PS: se salendo vedi tanti ciclisti che scendono in MTB con selle mal regolate, in ciabatte o scarpe tipo running e vestiario strano, non devi temere che la vostra impresa venga sminuita: la maggior parte di loro è stata trasportata in auto sulla cima e si diverte a ridiscendere.
Inizia la seconda parte del viaggio in bici , il tratto che ci porterà a Manali, un tratto che si inoltra in
lande desolate e solitarie, in cui gli appoggi per la notte saranno in campi tendati con improbabili possibilità di comunicare attraverso il web. A tutt’oggi,
agli stranieri non può essere venduta una sim card indiana (che permetterebbe di usufruire di 2 Gb di dati al giorno), inoltre i gestori italiani offrono il roaming a tariffe proibitive. Le zone non sono coperte da segnale e solo per le emergenze si può ricorrere alle connessioni satellitari dei militari. L’uso del telefono privato satellitare, come diversi cartelli in strada lo rammentano, è proibito, pena la reclusione.
Il percorso si presenta impegnativo dal punto di vista fisico, data la presenza di passi ad alte quote, ma siamo ormai rodati e non ci spaventa. Partiamo da Leh verso mezzogiorno dopo le visite ai luoghi che hanno suscitato la nostra curiosità e, districandoci tra il traffico, iniziamo a discendere gradualmente fino ai 3200 metri del fondovalle. La sensazione di essere in
un'oasi nel deserto è ancora più netta osservando l'assenza di qualsiasi tipo di vegetazione nel paesaggio sabbioso circostante. È curioso che Leh, nonostante l’altitudine in cui è ubicata, venga raramente coperta di neve in inverno, grazie alle barriere montuose che la circondano, sebbene rimanga isolata per la
impercorribilità della "Highway Road" Srinagar - Manali. L'aeroporto della base militare ne garantisce i rifornimenti.
Come tutti i deserti sono notevoli le escursioni termiche tra notte e giorno e anche oggi non fa eccezione: il nostro ciclocomputer rileva punte di calore prossime ai 40 gradi. Nei consueti saliscendi, dove la velocità si riduce notevolmente, si soffre. Superiamo il monastero di Thiksey che si staglia altissimo in cima ad una montagna, quasi a dominare la valle, e poco più avanti in lontananza scorgiamo il monastero di Stakna. Qualche decina di chilometri dopo, la valle accoglie anche Hemis, il più grande dei monasteri del Ladakh, ma non riusciamo a scorgerlo. E non è oggi la giornata ideale per salire a vederlo.
Ci accontentiamo di aver visitato e dormito a Lamayuru. Nei pressi di Hemis e, più avanti ad Upshi, ci sono deviazioni per il
lago Pangong che sappiamo essere magnifico, ma per raggiungerlo in bici occorrerebbero
tre giorni di viaggio.
Decidiamo di rimanere nel progetto originario in direzione del
passo Tanglang, inoltrandoci in una gola che ci accompagnerà fino a
Lato per circa 30 chilometri. Gli scenari sono ora cambiati, le montagne dalla roccia color marrone intenso, seppur prive di vegetazione, danno la sensazione di aver abbandonato il deserto. La strada sale con le consuete pendenze e, grazie alle temperature più fresche, ci si ritrova ai 4200 di
Rumtse, l’ultimo villaggio in cui sappiamo trovare un riparo coperto per la notte prima dei campi tendati. Nessun Wi-Fi ovviamente nella "Homestay" che offre "room with attached bathroom" (con doccia!) perché la zona non è coperta da segnale e anche stanotte, sebbene la stanza sia carina, con tende colorate, materassi a terra ricoperti da morbidi tappeti e con la disponibilità di pesanti coperte, in assenza di lenzuola e di federe pulite, preferiamo il nostro caro saccoletto.
Tappa 7 | Rumtse - Pang
97 km |1320 m | 7h 14 min | 4544 m
La ragazza della Homestay che ieri sera ci ha servito la cena ha i lineamenti molto aggraziati, i capelli lunghi e castani ed è più alta della media delle donne del luogo. Questa mattina indossa una uniforme di colore verde e rosso bordeaux, pronta per andare a scuola, la High School. Ieri sera ci ha raccontato che da ottobre a marzo la zona, coperta da un metro di neve, poco permette oltre all’attesa del disgelo. Mi sono chiesto come le cambierà la vita quando a Leh frequenterà l'università e scoprirà internet e i social.
Ma veniamo a noi.
La tappa di oggi prevede il superamento del passo Tanglang a m. 5358. Nonostante la scelta di Rumtse sia stata fatta per essere più vicini al passo, la vetta dista 31 chilometri.
Il cielo è parzialmente nuvoloso e i landscapes non brillano in bellezza. Non resta che pedalare dosando le forze, dato il carico che trasportiamo. La vista delle
ali maestose di un’aquila che ci sorvola ci attenua per un’attimo la fatica. Quattro ore di concentrazione per controllare il respiro e tanta tenacia: questo il segreto per arrivare in cima. Va detto che la preparazione fisica è iniziata diversi mesi fa, personalmente mi sono allenato
sui monti casalinghi quasi ad ogni uscita. Per tutta la traversata himalayana assumiamo quotidianamente Diamox, il diuretico consigliato in forma preventiva per attenuare gli effetti del mal di montagna che, nella fase acuta, può rivelarsi molto pericoloso. Per saperne di più,
ti rimando ad una pagina web di Sergio Borroni, cicloviaggiatore e medico, che spiega scientificamente il processo.
Arrivare in vetta al passo è una soddisfazione, grazie alla calorosa accoglienza da “Giro d'Italia” dei presenti che esultano al nostro passaggio con battiti di mano, foto e “Bravo!”. Una piacevole sorpresa ci attende per la discesa: invece dello sterrato ci troviamo la strada appena asfaltata. Una gioia grande! Dopo la discesa inizia ľaltopiano che ci accompagnerà per tutto il resto del percorso.
Ad ogni pedalata, una meraviglia: la vallata che si trova a 4700 m mette a dura prova le nostre capacità fisiche, ma la sua bellezza illuminata dal sole è straordinaria. La valle è pressoché desertica, sabbiosa al centro, costellata di ciuffi d’erba ai lati e contornata da montagne imponenti. Così si procede per una quarantina di chilometri tra
accampamenti di pastori indaffarati con le loro greggi e animali selvatici in lontananza. Straordinario è l'incontro con un
Kiang, una specie di piccolo
cavallo selvatico che vive in branchi in questa vallata: attraversando la strada proprio davanti a noi, ci permette di fotografarlo. Gli ultimi chilometri diventano faticosi, oltre alla distanza tutta percorsa in quota, alla stanchezza per il passo si aggiunge un forte vento contrario che ci fa rallentare. Ormai siamo in vista della discesa che ci porterà a
Pang, nel cui campo tendato passeremo la notte. Non prima di rimanere meravigliati ancora una volta alla vista di un canyon che si para davanti e sotto di noi, le cui pareti alte e scoscese danno vita a formazioni spettacolari.
Tappa 8 | Pang - Sarchu
76 km |1082 m | 6h 23 min | 4346 m
Pang è un agglomerato di tendoni e di strutture murarie coi tetti in lamiera che ospitano dormitori e ristoranti. Ovviamente per definirli tali va usata una
scala di valutazione non europea e se non si è capaci di adattarsi è proprio meglio evitare di visitare simili zone. Pang e tutti gli altri villaggi della zona sono stagionali,
fioriscono a marzo e vengono abbandonati a settembre, seguono il flusso dei turisti e dei commerci.
A ottobre la prima neve costringe tutti a tornare nelle città, pastori compresi. La
Highway Road che parte da Sarchu in direzione Manali, pur essendo l'unica via di collegamento, assomiglia vagamente ad una strada e probabilmente è stata asfaltata fino a qualche anno fa, ma ora si è costretti a pedalare per 32 chilometri sul fondo sassoso al limite dell'impraticabile, richiedendo tanta pazienza ed equilibrio. Per i primi sette chilometri ci si muove in uno scenario particolare, con pareti sabbiose scoscese, da cui spuntano rocce verticali che ricordano i
comignoli delle fiabe.
Poi inizia la salita che per un breve tratto si snoda tra tornanti e curve cieche sul dirupo sottostante. La strada entra nella valle che si allarga seguendo il
corso del fiume Tsarap per 14 chilometri. Oggi sembra che si siano dati appuntamento bikers, camion militari e i soliti "Tata" per riversarci addosso così tanta polvere da ridurci
due macchie bianche semoventi. Il passo Lachung è posto a m. 5064, il cui superamento non fa più notizia, considerato il buon adattamento del nostro fisico. La discesa di 6 chilometri termina con un rigenerante
milk tea bevuto durante una breve sosta nel piccolo accampamento di tende. Si risale immediatamente per altri 4 chilometri fino al passo successivo, il Nakeela a m. 4738, dove finalmente inizia l'asfalto e si ridiscende per ben 22 chilometri. In tutta questa zona non sono presenti pastori né ci è capitato di vedere animali selvatici. Anche le foto sono diradate,
sembriamo quasi assuefatti alla vista di rocce e montagne. O forse la nostra preoccupazione è più rivolta a dei neri nuvoloni che sembrano minacciarci sempre più vicini.
Non faccio in tempo ad osservare che il
profumo umido e terroso della pioggia imminente si svela identico a quello delle nostre parti. In men che non si dica, ci troviamo nel bel mezzo del temporale e sotto la grandine. Siamo ormai nella pianura del fiume Tsarap, a una ventina di chilometri da Sarchu, luogo prescelto per la notte, ma la pioggia mette sempre a disagio chi si muove in bicicletta, le temperature scendono molto rapidamente (di colpo a 6°) e nella fretta di proteggersi dalla pioggia con gli abiti adeguati, non riusciamo ad indossare indumenti intimi più caldi. Se un acquazzone come quello descritto si abbattesse in cima a un passo da 5000 metri,
la discesa sarebbe a dir poco... congelante. Le previsioni promettevano bel tempo qualche giorno fa, per questo motivo e quasi a prevenire brutti incontri metereologici alle alte quote, ci siamo messi in marcia anzitempo, quasi scappando da Leh. A
Sarchu tutti i fabbricati sono in lamiera, pareti, tetto e toilette esterna. Preferisco non descriverne i particolari, ti lascio con la curiosità culinaria se il riso che mangeremo stasera sarà accompagnato da fagioli, ceci o lenticchie. Scherzi a parte, devo ammettere che ho sempre mangiato volentieri queste pietanze, così come i
momos (ravioloni di origine tibetana) e i
chapati (simili alle nostre piadine). Rifiuto solo le zuppe vegetali di colore biancastro: sono generalmente preparati Knorr!
Tappa 9 | Sarchu - Jispa
85 km |830 m | 6h 28 min | 3400 m
Il riso basmati della cena, oltre a uova strapazzate con verdure e chapati, è accompagnato da lenticchie e dall'immancabile black tea. Se il temporale al nostro arrivo a Sarchu ci ha messi in difficoltà,
la stellata spettacolare, senza alcuna fonte di luce inquinante, si rivela appagante. Il proprietario del locale, un ventiduenne di nome
Chamba, ci tiene compagnia. Vive a Chumikgyalsa, un paese al di là del fiume Bhaga, a pochi chilometri da Sarchu. Durante l'estate affitta le camere e prepara il cibo per i clienti. Si lamenta che i turisti indiani stanno diminuendo perché iniziano a viaggiare all'estero. Spera che fra un paio di anni arrivi la connessione per poter usare lo smartphone che già possiede. L'elettricità è assente, nel suo villaggio è attivo un impianto solare. C'è anche un dottore che cura con la medicina naturale. La sua famiglia alleva una mandria di 300 yak e cavalli, produce latte, formaggio e tappeti tessuti a mano. Ha studiato fino a 13 anni a Leh, dove ha alloggiato in ostello per tutto il tempo scolastico. È loquace e spiritoso.
La mattina seguente, prima di partire, ci regala del
formaggio secco di yak che gli ha portato la mamma da casa.
Sarchu è l'ultimo villaggio del Ladakh e, dopo il controllo passaporti, entriamo nel
Himachal Pradesh. Iniziamo a pedalare in un’accogliente vallata, contornata dalle solite e imponenti montagne, la strada risulta asfaltata eccetto le frequenti interruzioni per lavori. Tutto cambia appena inizia la salita, quando si fa disastrata, come già accaduto in altri passi. Lungo l’ascesa non abbiamo tempo di contemplare il panorama tanta è la concentrazione a rimanere in equilibrio. Dopo circa dieci chilometri troviamo le tende ristoro e poco dopo inizia finalmente l'asfalto che ci porterà al
passo Baralachala, a m 4850. A volte non procediamo a sinistra come da regola di circolazione, ma ci teniamo prudentemente a destra, dalla parte più sicura della montagna. I dirupi sono impressionanti e sono diversi i camion rotolati qualche centinaio di metri sotto. Del resto, corrono tutti sempre come pazzi e credo che preferiscano attaccarsi al clacson pur di non rallentare, anche se stanno percorrendo una strada di montagna monocorsia. È la prima volta dall'inizio del viaggio in bici che ci troviamo in mezzo a
montagne con ghiacciai e cime innevate, segno che sono più alte e che probabilmente la zona risente di maggiori precipitazioni nevose.
Siamo insomma usciti definitivamente dal deserto. Arrivati al passo, iniziamo una discesa interminabile, a parte qualche piccolo promontorio da superare, che ci porterà a
Jispa, dove passeremo la notte. Non si rivela una discesa rilassante. Il sole scompare e lascia il posto ad un forte vento contrario che ci costringe a pedalare spesso. Sono anche numerose le interruzioni per i fiumi che si riversano sull'asfalto, costringendoci a scendere e a trovare il punto migliore per non bagnarci le scarpe. Uno di questi si presenta come un
vero e proprio guado che superiamo indossando le ciabatte per proteggerci dai sassi. Inoltre nell'ultima parte della discesa troviamo un'interruzione per un gigantesco masso franato sulla strada,
la circolazione è bloccata per almeno due ore e una pala meccanica lavora per ripristinarla. Sono frequenti le frane in questa zona, dove enormi massi in bilico, avvolti da un terreno sabbioso e friabile, si distaccano provocando incidenti mortali.
Le due piccole biciclette, dopo una piccola contrattazione con i Policemen, hanno il permesso di superare i lavori di ripristino. Proseguiamo raddoppiando le attenzioni, non più solo al dirupo, ma anche in direzione della montagna, sperando che nulla rotoli verso di noi. Siamo quasi alla fine del nostro viaggio, a poche tappe da Manali. Ce lo rivela la vegetazione, siamo scesi così tanto di quota che l’erba è tornata a proteggere le montagne, insieme ad arbusti sempreverdi simili a Thuje, sempre più alte a mano a mano che si discende. Sono ricomparsi alberi a foglia caduca e iniziano le coltivazioni a terrazzamento. I pali dell'energia elettrica annunciano il ritorno alla civiltà. Notte a Jispa, villaggio stagionale vocato al turismo, che offre numerose soluzioni tra hotel, guesthouse e camping.
Tappa 10 | Jispa - Khoksar
66 km |940 m | 4h 51 min | 3200 m
Partenza in relax, la tappa odierna è breve e deve portarci al di sotto del
Rohtang pass, ľultimo sforzo prima della lunga discesa per Manali. La giornata nuvolosa e con poca luce non rende giustizia alla bellezza delle montagne, ormai sempre più verdi. Lentamente discendiamo
la valle del fiume Bhaga, anche se spesso la strada, seguendo il profilo della montagna, si inerpica in tratti brevi piuttosto ripidi, offrendoci la vista vertiginosa sugli strapiombi.
Di parapetti, ovviamente, non se ne parla, come del resto in tutto il percorso compiuto sinora; al posto della normale segnaletica stradale che avvisa delle interruzioni per lavori o per frane sulla carreggiata, vengono semplicemente posti cumuli di pietre a segnalare il pericolo. Dopo una trentina di chilometri, in località
Tandi, quando termina la valle, svoltiamo risalendo il corso del fiume Chandra.
I primi chilometri sono un po' inquietanti per la presenza di numerose zone della strada ricoperte da sassi precipitati dal monte. Non si vede alcuna messa in sicurezza con reti o altre protezioni e si procede cautamente, nonostante la presenza di enormi massi instabili, in bilico lungo la parete rocciosa, a malapena sorretti da altri più piccoli.
Un occhio al dirupo e uno al monte. A mano a mano che si risale il fiume si ha l'impressione di pedalare lungo una vallata alpina, circondata da montagne erbose con formazioni rocciose più in alto, cascate e ghiacciai sulle cime. A pochi chilometri da
Khoksar, al di là del fiume, osserviamo l'ingresso del tunnel in costruzione per Manali. Con il traforo,
il Rohtang pass perderà il fascino romantico del “percorso per duri" per raggiungere il Ladakh, tanto amato dai bikers, ma la vita delle valli più interne si arricchirà durante l'isolamento invernale. Chissà se i locali saranno tutti entusiasti dell’avvento della modernità! Siamo ormai a Khoksar. Nulla di interessante da segnalare se non la presenza di alcune homestay prima del ponte, che ci permetteranno di passare la notte di vigilia dell'ultima tappa.
Tappa 11 | Khoksar - Manali
Ultima tappa, fine del viaggio. C'è da scalare l'ultimo passo, il Rohtang. Facciamo colazione da
Dolma, la signora che gestisce la Dhaba presso cui anche ieri sera abbiamo cenato. È curiosa e ha voglia di comunicare. Ci racconta, in un inglese stentato, le sue peripezie per giungere al villaggio insieme al marito: tre giorni di pullman da Kathmandu. Non c'è lavoro in Nepal ed è venuta a trovarne in India durante la good season, lasciando a casa il figlio di dieci anni. Nei suoi racconti emerge la nostalgia della sua terra: Kathmandu è bella e grande, ha ricchi negozi, supermercati e un clima delizioso.
Abituato all'idea che gli indiani si spostassero a cercare lavoro in Europa, prendo atto dell'esistenza di questo movimento migratorio interno. C'è un po' di sole ed è un piacere pedalare. Siamo in compagnia, oltre che di tre cani randagi che ci hanno adottati come loro nuova famiglia, dei soliti Tata, bus e pulmini turistici. Abbiamo sicuramente le gambe provate da innumerevoli fatiche consumate in altura, ma questa salita, fra tutte quelle percorse, sembra essere la più dura, con pendenze che toccano spesso il 9%. Dopo circa 6 chilometri la strada diventa impraticabile e per 5
lottiamo tra fango, terreno sabbioso misto a sassi, in un inusuale
"sobbalza sopra la pietra e poi affonda nella sabbia". Tutto ormai si supera con la solita caparba tenacia. Salendo, è impossibile non notare il moto veloce delle nubi che giungono dalla vallata di Manali: sono basse, all'altezza del terreno e, spinte da un vento importante, prendono velocità e salgono in verticale. In cima al passo, a quota m. 3978, ci immergiamo nella nebbia. I tre cagnoni ci seguono in salita ormai da venti chilometri e il più dotato tra loro potrebbe stare tranquillamente al seguito di un cicloviaggiatore. Non possiamo far altro che salutarli prima di imboccare la discesa. C'è bisogno del fanale per aumentare la nostra visibilità e fino a che non usciamo dalle nubi non ci rendiamo conto della bellezza della nuova valle.
Gli strapiombi sono sempre i soliti, ma gli scenari cambiano e ci offrono nuove emozioni.
Domina il verde e a mano a mano che scendiamo la vegetazione è sempre più rigogliosa e offre la vista di innumerevoli essenze arboree. Sembra di attraversare un lussureggiante giardino botanico.
La catena himalayana inizia a declinare e si apre all’effetto dei monsoni, portando frequenti piogge.
Incontriamo le aquile: mai viste così tante volare insieme! Non sembrano disturbate e planano anche molto in basso permettendoci di filmarle. Una si posa su un masso a pochi metri da noi ed è un piacere guardarla appollaiata e poi mentre si libra in volo. Si scende per circa 2000 metri di quota e per cinquanta chilometri:
è la prima volta che percorro una discesa così lunga. Ci vorrà proprio un controllo dei freni una volta finita, ma credo che avverrà con più facilità al rientro in Italia. Siamo a Manali e il nostro compito, oltre all'attesa del trasferimento a Delhi, sarà quello di rilassarci visitando la cittadina, impacchettare le bici e godere della soddisfazione di aver portato a termine un viaggio che ha il sapore di un'impresa audace.
Informazioni utili
Abbiamo pedalato per circa 900 chilometri in 11 tappe, a cui abbiamo aggiunto i 74 chilometri dell'ascesa al passo Kardun La a quota m 5600 s.l.m. Il guadagno di quota complessivo, comprendendo la digressione appena citata, è di m 14.474. Sono dati importanti se li si colloca alle altitudini himalayane con un peso notevole della bicicletta.
Del resto l'incertezza su come vestirsi per proteggersi in caso di maltempo ad alte quote e la potenziale conseguenza di non riuscire a raggiungere un villaggio in cui rifugiarsi, costringe a portarsi una tenda e, insieme al resto occorrente, a sovraccaricarsi di peso. Alla fine di un tour come questo si è spossati. Va citata anche la capacità di adattamento all'India stessa. “Prima volta in India? Hai fatto dei buoni esercizi spirituali?” Bene, a questo punto riesco a comprendere l'essenza delle domande, anche se non sono certo di aver compreso l'India. Un viaggio in bici in mezzo a questo popolo non è un viaggio facile e non è sufficiente percorrere un migliaio di chilometri nello Jammu and Kashmir e nell’Himachal Pradesh per poterlo apprezzare. Il rischio è che vengano esaltati solo i difetti, così appariscenti agli occhi di un occidentale. Se durante questo viaggio si ricercano anche le comodità, allora è meglio non iniziarlo, perché tranne che a Srinagar, Leh e Manali, in cui si possono trovare standard di buon livello, nei villaggi che si incontrano durante il percorso è proprio impossibile ottenerne, soprattutto nella seconda parte dove spariscono elettricità e acqua corrente e dove viene consigliata una lista di medicinali di base da portarsi per le emergenze. Anche il cibo richiede una buona dose di adattamento ed evitando le pietanze più speziate si finisce lungo il percorso per mangiare monotonamente più o meno gli stessi piatti su base riso, vegetali e chapati. Nelle città, tra ristoranti che propongono cucine tipiche di altre regioni e street food, le offerte diventano numerose e con varianti appetitose, anche se il livello di attenzione elevato ne limita la scelta. Personalmente mi ritengo soddisfatto dal punto di vista alimentare, anche per non essere incappato nella fastidiosa dissenteria del viaggiatore, le precauzioni sono state sempre alte bevendo solo acqua in bottiglia ed evitando verdure fresche e tutto ciò che poteva aver avuto un contatto con acqua non bollita.
Purtroppo le minime norme igieniche non vengono rispettate e alla "prima volta in India" occorre adattarsi velocemente. Così come per i letti di certi "hotel" in cui coperte e cuscini non risultano rassicuranti da garantire un effettivo e meritato riposo alla fine di una faticosa giornata a pedali, se non ricorrendo al sacco letto personale. Insomma, o la odi dal primo istante o ti riservi di scoprire con calma le diverse e più profonde ragioni culturali, religiose e sociali, al fine di apprezzarne la vera essenza che agli occhi di un occidentale può sfuggire.
C'è una fotografia, scattata a Leh dall'amico di viaggio Emanuele, che mi ritrae mentre passeggio per una via con al fianco una piccola mucca, come fosse un cane da compagnia. Credo riassuma l'esperienza vissuta in questo cicloviaggio e traduca l'incontro dal punto di vista umano con situazioni culturali insolite e lontane dal nostro vissuto. Situazioni dense di grande dignità, di sorrisi sinceri e rispettosi, di incontro con pacifiche convivenze multireligiose. Un'immersione in un nuovo universo sensoriale costellato di immagini, odori, sapori, suoni e percezioni forti, capaci di produrre stimoli per future esperienze di viaggio e di generare il bisogno di non accontentarsi di un primo contatto superficiale, ma di creare le basi per una comprensione più intensa e approfondita della cultura del popolo indiano.
La preparazione del viaggio con le tante incognite legate a luoghi, clima, cultura e logistica ha richiesto la ricerca infaticabile di informazioni. Un grazie pertanto a Sergio Borroni per gli indispensabili suggerimenti da medico e cicloviaggiatore esperto; ad Antonio Santinello per le preziose indicazioni logistiche; ad Urvashi Srivastara, che dall’India nei mesi precedenti mi ha guidato alla conoscenza della cultura del suo paese; ai medici del Centro Vaccinazioni dell’Ospedale di Fano per la disponibilità e professionalità; al Green Bike di Fossombrone per la preparazione delle bici e la fornitura di materiali tecnici; ad Emanuele Battistelli, amico e cicloviaggiatore insostituibile.
Alla luce del viaggio effettuato (3/15 luglio) e delle tante incertezze che avevamo prima della partenza legate soprattutto al clima e alle location, mi sento di indicare i materiali che oggi porterei con me se dovessi ripartire, ai quali aggiungo alcune info sintetiche che spero risultino utili:
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico