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Orobie occidentali in MTB: 5 giorni tra Val Brembana e Valtellina
L'idea di concatenare le valli delle Alpi Orobie occidentali in mountain bike attraverso alcuni valichi storici accessibili è nata qualche anno fa in concomitanza con il personale interesse rivolto a due grandi tematiche locali: le vicende belliche legate alle guerre del Novecento e i secolari traffici commerciali che si sono sviluppati nei territori montani compresi tra le province di Bergamo, Lecco e Sondrio.
In questo articolo
- 1° giorno | Bergamo – Rif. Passo San Marco 2000 (67 km | 2300 m d+ | 6h)
- 2° giorno | Rif. Passo San Marco 2000 – Rif. Trona Soliva (43 km | 1950 m d+ | 5:30h)
- 3° giorno | Rif. Trona Soliva – Rif. Roccoli Lorla (36 km | 1500 m d+ | 4:30h)
- 4° giorno | Rif. Roccoli Lorla – Rif. Dordona (73 km | 1950 m d+ | 6:30h)
- 5° giorno | Rif. Dordona - Bergamo (66 km | 850 m d+ | 4h)
Dopo un'attenta analisi su carta – in parte facilitata dalle personali conoscenze del territorio – già da subito è stato delineato un più che probabile itinerario, che in seguito ha subito delle rettifiche fino a diventare il percorso ufficiale solamente qualche giorno prima della partenza. Il viaggio in MTB è stato impostato fissando alcune condizioni: effettuare un giro ad anello con arrivo nella stessa località di partenza; sfruttare solamente i rifugi alpini come punti di appoggio per il pernottamento; percorrere sentieri che posseggano una buona percentuale di ciclabilità; attraversare luoghi mai (o in piccola parte) percorsi in bicicletta dal sottoscritto. Col senno di poi posso certamente affermare che tale percorso – peraltro affrontato in solitaria – non ha tradito le mie aspettative; ho trovato ciò che cercavo e mi sono regalato un sacco di soddisfazioni...oltre ad un sonno ininterrotto di dodici ore una volta rientrato a casa!
1° giorno | Bergamo – Rif. Passo San Marco 2000 (67 km | 2300 m d+ | 6h)
E finalmente salto in sella alla mia mountain bike, felice di cominciare questa nuova avventura nel mondo orobico. L'adrenalina che l'attesa mi ha messo in corpo da qualche giorno ora si sta trasformando in voglia di pedalare, di scoprire posti nuovi e soprattutto di vagare con la mente a 360°.
Parto da Bergamo (249 m) alle nove del mattino e raggiungo Zogno percorrendo la strada provinciale, che è trafficata ma che rappresenta la via più veloce. L'alternativa sarebbe quella di percorrere strade secondarie e piste ciclabili nel bosco (si consulti il viaggio di Leo e Vero nelle Valli Bergamasche nel tratto tra Zogno e Bergamo), ma, vista la loro natura più nervosa, personalmente ritengo utile conservare le energie per il seguito. A Zogno mi infilo nella pista ciclabile della Val Brembana, tutta asfaltata e in sede propria, fino a Piazza Brembana, attraversando San Pellegrino Terme, San Giovanni Bianco e Camerata Cornello.
Uscito dall'ultima galleria della ciclabile, si apre davanti ai miei occhi l'alta valle Brembana in tutto il suo splendore; a sinistra si vede bene il Pizzo dei Tre Signori (punto di separazione delle tre province di Bergamo, Lecco e Sondrio, ma solo fino a qualche secolo fa tra Repubblica di San Marco, Ducato di Milano e Repubblica delle Tre Leghe), a destra i Piani dell'Avaro collocati mille metri sopra di me. Ed è proprio lì che sono diretto! La salita si fa erta nei pressi di Ornica, dove si entra ufficialmente nel Parco delle Orobie Bergamasche. Sicuramente poco invitanti sono le rampe micidiali al 15% con il sole cocente e uno zaino sulle spalle del peso di 6 kg! Ma del resto mi trovo all'imbocco della Valle dell'Inferno, un nome sicuramente evocativo e di certo poco rassicurante! Salendo di quota prendono il sopravvento il profumo dei boschi di conifera, il fragore dei torrenti e il dolce soffio del vento. Ogni tanto mi fermo per recuperare le forze e sgranocchiare qualcosa, mi seggo pure su un muretto a lato strada e lascio scorrere il tempo. Dopo quest'ultima pausa riprendo la lenta marcia, affrontando a denti stretti gli ultimi duri tornanti della strada che mi catapultano ai 1700 m di quota dei Piani dell'Avaro. Da questo piccolo altopiano si ramificano vari sentieri diretti a rifugi, laghetti e vette di confine con la vicina provincia di Sondrio. Io scelgo il sentiero che conduce alla Cà San Marco, lasciando alle mie spalle questo luogo magnifico costellato di malghe e di mandrie di mucche al pascolo. Finalmente l'asfalto è finito, le auto sono ormai lontane e la vera montagna si trova proprio davanti ai miei occhi!
Sullo sterrato rinasco, ho più energia di prima e le forze raddoppiano.
Pedalo sulle ondulazioni dei Piani fino alle baite della Croce, in corrispondenza delle quali la traccia diventa un sentiero in forte pendenza da affrontare con la bici a fianco. Sulla cima del Monte Foppa (1897 m) mi concedo una lunga pausa per riposare, godermi il silenzio e scattare qualche foto, anche alle montagne che dominano i Piani di Artavaggio. Sono immerso nella natura e non c'è nessuno... proprio quello che vado cercando, essere a tu per tu con la montagna. Una volta uscito da questa piacevolissima ma sfuggevole sensazione, riprendo la marcia. Dopo qualche tratto pedalato spingo la bici sino al punto più alto della tappa (1960 m circa), un costone erboso da cui posso ammirare la bifida cima del M. Valletto e le grandi ondulazioni del M. Ponteranica. Scendo nella sottostante conca, guado il torrente e affronto un sentiero a mezzacosta a tratti sassoso che scende nella valle che si affaccia sulla zona del Passo San Marco. Vedo la mia meta e mi sento tranquillo, ormai è fatta, non manca molto! Decido di deviare a destra per pendii erbosi fino ad una malga, lasciando il sentiero principale che è totalmente impraticabile con la MTB. Seguo una traccia tra i pascoli, che successivamente si trasforma in strada sterrata fino al lago artificiale di Valmora (1547 m), incrociando il vecchio tracciato dell'Alta Via Mercatorum. Con un ultimo sforzo raggiungo la storica Cantoniera di S. Marco, che nel Cinquecento assolse la funzione di ricovero per viandanti e mercanti in transito lungo la Via Priula. Sarebbe bello sfruttare questo punto di appoggio, soprattutto per il suo valore storico e culturale, ma non facendo attualmente servizio di pernottamento sono costretto a ripiegare sul vicino e più moderno rifugio Passo San Marco 2000 (1830 m).
2° giorno | Rif. Passo San Marco 2000 – Rif. Trona Soliva (43 km | 1950 m d+ | 5:30h)
La sveglia suona alle otto e dopo dieci minuti mi ritrovo in piedi e pronto per fare colazione. Oggi entrerò nel Parco delle Orobie Valtellinesi e andrò alla scoperta delle due Valli del Bitto, dove si produce il famoso formaggio valtellinese. La decisione di percorrere integralmente queste due valli perdendo inizialmente molto dislivello per poi riguadagnarlo tutto in salita nasce dal mio desiderio di pedalare lungo la storica Via Priula e di scoprire la valle dell'Homo Salvadego. La mattinata è frizzante, il cielo si presenta grigio e cupo ma sembra non essere così minaccioso da provocare precipitazioni. Inforco la bicicletta e salgo con calma verso il vicino Passo San Marco (1992 m), separato dal rifugio da soli due chilometri asfaltati. Giunto al grande ometto di pietra che segna il confine provinciale, mi affaccio sulla Valtellina, avvolta anch'essa da nubi alte. Questo valico, il più basso e agevole rispetto a tutti quelli presenti nella catena orobica occidentale, fu oggetto di interesse nell'ultimo decennio del Cinquecento da parte del podestà di Bergamo Alvise Priuli, che decise di porre le basi per la creazione di una via commerciale (Via Priula) attraverso le Orobie che consentisse ai mercanti di scambiare i prodotti tra i territori bergamaschi governati dalla Serenissima e i territori valtellinesi governati dai Grigioni bypassando i territori del Ducato di Milano il cui attraversamento avrebbe imposto il pagamento di onerosi dazi doganali. Lasciando alle spalle i ruderi di fabbricati militari e trincee risalenti alla Prima Guerra Mondiale facenti parte del sistema difensivo chiamato “Frontiera Nord” (che ancora oggi quasi tutti si ostinano a chiamarla erroneamente Linea Cadorna!), scendo nella Valle del Bitto di Albaredo lungo il vecchio tracciato della Via Priula, che in molti punti presenta ancora oggi il selciato originario. Inizialmente bisogna porre attenzione in quanto il selciato cinquecentesco non è liscio ed inoltre è costantemente avvolto da un velo d'acqua degli acquitrini circostanti. Successivamente le cose migliorano e si può scendere con più tranquillità lungo le “Scale d'Orta”, ovvero dei ripidi tornanti selciati ravvicinati che fanno perdere quota velocemente fino alla Casera d'Orta Vaga (1707 m). Qui si entra nel bosco e il tracciato, quasi interamente pedalabile e con pendenze accettabili, si avvicina al Dosso Chierico (1230 m), un gruppo di baite posizionate su uno stupendo poggio panoramico. Ora il sentiero si trasforma in strada sterrata, supero il ponticello sul torrente della valle Pedèna e salgo con fatica alla chiesa settecentesca dedicata alla Madonna delle Grazie (1157 m), posta sopra il paese di Albaredo per San Marco (898 m). Finalmente le nubi si sono dileguate lasciando il posto al cielo sereno. Superati i vicoli del paese mi accingo ad affrontare l'ultima parte di discesa, un bel sentiero selciato che si congiunge dopo qualche centinaio di metri alla vecchia strada di collegamento tra Morbegno e Albaredo, dall'ottimo fondo selciato e che ripercorre lo stesso tracciato della Via Priula. La vegetazione cambia, ora ci sono boschi di castagno – fonte di sostentamento delle genti locali fino a qualche decennio fa – e la calura comincia a farsi sentire. Raggiungo il tempietto votivo degli Alpini e in breve, su sentiero sconnesso e ripido, sono alle porte di Morbegno (262 m). In sostanza: una discesa bellissima, quasi tutta fuoristrada e con 1700 m di dislivello negativo! L'euforia è alle stelle e il pensiero di dover tornare a duemila metri di quota non mi turba affatto. Anzi, ora affronto con più leggerezza le difficoltà! Mi aspetta tanto asfalto ma io ho sempre avuto uno spirito votato al bitume, quindi salgo divertendomi. La salita si snoda nella Valle del Bitto di Gerola, parallela a quella appena affrontata in discesa e separata da essa dalla cresta che culmina al Pizzo Berro. Con passo costante e avvolto dagli ombrosi castagni raggiungo Sacco, paese che custodisce un piccolo gioiello: la raffigurazione pittorica dell'Homo Salvadego, affresco conservato in una vecchia abitazione ora divenuta museo ma che in un passato non troppo lontano fu utilizzata per le normali attività agricole quali stalla, fienile, essiccatoio per le castagne. Si entra più profondamente nella valle superando diversi paesi e pervenendo a Gerola Alta (1053 m), sede di un presidio slow – food per la vendita dei prodotti locali tra cui il famoso Bitto, formaggio prodotto con latte di vacca e di capra. Con uno sforzo non indifferente raggiungo la frazione Laveggiolo (1471 m), dove l'asfalto lascia spazio ad una strada sterrata. L'ultimo sforzo di giornata sarà quello di percorrere questi ultimi sei chilometri di salita per arrivare – esausti – al Rifugio Trona Soliva (1907 m), una vecchia casera ora convertita in rifugio.
3° giorno | Rif. Trona Soliva – Rif. Roccoli Lorla (36 km | 1500 m d+ | 4:30h)
Quest'oggi è prevista una tappa leggermente meno faticosa delle due precedenti, per cui decido di prendermela “comoda”. Lasciato il rifugio, collocato in un luogo eccezionalmente panoramico sulle vicine guglie orobiche, sul M. Disgrazia e sul Pizzo Bernina, mi dirigo verso la Bocchetta di Trona, valico posto a confine tra le province di Sondrio e Lecco. Devo accompagnare la MTB per circa 40 minuti, in quanto il sentiero in salita non è affatto pedalabile. Poco importa, così avrò modo di guardarmi intorno e osservare dal basso le vicine vette orobiche, alcune dalle forme più bizzarre e dai colori violacei tipici del Verrucano Lombardo e i due bacini artificiali (Trona, Inferno). Giungo al valico (2092 m) osservato da un gruppo di capre orobiche curiose, che però si lasciano immortalare in un fondale che comprende anche l'appuntito Pizzo Varrone. Ancora una volta vedo resti di strutture militari della Frontiera Nord, utilizzate anche in occasione della Resistenza, ma ciò che mi impressiona maggiormente è la pace che regna in questo luogo. Affacciandomi sulla Val Varrone scorgo in lontananza il Rif. Santa Rita e alcune tracce sterrate che conducono agli imbocchi delle ormai dismesse miniere di siderite. Il cielo terso mi permette di vedere persino i gruppi montuosi più significativi delle Alpi: il Rosa, il Mischabel e l'Oberland Bernese (quest'ultimo sede del ghiacciaio dell'Aletsch)! Dopo una pausa durata circa un'ora scendo in Val Varrone pedalando lungo la vecchia mulattiera militare della Grande Guerra: inizialmente si presenta tortuosa e ridotta perlopiù a sentiero, ma proseguendo si allarga intuendone anche le sue caratteristiche costruttive. Arrivo in un grande pianoro erboso dove sorge il Rifugio Casera Vecchia di Varrone (1675 m), luogo ideale per un pranzo e un riposino. Riparto ma so già cosa mi aspetta: una sterrata poco invitante, con alcuni passaggi ripidi e decisamente smossi. Mettiamoci il cuore in pace, non sarà un gran divertimento ma almeno lungo questa prima parte che permette di superare il gradone roccioso della valle avrò la fortuna di ammirare una bella cascatella – la Cascata del Dente – per poi proseguire con maggior facilità verso gli Alpeggi Casarsa e Forno. Il pannello descrittivo che si trova alla Bocchetta di Trona cita tale percorso storico con tre nomi differenti in base agli eventi cronologici: prima si chiamava Strada del Ferro, poi Strada di Maria Teresa e solo successivamente venne adattata a mulattiera militare, trasformando la sua vocazione da mineraria a bellica. Dopo una decina di chilometri di discesa giungo nei pressi di Premana, paese noto per la fabbricazione di lame e coltelli. Ed ora mi aspetta la salita al Monte Legnoncino! Proseguo su una bella strada asfaltata nel bosco, poco trafficata e a picco sulla profonda incisione della valle, superando alcuni paeselli fino a raggiungere Tremenico dopo un paio di faticosi saliscendi. Da qui vedo bene il M. Legnone e il più basso M. Legnoncino, che comunque si trova mille metri sopra la mia testa! Affronto con calma i primi facili tornanti e dopo il bar Capriolo la visione di una rampa propriamente detta quasi mi sconforta; ma affronto pure quella ed ho pure la fortuna che dopo qualche centinaio di metri le pendenze ritornano più facili. La vegetazione cambia e l'ambiente diventa più bello. Supero Lavadée con i suoi larici monumentali e raggiungo il Rif. Roccoli Lorla (1463 m), punto di partenza della strada sterrata ex militare del Monte Legnoncino. La sterrata è lunga solo un paio di chilometri e copre un dislivello di circa 250 metri; la stanchezza si fa sentire ma al contempo la voglia di arrivare in cima è tanta. A pochi metri dalla vetta si erge la chiesina di San Sfirio e delle postazioni in caverna recuperate a scopi turistici e didattici. Panorami serali incredibili dai 1714 m di quota sul Lago di Como, sul Monte San Primo, sui Monti Lariani, sul Pian di Spagna e sulle vette granitiche della Valle dei Ratti; che dire, oggi la vetta è tutta per me! Ho poca voglia di scendere ma quando comincio a sentire un leggero brontolìo allo stomaco capisco che è giunto il momento di fare quei due chilometri in discesa per rifugiarmi al Roccoli Lorla!
4° giorno | Rif. Roccoli Lorla – Rif. Dordona (73 km | 1950 m d+ | 6:30h)
La giornata più temuta è arrivata! Infatti durante la pianificazione di questo giro ad anello avevo identificato questa come la giornata più faticosa, sia per le sue caratteristiche sia per la stanchezza che avrei sicuramente accumulato dopo i primi tre giorni. Ma non sto gareggiando e non mi trovo qui neppure per battere il record del mio vicino di casa (citazione dell'autore); sono qui per divertirmi, consapevole delle mie forze e di come gestirle... o almeno spero! Questa mattina parto presto, verso le otto, perché tra le mille cose da fare voglio andare alla scoperta delle innumerevoli tracce belliche della Frontiera Nord presenti lungo la prima parte del percorso, che sicuramente mi faranno “perdere” un po' di tempo...tempo che chiaramente sfrutterò al meglio! Aggiro il piccolo laghetto nei pressi del rifugio e intraprendo il “Sentiero dei Soldati” – che fa parte del lungo tracciato denominato Dorsale Orobica Lecchese – che conduce al rifugio Bellano aggirando il M. Legnoncino sul suo versante settentrionale. Dopo pochi minuti di facile sentiero raggiungo le opere in caverna di Cà Crosìn, costituite da postazioni con osservatorio. Proseguendo, il sentiero comincia a diventare insidioso e in certi tratti roccioso e difficilmente pedalabile. Superato questo settore, costellato da trincee semi – invase dalla vegetazione ma perfettamente riconoscibili nella loro configurazione, si raggiunge un'ampia radura che ospita il rifugio Bellano, il sottostante Roccolo d'Artesso e l'omonimo laghetto nonché diverse postazioni blindate. Superata l'area picnic adiacente al laghetto, comincia una strada asfaltata che scende verso Sueglio con tanti tornanti; la si prende sino ad intercettare sulla destra una sterrata segnalata da un pannello didattico relativo alla Frontiera Nord. Seguo questa stradina che in seguito diventa un bel sentiero in discesa perfettamente ciclabile. Giunto ad una piccola santella (località La Croce) mi collego ad una strada sterrata che in salita e nel fitto bosco porta al Santuario della Madonna della Pietà di Bondo. Proseguo lungo la salita pedalando a fianco di diverse piante secolari giungendo alle bellissime baite di Monte Piazzo (751 m), poste in posizione panoramica su Colico e la parte più settentrionale del lago di Como. Immerso nel bosco comincio a scendere lungo una divertente sterrata/cementata non eccessivamente ripida che si snoda tra vecchi nuclei rurali, innestandomi successivamente sul Sentiero del Viandante sino a Posallo (436 m), borgo alle porte di Colico (218 m). Dopo questa prima parte molto divertente e variegata è giusto fermarsi sulle sponde del lago per rilassarsi un po'. Ora si prosegue sul Sentiero Valtellina per circa 35 km, un percorso totalmente pianeggiante e in sede propria che costeggia il fiume Adda, sterrato nei primi due chilometri e poi asfaltato fino all'abitato di Fusine (285 m), porta di accesso alla Val Madre. Pedalo con agilità e per fortuna con un leggero vento a favore che mi agevola la progressione, anche se dopo Morbegno comincio a percepire un pochino di affaticamento nelle gambe. Del resto pedalare a 250 m di quota in pieno agosto, col sole battente e in una valle – la bassa Valtellina – che è in grado di accumulare calore come in un catino, renderebbe le cose difficili a chiunque. Mi fermo a Fusine per riposare ed alimentarmi bene in funzione della lunghissima salita finale che ora mi aspetta. La strada asfaltata che sale in Val Madre, che si sviluppa all'interno di un fitto bosco e attraversa bellissimi borghi posti in luoghi panoramici sulle montagne dirimpettaie e sul solco vallivo sottostante, si contorce tra molteplici tornanti per circa 8 km superando un dislivello di 800 m; una salita decisamente impegnativa, da prendere con la dovuta calma. Più volte la strada interseca la mulattiera della Val Madre, unica via di accesso alla valle quando ancora non esisteva questa via carrozzabile. A Dosso di Sopra la strada entra decisamente nella valle con un tratto a mezzacosta pianeggiante fino al piccolo paese di poche anime che dà il nome alla valle stessa (1184 m). Poco oltre la strada diventa a fondo naturale con tratti cementati e richiede impegno nell'affrontarla. Ora le gambe sono quelle che sono ed è giunto il momento di stringere i denti e gestire le poche forze in corpo, salendo molto piano e con regolarità. La valle è molto selvaggia e chiusa e non ti permette di vedere la sua fine; in poche parole non è molto invitante... me la aspettavo diversamente! Solamente dopo qualche rampa cementata si supera il gradone roccioso che introduce alla testata della valle, che finalmente si apre dandomi la possibilità di vedere il Rifugio Dordona (1935 m) e di ammirare le montagne illuminate dagli ultimi raggi del sole.
5° giorno | Rif. Dordona - Bergamo (66 km | 850 m d+ | 4h)
Dopo un'ottima cena, un sonno profondissimo e una sveglia impostata su un orario da pensionati (anche se i pensionati si svegliano quasi sempre molto presto!), decido che oggi me la prenderò con comodo! Del resto è l'ultimo giorno e ci solo solo due chilometri di salita, poi tutta discesa e pianura fino a Bergamo. Saluto Jessica, la simpatica rifugista che ieri sera ha visto entrare in rifugio un tizio vestito da ciclista talmente stravolto da non riuscire neanche a comporre una frase di senso compiuto e salgo verso il vicino Passo di Dordona (2061 m), situato tra il M. Cadelle e il M. Toro. Salendo su questo sterrato mi stupisco di come il mio fisico stia reagendo bene alle enormi fatiche di ieri, e proprio in questi istanti di lucida follia decido di improvvisare un'altra salita, l'ultima prima del rientro. Ma prima devo visitare il dedalo di trincee e di cunicoli della Prima Guerra presenti al passo, dare l'ultimo saluto alla Valtellina e quindi rientrare definitivamente nella provincia di Bergamo. Dopo un paio di chilometri in discesa su sterrato dissestato decido di svoltare a sinistra seguendo un sentiero a mezzacosta in gran parte ciclabile che conduce alle piste da sci di Foppolo. Raggiunto il rifugio Montebello proseguo verso il Lago Moro, su sterrato che progressivamente aumenta di pendenza diventando sempre più dissestato, tale da impedirne la ciclabilità. Dopo qualche minuto a piedi raggiungo la conca che ospita questo bel laghetto (2235 m) sovrastato dalla mole del Corno Stella alto 2621 m. Ora posso dire con tutta sincerità che la salita è davvero terminata! Pranzo sulle sponde del lago, di fronte al Passo di Valcervia, e scendo verso la conca di Carisole seguendo lo sterrato di servizio delle piste da sci del comprensorio Foppolo – Carona. Giunto al rifugio Terrerosse scendo a Carona lungo un ripido, tortuoso, sassosissimo sterrato per nulla divertente. Mi riaggancio al percorso di rientro ai Rifugi Calvi e Longo e proseguo su asfalto facendo il periplo del lago di Carona (1116 m) e scendendo a Bergamo lungo la strada provinciale e la pista ciclabile già affrontate nella prima giornata di questo entusiasmante viaggio in MTB tra le montagne orobiche.
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Leo
ITA - Cicloviaggiatore lento con il pallino per la scrittura e la fotografia. Se non è in viaggio ama perdersi lungo i mille sentieri che solcano le splendide montagne del suo Trentino e dei dintorni del lago d'Iseo dove abita. Sia a piedi che in mountain bike. Eterno Peter Pan che ama realizzare i propri sogni senza lasciarli per troppo tempo nel cassetto, ha dedicato e dedica gran parte della vita al cicloturismo viaggiando in Europa, Asia, Sud America e Africa con Vero, compagna di viaggio e di vita e Nala.
EN - Slow cycle traveler with a passion for writing and photography. If he is not traveling, he loves to get lost along the thousands of paths that cross the splendid mountains of his Trentino and the surroundings of Lake Iseo where he lives. Both on foot and by mountain bike. Eternal Peter Pan who loves realizing his dreams without leaving them in the drawer for too long, has dedicated and dedicates a large part of his life to bicycle touring in Europe, Asia, South America and Africa with Vero, travel and life partner and Nala.
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico