Nell'intervista di oggi facciamo una chiacchierata con Francesco Cosentini, cicloviaggiatore che ha affrontato il suo percorso in Africa "Pole Pole". Quattro mesi, cinquemila chilometri pedalati alla giusta andatura: lentamente... come dice un proverbio swhaili da cui ha preso ispirazione Francesco per il suo viaggio in bici tra Tanzania e Malawi.
Poche difficoltà, tanti aneddoti e un libro da leggere per scoprire le sue avventure...
Il viaggio raccontato in Pole Pole è stato il tuo primo viaggio in bici?
Premetto che utilizzo la bicicletta quotidianamente, in particolare per andare a trovare amici, fare la spesa o sbrigare qualche commissione. Prima di questo “lungo” viaggio ho pedalato in Italia, in particolare fra Roma e Salerno, quando studiavo nella capitale, ma anche tour estivi in Campania, Puglia e Calabria con la mia ragazza: contagiarla e coinvolgerla è stata una piccola/grande soddisfazione.
Perché hai scelto l'Africa per questa avventura?
Ho avvertito il richiamo ancestrale di questa terra attraverso tutta la sua storia, dai germogli del presente alle radici più antiche. I libri e i documentari sull’Africa mi affascinavano e non vedevo l’ora di vivere la mia esperienza. Prima di compiere questo viaggio ho abitato in Tanzania un paio di anni, impegnato in progetti di cooperazione. L'idea è nata dal desiderio di esplorare le meraviglie di questa terra e comprenderne gli aspetti più critici. La conoscenza della lingua swahili mi ha dato possibilità di interagire in maniera diretta con le persone incontrate, sono partito molto sereno e soprattutto ho affrontato questa esperienza in maniera consapevole. Quando, finalmente, l'occasione è arrivata, il desiderio di scriverne e unirmi idealmente a quanti raccontano o hanno raccontato l'Africa, è sorto spontaneamente.
Perché hai scelto la bicicletta?
Ho fuso la passione per il viaggio con quella per la bicicletta, ho inseguito la sostenibilità, il fare delle mie energie e della propria volontà l'unico mezzo per progredire. Non ho cercato l'impresa né sentivo il bisogno di coprire l'itinerario in tempi da record, desideravo solo vivere le emozioni che il viaggio mi avrebbe regalato, assaporando attimo dopo attimo l'atmosfera africana.
Quali sono i principali vantaggi che ti ha dato viaggiare in bici?
Un viaggio in bicicletta prevede tante soste: a ognuna di esse è corrisposto un aneddoto o un ricordo che hanno arricchito il racconto di questa esperienza e il suo stesso significato. Un mezzo di trasporto più veloce, inevitabilmente, non avrebbe consentito di avere contatti diretti con la gente e di approfondire la conoscenza di una cultura differente dalla mia. Non avevo l’esigenza di raggiungere una meta precisa, ma piuttosto vivere il tragitto e la strada, per questo la bicicletta è un mezzo straordinario.
Quale percorso hai seguito?
Sono partito da Dar es Salaam, la città principale della Tanzania, ho pedalato lungo la costa fino al confine con il Mozambico per intraprendere la lunga pista che mi ha condotto alle sponde del lago Nyassa. Attraversato il lago, in modo a dir poco rocambolesco, sono giunto sulle sponde malawiane a Nkata Bay, ho proseguito verso nord rientrando in Tanzania, ho costeggiato il lago Tanganyika e poi il lago Vittoria, prima di dirigermi a sud fino al villaggio di Ilunda nella regione di Iringa.
Un percorso di 5.000km circa nell’arco di 4 mesi
Quali sono state le principali difficoltà incontrate nel tuo viaggio?
Fortunatamente è andato tutto per il verso giusto. Certo non sono mancati timori o momenti di sconforto, ma non ho avuto problemi di salute né seri problemi tecnici, fatta eccezione per le tante forature e piccoli imprevisti che fanno parte del gioco, comunque nel complesso nulla che abbia pregiudicato il proseguimento del viaggio. Qualcuno pensava sarei stato derubato, depredato o maltrattato, nulla di più sbagliato … le persone incontrate mi hanno sempre accolto nel migliore dei modi, sono stato ospitato e aiutato tutte le volte che ne ho avuto bisogno.
Sei anche tu rimasto contagiato dal "Mal d'Africa"?
Vedere l'africa in televisione non e' la stessa cosa che viverla in prima persona, da lontano tutto rimane distante e indefinito, mente “starci dentro” cambia radicalmente la prospettiva. Spesso sento dire che l’Africa cambia le persone, in realtà ritengo che ciò dipenda più dalla propria sensibilità. Diciamoci la verità, senza alcuna polemica o superbia, credo che parlare di “mal d’Africa” va anche un po’ di moda: è bello potersi legare in qualche modo a una terra così affascinante affermando di non poterne fare a meno. Rimango perplesso, quando ad avere il mal d’Africa sono quelle persone che vivono un’Africa “lontana dall’Africa”, magari sorseggiando champagne davanti ad una tavola imbandita con leccornie varie mentre ammirano gli elefanti al tramonto. Quando qualcuno mi chiede cosa mi porto dentro o cosa ho imparato in questi anni, più che qualcosa in particolare parlo piuttosto di un processo di crescita, attraverso la curiosità che stimola riflessioni e desiderio di comprendere e approfondire. Ho cercato di far tesoro di tutte le esperienze, di sgombrare la mente dai pregiudizi e assumere una posizione obiettiva e critica. Amare una terra per le sue infinite bellezze sarebbe troppo facile, io credo di amarla perché ne ho assaporato, nel mio piccolo, anche i frutti più amari e ho conosciuto aspetti meno positivi: questo sentimento vero e crudo è la cosa più preziosa del mio bagaglio, ed è quello che personalmente chiamo “mal d’Africa”.
Ci racconti l'episodio che ricordi con maggior affetto?
Devo dire, in sincerità, che ricordo diversi episodi con molto affetto, però una memoria speciale è per Jusufu: un bimbetto di 3-4 anni, vispo, spigliato e allegro. Quando ci siamo incontrati mi ha subito detto: «Io sono Jusufu, tu come ti chiami?» Fin qui, niente da ridire, se non che, durante la mia permanenza a Kilwa Masoko, anche più volte al giorno, ha continuato a ripetermi: «Io sono Jusufu, tu come ti chiami?» . Ho provato in tutti i modi a fargli ricordare il mio nome, ma niente da fare, ogni volta che voleva richiamare la mia attenzione diceva “mjomba” (termine spesso usato come intercalare, per rivolgersi a una persona più grande di età, letteralmente vuol dire “zio”).
L’ultimo giorno, però, l’ho fregato! La sera prima di partire l’ho atteso al varco: ci siamo incontrati davanti alla porta principale della guest house. Si è avvicinato piano, nascosto dalla penombra, finché la luce fioca della lampadina non gli ha illuminato il volto. L’ho guardato fisso negli occhi, ci siamo scrutati per un attimo, come avrebbero fatto due pistoleri alla resa dei conti, nel selvaggio West; poi, all’improvviso, prima che potesse aprir bocca, gli ho urlato:
«Io sono Jusufuuuu, tu come ti chiamiiiiii?»
E lui, incredulo: «Nooooooooo, io sono Jusufu!»
E io: «Io sono Jusufu, tu come ti chiami?»
«Noooo, io sono Jusufu… tu sei Fransisco!»
E mi è saltato addosso per abbracciarmi!
Il titolo del tuo libro è alquanto curioso, cosa significa Pole Pole?
Pole Pole vuol dire “piano piano”!
Per questo viaggio mi sono ispirato, ed ho fatto mio, un proverbio swahili molto conosciuto: pole pole ndio mwendo, vale a dire “piano piano è il giusto andamento!”
Dove possiamo trovare il tuo libro?
Il libro
Pole Pole – Pedalando in Tanzania e Malawi è acquistabile
on line su www.ilmiolibro.it, inoltre invito a visitare la pagina
www.facebook.com/polepoletanzania dove è possibile visionare gallerie fotografiche del viaggio, soddisfare curiosità, commentare e interagire direttamente con l’autore, nonché tenersi informati sulle serate di presentazione e date della mostra fotografica.
{phocagallery view=category|categoryid=558|limitstart=0|limitcount=0}
Ultimi commenti