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A.I.D.A. Alta Italia Da Attraversare: il Nord Italia da Est a Ovest in bici
L’AIDA è una ciclovia relativamente recente che parte dal Moncenisio, al confine con la Francia, e termina a Trieste, al confine con la Slovenia. Segue prevalentemente piste ciclabili già esistenti e stradine a basso traffico collegando tutte le maggiori città del Nord Italia e promuovendo la mobilità ciclistica non solo per piacere, ma intesa anche come spostamento quotidiano. Tutto, o quasi, quello che c’è da sapere sull’AIDA si trova sul sito dedicato e sull’app apposita per smartphone, ma…
Dati tecnici
Ciclovia Aida: da Trieste al Moncenisio in bici
Partenza/Arrivo | Trieste/Moncenisio |
Tempo | 11 giorni |
Dislivello |
4100 m circa
|
Lunghezza |
900 km circa (senza errori) + 25 km dal lago d'Arpon al Moncenisio e discesa su Susa
|
Tipologia di fondo: |
65% asfalto
35% sterrato
|
Bici consigliata: |
MTB
Bici da viaggio
Adventure bike
|
Difficoltà | |
Panorama |
In questo articolo
Ciclovia Aida, la partenza
Il periodo e il mio morale non sono tra i migliori e, come Emilio Rigatti insegna nel suo libro “Ichnusa”, sento che la medicina giusta è una fuga in bici. Attingere a uno dei tanti sogni che ho nel cassetto, progettati con entusiasmo, curiosità e allegria, mi sembra uno spreco, un insulto e in contrasto con il mio attuale entusiasmo ai minimi storici. Così mi lascio attrarre quasi per ripiego dall’AIDA che spero rappresenti per me l’Ichnusa Rigattiana.
Quando leggo che una ciclovia, come in questo caso l’AIDA, va da… a… mi viene spontaneo pensare: “Ma perché? In senso contrario non si può? Perché deve avere un senso?”. Quindi diventa ovvio per me, anche per comodità logistica, partire da Trieste per raggiungere in salita il Moncenisio seguendo le indicazioni al contrario.
Trieste è facilmente raggiungibile in treno e le prime indicazioni della ciclovia si trovano già nel giardino di Piazza della Libertà, proprio di fronte alla stazione e sui pali della segnaletica stradale all’inizio della S.S.14 che porta a Monfalcone. Fortunatamente chi l’ha progettata e segnalata ha pensato bene (ma sarà veramente così?), uno dei pochi casi italiani, di apporre una segnaletica bi-valente: bollino adesivo rosso con freccia bianca e, per non sbagliare, anche la scritta Trieste per una direzione; bollino adesivo bianco con freccia rossa e la scritta Moncenisio per l’altra. Tra le frecce messe nei punti di svolta si trovano anche delle segnalazioni rettangolari bianche-rosse con la scritta e il logo dell’AIDA. Impossibile sbagliare. Alla vista delle indicazioni subito ben posizionate, il mio morale da 0 raggiunge quota 1 e pedalo un po’ più leggero… o meno pesante!
Erano anni che non affrontavo un viaggio in solitaria e partire con il “pedale” giusto aiuta a ritrovare certe sensazioni dimenticate. La bella costiera triestina fila via veloce nella luce mattutina, ma meriterebbe di essere percorsa alla sera con un bel sole che tramonta sul golfo di Trieste. A Monfalcone manca qualche indicazione ma ci sono ciclabili che portano a Ronchi dei Legionari dove, al passaggio a livello per Doberdò del Lago, si ritrova la segnaletica della ciclovia AIDA. Per stradine secondarie si passa sotto al Sacrario Militare di Redipuglia dove parte della ciclabile è in costruzione ed è attualmente impraticabile. Dopo le belle Gradisca d’Isonzo e Cormons si percorre un tratto della ciclabile FVG3 e poi FVG1-Alpe Adria fino a Udine. Come a Monfalcone, anche a Udine manca qualche segnale e faccio fatica a ritrovare l’uscita dalla città che mi porta ad attraversare campagne e borghi rurali fino alla famosa Villa Manin di Passariano. Comodamente si raggiungono le sponde del fiume Tagliamento che si oltrepassa sul trafficato ponte della Delizia per proseguire nelle campagne pordenonesi tra vigneti e zone industriali. Ciclabili cittadine permettono di arrivare in sicurezza a Pordenone ma le segnalazioni per uscirne sono difficilmente visibili. Le alture del Piancavallo e più avanti del Nevegal sorvegliano il mio pedalare. Dopo Sacile si pedala sulle sponde del Livenza passando per il parco di Villa Varda, che però è vietato alle bici, e la caratteristica Portobuffolè con la sua storica e tipica Casa Gaia. La ciclabile del Livenza è in costruzione e non sempre è percorribile. Dopo Ponte di Piave, cittadina poco distante da questo “Fiume Sacro alla Patria”, comincio ad avere dei dubbi sul tracciato della ciclovia.
Pedalando in Veneto
La traccia GPS ufficiale e le segnalazioni mi fanno percorrere una lunga ciclabile che affianca una strada trafficatissima mentre le mappe opterebbero per un percorso più interno su strade secondarie. Finalmente si abbandona la S.R.53-Postumia e per belle stradine si raggiunge Treviso quasi con facilità. A uscirne è il solito problema: le segnalazioni si perdono e ci si dovrebbe dirigere all’inizio della bella ciclabile del Sile. Dato che quel percorso ciclabile l’ho già percorso, mi dirigo all’inizio della ciclabile Treviso-Ostiglia che viene considerata una variante all’AIDA. Sicuramente sarà uno dei più bei tratti di tutta la mia traversata est-ovest del nord Italia. Gradualmente le alture delle Prealpi sfumano distanti nella foschia e tutto diventa piatto e desolato fino all’apparire in lontananza dei rilievi dei Colli Euganei e dei Monti Berici. Certo che a pedalare in pianura si fa meno fatica, ma essere circondato da rilievi che movimentano il panorama e gratificano la vista, diventa più piacevole. La ciclabile Treviso-Ostiglia è stata ricavata sul tracciato di una vecchia ferrovia ed è un lunghissimo rettilineo che si infila in un continuo tunnel frondoso. La giornata è molto calda per questo fine settembre anomalo, ma immerso in questa ombra sto bene. Con una breve deviazione raggiungo Piazzola sul Brenta con la sua bella Villa Contarini e l’Anfiteatro Camerini.
Verso Grisignano di Zocco la ciclabile è in costruzione ma oramai ho incrociato e ritrovato le segnalazioni e il percorso dell’AIDA che mi porta a Vicenza zigzagando da una parte all’altra del fiume Bacchiglione.Anche Vicenza non mi vuol lasciare andare e faccio fatica e trovare il percorso che mi dovrebbe portare a Verona. Brutte statali e zone industriali e qualche bel tratto leggermente ondulato nella periferia di paesini mi fanno arrivare a Soave, cittadina medievale sovrastata dalle mura del suo castello. In un piacevole tratto tra vigneti di moscato trovo un ciclista entusiasta che mi ferma e mi “invita” ad approfittare di questa gustosa e pregiata uva come se i vigneti fossero suoi! Tra un grappolo e qualche consiglio mi accorgo di aver sbagliato e devo tornare indietro. Indicazioni non ce ne sono e la traccia GPS mi manda attraverso una proprietà privata dove stanno vendemmiando. Mah! Timidamente mi inoltro tra trattori e vendemmiatori che mi salutano, ma nessuno mi scaccia. I dubbi sul tracciato aumentano. Anche a Verona ci si arriva in modo indolore nonostante il traffico. Da Sommacampagna inizia un altro dei tratti per me più belli. Non ci sono ciclabili e le stradine secondarie, anche sterrate, regalano un po’ più di serenità e piacere nella pedalata oltre a panorami attraenti. Si passa il Mincio e si incrocia la sua famosa ciclabile che collega Mantova a Peschiera del Garda.
Dal lago di Garda... la Lombardia
Un percorso ondulato porta oltre Desenzano in vista del Lago di Garda e continua piacevolmente fino a Molinetto dove si inizia purtroppo a respirare traffico e aria di città. La ciclabile è ancora piacevole, anche se sovrastata dalle brutte cave che hanno ferito e rosicchiato le montagne incombenti. Si entra agevolmente a Brescia, nel suo tranquillo centro storico. Anche Brescia non ti molla! Sembra che tutte le città siano enormi bocche che ingurgitano e tritano i cicloturisti e difficilmente li risputano lasciandoli proseguire indenni.
Da qui in poi, fino a Groppello all’Adda non troverò più nessuna indicazione! Tra la moltitudine di possibilità su strade secondarie e viottoli sterrati devo ricorrere al GPS per non perdermi e comunque alle volte, per disattenzione, mi perdo ugualmente. Il percorso non è per nulla logico fin quando non si percorrono lunghi argini di corsi d’acqua e canali. Lungo l’alzaia del Naviglio di Martesana raggiungo, direi facilmente, Milano e ne vengo triturato anche meglio delle città precedenti.
I grattacieli rilucenti al sole sembrano lame che incombono su di me quasi a volermi accoltellare alle spalle.
Voglio fuggire veloce ma ovviamente le segnalazioni svaniscono nel nulla, anzi da qui al Moncenisio non ce ne saranno proprio più. Mi affido al GPS ma devo fermarmi spesso: o guardo il traffico e i semafori o guardo il navigatore.
A essere in compagnia in questi casi ci si aiuta, uno guarda il GPS e l’altro il traffico e soprattutto ci si incoraggia l’un l’altro. Poi, come sempre in questi casi, mi chiedo: “Come mai sono finito qui?” – proprio io che sono allergico a città, traffico, caos e moltitudine di gente! - “Ma chi me l’ha fatto fare?”.
Mi sembra di scontare una pena per qualche delitto che ho commesso a mia insaputa! Dopo due ore riesco a sfuggire ai molari milanesi e a fare una breve sosta a Rho per ritrovare concentrazione e serenità. Per belle campagne e canali raggiungo l’interminabile Canale Villoresi lungo le cui sponde scorrono sicure e tranquille ciclabili spesso sterrate. Poco distante da Castano Primo mi si rompe la ruota libera, che libera non è più e non posso continuare altrimenti rischio anche la rottura della catena e del cambio. Per fortuna a Castano Primo c’è il negozio/officina Bortolami che riesce a risolvermi professionalmente, con gentilezza e cortesia, il problema in un paio d’ore. Mentre aspetto dopo le prime parole del meccanico: “Niente da fare, devo ordinare la ruota libera e ci vorranno giorni…”, non so se essere incazzato, triste, deluso oppure contento e sollevato per aver trovato la scusa per tornare a casa! Devo confessare che fin qua il percorso mi è piaciuto a tratti. Stressanti gli attraversamenti cittadini, molte zone industriali per niente remunerative, panorama prevalentemente piatto e desolante, sterrati attraverso boscaglie su tracce quasi invisibili in una continuità illogica e disorientante. Forse sarà la conseguenza del viaggiare da solo che, dopo tanto tempo, mi ha destabilizzato o forse sarà questo caldo appiccicoso anomalo che mi ha sfiancato, fatto è che mi sto divertendo meno di quello che pensavo.
Guasti meccanici e poi il Piemonte
“Bici pronta!”, mi dice il meccanico che ha trovato una ruota libera compatibile con il mio mozzo e cambio. Svaniscono i brutti pensieri e depressioni e mi rimetto a pedalare alla volta del fiume Ticino e Galliate. Le sponde del Canale Cavour mi portano facilmente a Novara e poi per piatte campagne raggiungo Vercelli. Inaspettatamente riesco ad attraversare le due città abbastanza facilmente, anche se la traccia GPS che seguo al contrario mi fa percorrere pericolosi e stretti sensi unici in contromano. Riprendo il Canale Cavour che mi porta al fiume Po e a Chivasso. Da queste parti tutto è Cavour: vie, piazze, statue, parchi e canali! Lungo le sponde del Po raggiungo Torino che forse è la più “umana” delle grosse città che l’AIDA attraversa. La Mole Antonelliana è bella soltanto da lontano. Già da un po’ i panorami sono cambiati e le montagne che movimentano l’orizzonte danno un senso al mio andare. In questo tratto decido definitivamente che la traccia GPS è del tutto illogica e addirittura controproducente per farci passare sopra una ciclovia.
Lunghi tratti tra campi semi allagati e presumibilmente sempre umidi, viottoli fangosi pieni di pozzanghere, tracce che spariscono in una boscaglia invalicabile mentre a poche centinaia di metri scorrono placide strade secondarie e statali scarsamente trafficate! Per evitare 500 metri di comodo asfalto si devono percorrere 3 chilometri di appiccicosa fanghiglia. Una tregua per superare i bei laghi di Avigliana e poi altri tratti al limite della praticabilità. Nel calcio avrebbero sospeso la partita! Trovo addirittura passaggi a livello definitivamente chiusi chissà da quanto tempo, forse chi ha pensato di far passare l’AIDA di lì non si è preoccupato di verificare il percorso. Finalmente raggiungo la bella Susa e ormai la meta è vicinissima. Tra le montagne mi sento a casa, pedalo bene e mi diverto. Passo la piccola ma pittoresca Venaus e da Novalesa inizio la salita al paese di Moncenisio. Una serie di ripidi tornanti che stimo dal 10% al 15% mi porta in pochi chilometri al solitario e lindo paesino. Proseguo sentendo la meta sempre più vicina ma scopro che la traccia si infila in una ripida mulattiera umida e terrosa. Incontro un cercatore di funghi che mi dice che più su è ancora più ripido. Basta! Desisto di fronte a queste stupidaggini. Come si può pensare di far passare dei cicloturisti con bici e borse da viaggio su percorsi impegnativi anche per MTB. Torno sui miei passi e per asfalto raggiungo la statale del Moncenisio e a Bar Cenisio mi accingo ad affrontare l’ultima salita fino al Lago d’Arpon e il confine francese. La salita è costantemente attorno al 10% e mi porta ai circa 1800 metri di quota, tra nuvole basse e un bel frescotto tonificante. Dal lago la strada diventa molto sconnessa, al limite della praticabilità con bici da viaggio e raggiungo il confine francese. Sul navigatore la traccia GPS finisce e qui finisce (o inizia) anche l’AIDA, proseguo un po’ oltre e mi ritrovo nel nulla. Tutto bello, tutto verde e tranquillo ma mi chiedo come e perché mai un cicloturista dovrebbe arrivare fin quassù per iniziare una ciclovia? Non sarebbe cicloturisticamente meglio iniziare dal vero Colle del Moncenisio? Comunque incuriosito ridiscendo a Bar Cenisio e percorro la strada statale fino al valico francese e in vista della Scala del Moncenisio. Nessun segnale nemmeno qua, solo segnavia della variante della Via Francigena della Val di Susa e altri sentieri locali. Il tempo si chiude e minaccia pioggia. Arrivo a Susa giusto in tempo per evitare la fitta pioggia. La mia AIDA termina qui. Faccio i biglietti del treno e rientro a casa con le idee confuse.
Riflessioni
Il sito e l’app ufficiali della ciclovia AIDA sono ben fatti ma futuristici. Descrivono quello che forse l’AIDA sarà tra 20 anni. Non capisco come mai una ciclovia promossa per incentivare gli spostamenti locali e il cicloturismo debba finire (o iniziare) a quasi 2000 metri di quota in un posto sperduto tra le montagne anziché a un passo o un colle facilmente raggiungibile con bici da viaggio. Non capisco come gli spostamenti locali potrebbero essere agevolati da sentieri solitari e fangosi e a volte immersi in una boscaglia tra i rovi, dove soltanto agili MTB potrebbero limitare rischi di cadute. L’AIDA è una somma di illogicità che a tratti mi hanno tolto il piacere della pedalata. Su circa 900 chilometri sono ben pochi, a mio avviso, i tratti veramente remunerativi che possono attirare i cicloturisti amanti della pedalata e della natura e uno di questi è la Treviso-Ostiglia che viene considerata “variante”. Ma queste sono soltanto considerazioni personali dovute forse al mio morale non proprio alle stelle.
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Sangioss
Ormai 60enne, acciaccato, ex alpinista, escursionista, cicloamatore da strada e da montagna, cicloturista e cicloviaggiatore. Assieme alla mia compagna Susanna, lavoro permettendo, passiamo parecchio tempo sui pedali e altrettanto a progettare escursioni e viaggi, a volte su percorsi classici e assai noti e altre volte improvvisando itinerari su strade secondarie poco conosciute. Spesso mi chiedo perchè lo faccio...e spesso mi rispondo semplicemente: perchè no!?
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