane e olive prima di riprendere la salita, durissima, verso l'ennesimo scollinamento. Ancora gravel, ancora spinta per brevi tratti, ancora panorami vasti e aperti con monti rocciosi e innevati a chiuderli da lontano. Una nuova discesa fino a valle ci riporta sul letto di un fiume che seguiamo per cinque o sei chilometri prima di ritrovare la terra e pendenze impegnative.
Saranno le ultime e un paio di tartarughe di terra ci fanno compagnia nella nostra avanzata. In fondo al sentiero la sorpresa di un guado non ci spaventa e togliamo scarpe e calze per passare il torrente senza bagnarci. Da qui in avanti sarà solo asfalto fino a Yakaköy e un chilometro oltre il paese troviamo un luogo idilliaco dove campeggiare di fronte al massiccio innevato che ci ha fatto da stella cometa tutto il giorno.
Il giorno successivo la strada sale tosta ma l'asfalto addolcisce la fatica e le cime innevate distraggono mente e muscoli. L'acqua sgorga ovunque. Al valico scopriamo di essere entrati in un nuovo Parco Nazionale, il Kizildag. Deviamo verso destra entrando su una strada sterrata che ci farà precipitare sul lago Beysheir. Il percorso si snoda tra boschi secolari e torrenti d'acqua che scendono dalle nevi in scioglimento dei Tauri. È una meraviglia dolce e lenta che ci travolge con profumi e colori di primavera.
L'arrivo nella città dal nome impronunciabile è condito dal falso attacco di un kangal pastore che ci terrorizza ma poi scappa.
Troviamo un cay e salutiamo Murat che anche questa notte prosegue verso un campeggio libero sul lago mentre noi chiediamo al comune se c'è un alloggio. Il sindaco in persona si attiva e chiama una sorta di dormitorio: siamo costretti a lasciare Nala fuori ma per una notte accettiamo il compromesso. Da domani torneremo nella Natura. Scopriamo di aver pagato (poco) per una mezza pensione e ne siamo piacevolmente stupiti.
Oggi ci rilassiamo e facciamo una doccia.
Dal lago Beysheir ad Akseki
Dopo una bella serata nel dormitorio per studenti di Yenisarbademli, anche al mattino ci viene servita una colazione super abbondante con patatine fritte e tajin.
Riusciamo a lasciare la cittadina quando ormai sono le 11 e dei nuvoloni minacciosi all'orizzonte ci spaventano. Andiamo incontro al fronte grigio scuro imboccando una strada sterrata che si infila fra due ali di conifere. Il bosco è stato piantumato ma l'autostrada gravel ci fa sembrare di pedalare nelle pinete canadesi o in un paesaggio della tundra russa.
Incrociamo un paio di auto degli anni '80, rattoppate con il fil di ferro e tutti si fermano per offrirci cay o pane o chiederci se abbiamo bisogno di aiuto. La strada raggiunge un piccolo centro abitato e diventa asfaltata, continuando un saliscendi dolce e piacevole.
L'ultima salita ci conduce sopra al centro di Yesildag dove ci fermiamo per un cay destando l'interesse di tutti gli astanti.
Ripartiti imbocchiamo una sterrata che porta lungo un canale dove ci intercettano dei pescatori e ci fermano per offrirci del tè: uno di loro è ciclista e chiama almeno 8 persone per mostrare loro il "trofeo" dei cicloviaggiatori. Dopo un'ora lasciamo i pescatori e proseguiamo lungo la valle cercando un posto dove dormire che troviamo oltre il paese successivo, sul fondovalle pieno di zanzare ma piacevole.
Risveglio baciati dal sole anche se umidi. Riprendiamo il percorso verso Derebucak seguendo im parte strade secondarie sterrate che corrono parallele alla strada principale. Un anziano ci sorpassa su una Renault 4 antichissima e si ferma per salutarci. È ubriaco e ci offre una birra aperta alle 9 del mattino, che noi rifiutiamo gentilmente. Speriamo arrivi sano a destinazione.
Raggiunta la cittadina tra un cay e l'altro, la lasciamo quasi a mezzogiorno, inziando a salire verso il parco Nazionale di Camlik ormai rientrati nella provincia di Antalya. Evitiamo di visitare le numerose grotte ma la strada resta molto piacevole tra prati e boschi.
Da Cemlik imbocchiamo una meravigliosa strada sterrata impegnativa all'inizio e dolce più avanti. Scorpiamo che l'amico Murat è 5 km dietro di noi sulla strada principale e così prendiamo a ritroso il percorso per andare a campeggiare con lui, felici di ritrovarlo dopo che è riuscito a sistemare il cerchio della sua bici. Ceniamo e chiacchieriamo assieme dopo essere fuggiti da zecche e processionaria.
La sveglia suona presto e nonostante il cielo sia azzurro il forte vento ci fa capire che è solo illusione. Riusciamo comunque a fare colazione all'aperto e ripartire prima che la pioggia ci raggiunga, ma appena mettiamo le ruote sulla strada delle grosse gocce iniziano a cadere.
Le prime due ore filano abbastanza lisce, costringendoci a un continuo rito di vestizione e svestizione degli indumenti antipioggia. Gli scrosci infatti si alternano a timide schiarite, il vento ci sferza ma decidiamo comunque, dopo aver passato l'ennesimo minuscolo paesino, di imboccare la strada secondaria che corre parallela alla grande arteria seguita finora. Il gioco vale la candela perché siamo i soli a solcare l'asfalto ormai usurato.
Vero si fionda a fotografare qualsiasi orchidea veda a bordo strada e Murat si fa coinvolgere dal suo entusiasmo. Il tracciato in saliscendi ci regala un'ultima picchiata verso la piana dove giace Cevizli. Sul rettilineo d'ingresso in paese inizia una grandinata leggera che monta di minuto in minuto.
I dolcissimi e numerosi randagi che popolano il centro cittadino ci scodinzolano attorno in cerca di qualche coccola e dopo averli accontentati ci fiondiamo in una pastanesi appena prima che si scateni un inferno di pioggia e vento. Murat parla con il proprietario che a sua volta lo mette in contatto con il sindaco. Dopo un viavai tra comune e pasticceria, sempre sotto un incessante diluvio, Murat convince il primo cittadino a condurci nella sala nozze del paese che sarà tutta per noi. Trascurata e sporca, ma funzionale e dotata di luce e qualche piccola lampada a incandescenza per il riscaldamento.
Ringraziamo il sindaco e dopo tre cay, innumerevoli panzerotti ripieni di olive, peperoni, patate e formaggio, abbandoniamo la pasticceria per trasferirci, gelati e umidi, nel centro comunale che sarà nostro per la notte. Passiamo un po' di tempo chiacchierando fino a sera e poi ci addormentiamo, noi sul pavimento del palco e Murat nella tenda montata in un angolo della sala.
Traversata dei Tauri centrali
È il giorno dei saluti e della risalita ad alte quote. Ripartiamo con il sole, anche se l'aria è frizzante e l'acqua scorre un po' ovunque.
Si sale subito dolcemente verso Akseki ma giunti all'incrocio con la sterrata che ci dovrebbe far evitare la strada trafficata, ci accorgiamo che il fango la fa da padrone. Dubbi, sopralluoghi, ripensamenti e alla fine torniamo sulla strada principale verso Alanya e aggiriamo l'ostacolo restando su asfalto, anche se il traffico è notevole.
In men che non si dica siamo in cima ma facciamo in tempo a prenderci un infarto grazie a una kangal che scatta fuori dalla sua cuccia verso Nala: la catena a cui è tristemente legato in questo caso ci salva. Una picchiata di 8 chilometri e una breve risalita ci fanno entrare ad Akseki, cittadina particolare sulle pendici dei monti Tauri con case in legno e sasso, caratteristiche di tutti i borghi della zona.
È giunto il tempo di salutare Murat e così ci concediamo un pranzo con zuppa di lenticchie e pide kazarli nell'unico ristorante aperto di domenica. Un po' commossi lasciamo andare questo piccolo grande uomo che ci ha accompagnato fino a qui: una persona riservata ma generosa, introversa ma avventurosa. Insomma, un animo simile al mio, a cui mi sono facilmente affezionato.
Le nostre strade si dividono e nel pomeriggio imbocchiamo la via verso i monti. Appena fuori dal paese l'asfalto svanisce e ci ritroviamo sulla forestale verso Göktepe. Veniamo avvisati da due locali che in quota la neve arriva alla pancia ma le loro parole sono smentite dalla realtà dinnanzi a noi che ci mostra monti malinconicamente calvi.
Convinti, decidiamo di tentare la traversata verso quota 2250 m e iniziamo a salire nel bosco. Il paesaggio è straordinario e incontriamo alcune auto che scendono dopo un picnic domenicale. La mappa indica una spianata a 1750 m di quota e così decidiamo di proseguire fino a lì nonostante la stanchezza inizi a farsi sentire.
L'Ürküten dagi ci scorta, con le sue pareti brulle e sassose e la cima macchiata da qualche chiazza di neve. I segnali del percorso di trekking Isauria Yolu ci accompagnano e al Göktepe plateau troviamo un paesaggio lunare. Nella conca un paio di casette che i pastori usano d'estate attirano la nostra attenzione perché lì dovrebbe esserci dell'acqua. Non troviamo l'acqua ma uno dei due edifici, più un deposito che altro, è aperto e decidiamo di infilarci lì per restare un po' più al caldo.
Un tramonto sottotono viene seguito da una luna che troneggia quasi piena sopra le nostre teste. La tosta ma entusiasmante giornata si chiude con una cena sommessa e un cay bollente sorseggiato già nel calore del nostro sacco a pelo.
Il risveglio nella casetta dei pastori è caldo e lento. Solo Nala è impaziente di uscire per andare alla ricerca di citelli da spaventare. Il cielo è un po' velato e così tergiversiamo più del solito a colazione prima di imporci la ripartenza. Ci aspettano ancora parecchi chilometri di risalita ma il paesaggio, metro dopo metro, si apre in orizzonti sconfinati e remoti.
Un marsupio sul ciglio della strada dev'essere stato dimenticato da qualcuno nel weekend: al suo interno ci sono soldi, un telefono, due anelli e dei coltellini. Lo raccogliamo per riportarlo alla prima stazione della jandarma, anche se di certo la troveremo fra 2-3 giorni.
Il tracciato sale a strappi fino ai 2250 m del valico. Cedri e pini hanno lasciato spazio già da un po' alle smisurate praterie d'alta quota e tutto intorno le montagne rocciose chiazzate di neve fanno da anfiteatro.
Un'auto, l'unica che vedremo oggi, ci affianca e si ferma. apiamo a gesti che i tre signori che la popolano sono alla ricerca del marsupio e la loro gioia quando glielo riconsegniamo è mitigata solo dal dubbio di ritrovare tutto al loro interno. Ci salutiamo e proseguono spediti davanti a noi.
In basso, oltre il passo, infinte gobbe di roccia e prati. In alcune conche la neve sciolta riesce anche a formare piccoli laghetti che aggiriamo. Sull'ennesima salita, al pomeriggio, ritroviamo l'auto di ritorno da chissà dove. I tre anziani si fermano e sorridenti estraggono dal baule pane, acqua, cipolle e pomodori che ci consegnano grati. Riempiamo ancor più le borse e riprendiamo a scendere raggiungendo un villaggio che sembra abbandonato.
Solo una coppia di contadini che avevamo visto salire il giorno precedente si sbraccia da una casetta. Ci avviciniamo e vediamo che hanno arato tutto l'appezzamento davanti all'abitazione ed hanno chili di cipolle e patate pronte per essere seminate. Ci accolgono in veranda offrendoci dolci e biscotti, nespole e pane. Anche in questo caso ci fermiamo un po' finché la conversazione langue, non sapendo il turco. È quello il momento del congedo e un altro sacchetto di dolci e biscotti fa capolino sul mio portapacchi posteriore.
La strada si fa sentiero e con il carrellino Vero fatica tremendamente sulle rampe più dure. Pochi chilometri ma qualche ora più tardi arriviamo in un altro paese, ancora una volta deserto, e proviamo ad accedere alla moschea che però è chiusa come tutto il resto.
Siamo stanchi, il luogo è incantevole e così ci aggiriamo alla ricerca di un buon punto per campeggiare. Troviamo un posto auto protetto su tre lati e decidiamo sia perfetto. È presto ma ci godiamo il paesaggio, preparandoci un thè e la cena. La luna piena sale e ci avvisa che è tempo di entrare in tenda e riposare. I rapaci notturni riempiono il silenzio con i loro richiami costanti e ci conducono tra le braccia di Morfeo, traghettandoci verso una nuova intensa giornata tra le alte vette dei Monti Tauri centrali.
La notte oltre i 2000m si è rivelata meno tremenda di quanto mi aspettassi e il risveglio con il sole a illuminare le alte vette taurine ci ha regalato un'alba magica.
Il thè caldo ci fa acclimatare mentre smontiamo la tenda e rivestiamo le bici. Ripartiamo quando il sole è già alto e subito la strada ci incanta, passando sul fondovalle che fiancheggia alcune cime innevate sul versante nord. In pochi chilometri raggiungiamo una cava di marmo che avevamo già avvistato il giorno precedente e la attraversiamo velocemente.
I saliscendi si susseguono, il fondo stradale è decisamente migliorato e il passaggio non accenna a perdere il suo slancio maestoso. Un bivio ci suggerisce di tagliare di 15 chilometri l'itinerario per raggiungere la zona di alcuni laghi d'alta quota che attraversiamo con un tracciato a dir poco umido.
La strada si avvicina al percorso asfaltato che unisce Alanya a Bozkir ma non lo tocca, deviando ancora verso nord-ovest. Aggirato l'ennesimo laghetto ci infiliamo in una valle chiusa da cui dovremmo uscire con una salita che, a vedere l'altimetria, sembra davvero tosta. In realtà in fondo alla valle la strada finisce e lascia spazio a un sentiero di montagna impraticabile con il carrellino.
Cammino per mezz'ora per vedere se il percorso migliora e se vale la pena trasportare le bici fin lassù ma capisco che non c'è niente da fare se non una cosa che noi cicloviaggiatori odiamo: tornare sui nostri passi.
In mezz'ora ripercorriamo il tragitto fatto all'andata e decidiamo di imboccare l'asfalto. La strada resta maestosa e nonostante passi qualche auto, il traffico è decisamente accettabile. Dopo qualche chilometro il nuovo tracciato improvvisato ci rigetta sullo sterrato per salire dolcemente di nuovo fino a 2200 m dove soffia un'aria gelida.
È tardi ma sul valico vediamo in fondo alla valle un villaggio e decidiamo di puntare lì per la notte. La discesa è divertente e tortuosa, lunga ma veloce. Giunti al villaggio ancora una volta lo troviamo abbandonato e piazziamo la tenda nei pressi di una delle tante case chiuse. È il nostro ultimo giorno nei Tauri e già un po' di malinconia sale mentre ci infiliamo nel sacco a pelo per proteggerci dal freddo notturno.
Con una picchiata attraverso altri villaggi deserti, il mattino seguente raggiungiamo Gezlevi dove un poliziotto in pensione, la prima persona che intercettiamo, ci invita subito per un cay. Al terzo bicchiere salutiamo e proseguiamo immettendoci sulla strada principale che unisce Hadim a Bozkir.
Siamo davanti a una scelta: sinsitra per tornare sul percorso stabilito inizialmente, passando da Bozkir o destra per andare già verso oriente e giungere ad Hadim dove trovare un alloggio per una notte. Optiamo per quest'ultima scelta e iniziamo una salita tosta e ventosa per raggiungere la lugubre città dove restiamo in hotel per una notte, con Nala ancora una volta costretta a restare fuori nel suo carrellino.
L'altopiano anatolico è raggiunto!
Iniziamo la prima giornata fuori dai monti Tauri con una colazione pantagruelica prima di scendere in paese per fare provviste e acquistare un nuovo pacchetto di crocchette per Nala, dato che uno lo abbiamo distribuito tra i vari cani davanti all'hotel.
La strada corre verso il lago artificiale Bagbasi.Riusciamo a deviare dal percorso principale, a dire la verità comunque poco trafficato, per dirigerci verso il paesino di Egiste. Il centro rurale è meraviglioso, con case in pietra e legno, vigneti un po' ovunque e tanti personaggi sorridenti che lavorano operosi nei campi. Come al solito al nostro passaggio ci viene offerto del cay e anche del cibo.
Proseguendo la strada diviene sterrata fino a superare lo sbarramento che forma il lago e condurci sul lato opposto, per una risalta a singhiozzo tra avvistamenti di tartarughe e orchidee. La salita ci riporta sulla strada che conduce a Cumra e che noi seguiamo a tratti fino a Yanikoy e Sarioglan. Dopo l'ennesimo cay offerto, deviamo verso oriente entrando sempre più nella pancia di Anatolia e abbassandoci fino ai 1000 m di quota circa. Gunaysinir ha poco da offrire se non un'ottima locanta dove mangiamo delle pide per cena prima di andare alla ricerca di un luogo dove campeggiare.
Il primo tentativo ad un autogrill fallisce e così ci ritroviamo nell'unico boschetto di 10-15 albicocchi nel mezzo di ettari di campi. Ci addormentiamo e verso le 22 veniamo svegliati dai fari di un'auto. Esco dalla tenda e mi viene sparata addosso una luce e qualcuno inizia a parlare turco senza che io capisca nulla. Dopo un attimo di smarrimento capisco dai "no problem" che devono essere i contadini, penso allertati da chissà cosa. In realtà scopriremo al mattino successivo, venuti qui per controllare l'irrigazione fatta di notte per evitare il vento gironaliero. Ci offrono arance e del pane ripieno di olive e patate e li ritroviamo assonnati al mattino che salutano.
Dopo la nottata particolare, riprendiamo la marcia in pianura e il vento spira forte contro di noi ma per fortuna la strada devia verso nord e torniamo a pedalare con il vento (quasi) in poppa. La strada è noiosa e pedaliamo senza badare molto al paesaggio monotono di questa parte di Turchia. Un serpentello e i soliti citelli sono le uniche attrazioni fino ad Arikören dove ci fermiamo per un cay nell'unico locale del paesello, dietro un grosso deposito del grano.
L'edificio in cemento armato è pieno di crepe, tavoli e sedie fuori nel giardino sembrano averne viste di tutti i colori e abbiano poca voglia di servire ancora per ciò per cui sono state realizzate. Diamo fiducia alle due che sembrano meno propense a disarcionarci e attendiamo il nostro cay. Un anziano sopraggiunge e si siede con noi al tavolo inziando a parlare in turco con qualche parola di tedesco.
Capisco qualcosa: "Koln"..."Achtzig yahre alt"... "Wo gehst du?" poi un amico sopraggiunge e parla molto meglio il tedesco, solo che io non gli sto dietro e così la conversazione continua a sussulti. Ci indicano il treno che da Istanbul corre verso Adana senza fermarsi qui, parlano del passato e nel frattempo anche dei giovani si uniscono alla conversazione. Passiamo una bella ora insieme e al momento di andarcene non possiamo pagare nulla, come al solito.
Continuiamo a pedalare tra immensi campi coltivati e irrigazioni che sputano acqua sulle piantine ancora basse. Più avanti passiamo di fianco al Hotamis Depolamasi, un lago ormai morente di cui non vediamo altro che terreno secco. Le rocce nei suoi dintorni sono piacevoli e interrompono la monotonia del paesaggio.
La strada ora corre dritta come un binario e per una decina di chilometri il rettilineo ci annienta psicologicamente. A Kayacik beviamo un altro thè mentre Hotamis ci accoglie con un personaggio particolare che offre del pollo a Nala e ci prepara due Adana kebap ottimi.
È sera e usciamo dal paese per trovare un altro posto per campeggiare. Ancora una volta degli alberelli nel mezzo della campagna attirano la nostra attenzione. Piazziamo la tenda e poco più tardi un papà con 4 figli ci viene a trovare dichiarandosi il proprietario del campo, felice di lasciarci dormire lì. Anche lui parla tedesco e ha vissuto in Austria per studiare 1 anno. Io mastico ancora le 3 parole che ricordo dal liceo e entriamo in sintonia. Si offre di portarci del cibo ma rifiutiamo ringraziando e andiamo a dormire tranquilli.
Ci risvegliamo svogliati e con calma chiudiamo la tenda. Il papà di Isaia, dal nome impossibile da ricordare, ci viene a salutare prima di ripartire verso Karapinar. I chilometri non passano e lo sterrato ci rallenta. Entriamo in città solo verso mezzogiorno e troviamo un bel localino. Decidiamo di concederci un altro pranzo e inzia a piovere. Siamo convinti: proveremo a trovare un alloggio che accetti anche Nala, fermandoci qui per riposare. Lo troviamo subito, dormiamo un paio d'ore e poi ci concediamo un thé con delle baclava spaziali.
I vulcani d'Anatolia
Di fronte a noi si mostra un luogo che pochi decenni fa dev'essere stato magico. Un posto fuori dal tempo e allo stesso modo figlio dei nostri tempi.
Il lago Meke è ormai un ricordo di cui restano solo sedimenti salini che cingono in un abbraccio svilente il perfetto cono che sorge nel bel mezzo della prima caldera. Sì, perché l'ecosistema che ci troviamo di fronte è un vulcano nidificato, all'interno del quale era presente un lago. Oggi quell'acqua è stata prosciugata dall'irrigazione intensiva e dalle siccità che si sono succedute negli anni.
I cartelli che avvisano gli avventori dell'unicità di questo ecosistema, rifugio per centinaia di volatili stanziali e migratori, suonano del tutto anacronistici, superati, morti! I nostri sentimenti sono contrastanti perché da un lato siamo magneticamente attratti dalla suggestione di questo posto, ma dall'altro ne siamo anche respinti, schiavi di quel proverbio tristemente veritiero che recita: "Occhio non vede, cuore non duole"
Vorremmo fuggire, ma anche restare per sempre. Non dimenticare le reali conseguenze dei cambiamenti climatici, la loro velocità spaventosa: 20 anni, sono bastati 20 anni per prosciugare un lago!
Aggiriamo il cratere, comunque stupefatti dalla magnificenza della natura prima di ritornare a pedalare sull'altopiano anatolico. Il paesaggio è un noioso, dolcemente monotono, fatto di sconfinati campi di grano e rilievi all'orizzonte che man mano si fanno più definiti. Passiamo Emirgazi concedendoci un pranzo in lokanta e distribuendo un sacchetto di crocchette a dei cuccioli soli.
Lo sterrato ci distrae e diverte un po' mentre l'ombra del vulcano Hasan si materializza lontana tra le nebbie.
Il difficile compito di trovare un posto riparato per la notte viene risolto da un cumulo di pietre, di nuovo nel mezzo di sconfinati pascoli e campi di grano. Un pastore ci nota al crepuscolo e viene a salutarci mentre le tenebre iniziano a oscurare la sagoma del cono di fronte a noi.
Ci addormentiamo in una notte senza stelle, assorti in pensieri malinconici, illusi che il nostro incedere senza mezzi motorizzati possa in qualche modo rimandare il destino di questo pianeta che oggi ci sembra ormai segnato.
Il cielo grigio ci accompagna ancora mentre usciamo dalla tenda e rimontiamo in sella. Il vulcano Hasan si nasconde sotto una coperta di nuvole basse e pesanti. Svogliati raggiungiamo Taspinar poco prima di mezzogiorno dopo esserci gustati ancora un po' di gravel tra i campi. Ricomincia a piovere e noi sfruttiamo l'occasione per rifugiarci in un localino e bere un paio di cay. Proprio di fianco uno stempiato signore di mezza età prepara tavuk durum a ciclo continuo e decidiamo di assaggiarne uno proprio appena prima che le lezioni finiscano e il locale venga assaltato da famelici studenti in pausa pranzo.
Riprendiamo a pedalare e il cielo sembra rischiararsi un po' quando iniziamo a salire sulle pendici del vulcano. La cima ci appare poco dopo, sull'altipiano verso Ilhara. Un kangal ci saluta abbaiando a Nala mentre imbocchiamo la picchiata verso la città dei londinesi: scopriamo infatti in un ennesimo locale di cay che tantissimi cittadini di Ilhara sono emigrati in Inghilterra e a dircelo è un fabbro che è rientrato da un po' dopo aver trascorso oltre la Manica più di dieci anni. Paga lui i nostri thè e noi lo ringraziamo andando a rifugiarci in un alloggio poco prima che un altro diluvio si riversi sulla vallata.
Cappadocia, un finale degno
Il mattino successivo il cielo promette bene e decidiamo di visitare la valle di Ilhara, già parte del parco della Cappadocia. L'ingresso intermedio è chiuso e così già per trasferirci all'ingresso meridionale ci ritroviamo su una strada sterrata.
Trascorriamo il mattino a camminare nella valle lungo un sentiero piacevole che conduce a diverse chiese rupestri tra cui la più affascinante è forse quella del serpente. Chiuso l'anello, pedaliamo in direzione del lago vulcanico di Nar, dove pensiamo di campeggiare. Trovandoci sulla sponda occidentale della valle dell'Ilhara, per oltrepassarla scendiamo nel canyon a Belisirma, sovraffollata all'ingresso e abbandonata nella parte più alta.
Risaliti sull'altopiano anatolico, pedaliamo verso un orizzonte liscio e piatto, ma anche cupo e minaccioso. Imbocchiamo una sterrata che inizialmente appare ben drenata ma man mano che avanziamo diventa sempre più complicata. Con le ruote piene di fango usciamo di nuovo sulla strada principale e ci lanciamo in una rapida discesa.
Le prime gocce di pioggia ci raggiungono a poca distanza dall'inizio della salita verso il lago Nar. Decidiamo di ripararci sotto una tettoia a bordo strada ma il crepuscolo ci raggiunge e alla fine piazziamo lì la tenda: scelta che si rivelerà azzeccata dato che nelle ore successive pioverà abbondantemente.
Il risveglio ci regala un'altra giornata grigia, ma senza pioggia. I primi chilometri sono in salita e in parte su sterrato che conduce sul margine della caldera del Nar golu, il lago vulcanico dove avremmo dovuto arrivare ieri. Al bar panoramico che si trova sul margine orientale del vulcano, ritroviamo Andrea, bergamasco che sta viaggiando da mesi con la sua bici in legno e con cui Veronica si era tenuta in contatto da mesi.
Lui è diretto alla valle dell'Ilhara, prima di raggiungere la Cappadocia. Beviamo un caffè insieme, lo salutiamo e riprendiamo la bici con l'obiettivo di trasferirci a Kaymakli, città sotterranea sulla via verso Ortahisar, meta odierna e finale del mio viaggio.
A Derinkuyu ci prendiamo un cay veloce ma poco dopo essere risaliti in sella un diluvio ci sorprende. Siamo nel mezzo di campi coltivati senza possibilità di ripararci e quando un vecchio distributore di benzina abbandonato ci offre un locale per proteggerci, siamo già zuppi.
Infreddoliti, attendiamo che spiova mangiando un po' di olive e formaggio e alla ripartenza decidiamo di evitare la sosta a Kaymakli, proseguendo verso la Cappadocia. La strada è trafficata e noiosa ma gli ultimi chilometri ci regalano un cielo in parte rischiarato e qualche raggio di sole sul castello di Uchisar che scorre via di fianco a noi all'ingresso. Troviamo l'hotel e ci sistemiamo, il viaggio è concluso, anche se nei prossimi giorni esploreremo la Cappadocia.
- Antalya: la città del Mediterraneo con il suo centro storico e le cascate di Düden
- Canyon del Köprülü: vallata solcata dal fiume paradiso per gli amanti del rafting
- Selge e Aspendos: rovine di anfiteatri romani da visitare lungo il percorso
- Parco di Kizildag: panorami spettacolari sul Dedgöl
- Akseki: piccola cittadina caratterizzata da case in legno e muratura
- Tauri centrali: meravigliosi paesaggi e strade che attraversano gli altopiani di Göktepe ai piedi di montagne rocciose
- Lago Meke: vulcano nidificato un tempo coperto da un lago ormai prosciugato
- Vulcano Hasan: sagoma spettacolare di questo alto vulcano nella regione anatolica
- Valle dell'Ilhara: vallata punteggiata da chiese rupestri ai margini della Cappadocia
- Cappadocia: non c'è bisogno di dire altro! Paesaggio meraviglioso da scoprire lentamente
- Come raggiungo Antalya in Turchia? Personalmente ho raggiunto Antalya in aereo con volo diretto di Pegasus Airline da Monaco di Baviera. Il rientro da Kayseri fa scalo a Istanbul. Dall'Italia Pegasus vola da Bergamo, Venezia, Bologna e Roma. Anche Ryanair vola su Antalya. Il supplemento bici a tratta al momento in cui scrivo è di 60 €.
- L'itinerario è segnalato? L'itinerario non è segnalato, è stato tracciato da noi e può essere migliorato in alcuni passaggi, ma è già un ottimo punto di partenza soprattutto se ami luoghi remoti e strade poco frequentate.
- Sono presenti fontane o fonti d'acqua in generale? Nei paesi e sui monti Tauri sono presenti molte fontane e l'acqua non è mai stata un problema
- Com'è la qualità delle strade dell'itinerario? Il percorso si svolge su sterrati di vario livello ma quasi tutti definibili gravel roads e asfalto. Le strade trafficate sono poche e spesso è presente una corsia di emergenza ampia dove pedalare.
- Quali documenti sono necessari per entrare in Turchia? Per entrare in Turchia è necessario un passaporto o la carta d'identità in corso di validità (almeno 5 mesi) e al momento d'ingresso viene rilasciato un visto con validità 90 giorni
- Il percorso della Transtaurus si snoda tra la costa mediterranea e la Cappadocia, entrambe zone turistiche, mentre l'entroterra, sia montuoso che anatolico, presenta piccoli paesi dove è difficile trovare alloggi. Una tenda è fortemente consigliata e noi abbiamo alloggiato in struttura solo nelle grandi cittadine (Hadim, Karapinar), ad Antalya e in Cappadocia
- Il campeggio libero è ammesso. Anche i Turchi amano campeggiare. Si può campeggiare un po' ovunque anche se ti consiglio di trovare luoghi remoti e ben protetti per evitare di essere disturbato durante la notte da qualche turco che vuole offrirti alloggio o cibo.
- Cosa mangiare lungo l'itinerario? La cucina turca è ottima anche se può risultare noiosa dopo un po'. Kebap, pide e lamachun sono i piatti più popolari e facili da reperire ma sono ottimi anche le zuppe di lenticchie o le melanzane con carne.
- Dove mangiare lungo l'itinerario? Non sempre lungo il percorso è facile trovare piccoli ristorantini o luoghi dove mangiare, per questo ti suggerisco di portare con te un fornelletto e fare rifornimento nei market che si trovano in ogni piccolo villaggio
- Turchia.it: portale turistico ufficiale della Turchia in italiano
- cycling.goturkiye.com: il sito ufficiale internazionale della Turchia dedicato alla bici con più informazioni e itinerari
- Antalya.com.tr: turismo nella regione di Antalya, inclusi i monti Tauri
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Leo
ITA - Cicloviaggiatore lento con il pallino per la scrittura e la fotografia. Se non è in viaggio ama perdersi lungo i mille sentieri che solcano le splendide montagne del suo Trentino e dei dintorni del lago d'Iseo dove abita. Sia a piedi che in mountain bike. Eterno Peter Pan che ama realizzare i propri sogni senza lasciarli per troppo tempo nel cassetto, ha dedicato e dedica gran parte della vita al cicloturismo viaggiando in Europa, Asia, Sud America e Africa con Vero, compagna di viaggio e di vita e Nala.
EN - Slow cycle traveler with a passion for writing and photography. If he is not traveling, he loves to get lost along the thousands of paths that cross the splendid mountains of his Trentino and the surroundings of Lake Iseo where he lives. Both on foot and by mountain bike. Eternal Peter Pan who loves realizing his dreams without leaving them in the drawer for too long, has dedicated and dedicates a large part of his life to bicycle touring in Europe, Asia, South America and Africa with Vero, travel and life partner and Nala.
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico