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Turchia in bici: un inverno in libertandem (dal diario di una freddolosa)

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«E fu così che i nostri eroi ripartirono di buon ora dalla fattoria che li aveva ospitati per più di un mese. Era il 31 dicembre, e un vento gelido soffiava da est…indovinate in che direzione pedalavano i due?!? Con le estremità congelate, a testa bassa e senza spiccicare parola- insomma incazzati neri- si aggrappavano al tandem contro le sferzate d’aria siberiana che spiravano dall’altopiano anatolico. Ci misero tutto il giorno a percorrere i 30 km che li separavano dalla prima cittadina. Fortuna volle che, mentre cercavano un posto riparato dal vento dove montare la tenda dietro una moschea, un uomo impietosito li raccattò dalla strada per invitarli da lui. Era il guardiano di un complesso residenziale e abitava in un bilocale vuoto senza riscaldamento. I ciclisti stremati si infilarono nel sacco a pelo alle 7, e allo scoccare dell’anno nuovo dormivano profondamente sognando di spiagge tropicali…»

Sì, il viaggio è anche questo, passare il Capodanno pedalando contro vento! Ma la Turchia è perfetta per viaggiare, anche con il maltempo incombente e il malumore galoppante.

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La strada aiuta gli audaci

Durante le due settimane in bicicletta dalla regione di Cannakkale a nord alla città di Fethiye sulla costa sud, ci sono poche occasioni di campeggiare: basta che qualcuno ci sorprenda infreddoliti perché ci inviti a casa. Oltre a vecchi e nuovi amici di bici, siamo ospitati perfino da una coppia di ottantenni che vivono da soli in una caldissima casetta in riva al mare... È proprio vero che a volte basta mettersi in viaggio e la strada va incontro agli audaci con il suo ventaglio di incontri, emozioni e gradite sorprese.

Siamo così accolti con calore ed entusiasmo dall’ospitale e attiva comunità dei ciclisti di Izmir (Smirne), che ci aiuta a riparare il tandem, ci guida sulla bella pista ciclabile del Kordon, il lungomare, e ci accompagna (sempre pedalando) nei loro workshop di telai cargo e bici di legno per bambini – salutiamo il grande assente Paolo Pinzuti, cittadino onorario, che ovviamente era in Italia per le feste…non si può avere tutto nella vita!

Turchia in bici

Il combattimento dei cammelli

Ripartiti da Izmir sotto la pioggia, ci imbattiamo dopo pochi chilometri nel festival annuale del tradizionale combattimento di cammelli che si tiene nella cittadina di Menderes. Si tratta di un singolare sport nazionale, che si svolge tra chiassosi canti, balli e orchestrine, popolarissimi giri di scommesse, sospette grigliate di spiedini di cammello e le spettacolari sfilate dei gobbuti giganti dalle zampe dinoccolate addobbati a festa come altari induisti in un tripudio di stoffe sgargianti, perline colorate e fragorosi sonagli.

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Terme e cucina nazionale

Il bellissimo itinerario per strade di campagna e mulattiere battute che percorriamo da Soke ad Akyaka ci regala invece magnifici scorci di sperduti villaggi di pastori tra le colline boscose dell’interno e di ameni centri balneari sulle panoramiche scogliere della costa.

Non poteva mancare un bagno alle terme: vi giungiamo per caso deviando dalla strada principale per seguire una provinciale isolata tracciata lungo il frastagliato perimetro del lago di Köyceğiz, che ci conduce a Sultaniye, dove ricche e ribollenti sorgenti termali sgorgano in una serie di pozze fumanti e in un’affollata piscina pubblica proprio sulla riva del lago. Sul fiume che collega l’estremità meridionale del lago al mare non ci sono ponti, ma un barcaiolo spuntato giusto in tempo dai canneti ci offre un passaggio attraverso le acque impetuose del torrente in piena. Sull’altra sponda, l’incantevole borgo di Dalyan: il fiume che l’attraversa sfocia in una laguna salmastra delimitata da una lunga spiaggia sabbiosa dove depongono le uova le tartarughe caretta-caretta; le prime monumentali tombe licie scolpite nelle pareti di roccia sovrastano il corso d’acqua in uno spettacolare scenario naturale; dense macchie di boscaglia circondano il lago d’un verde abbraccio; e nel tranquillo paesino, nonostante il turismo stagionale, si può trovare un’istituzione come Comert, una tipica lokanta turca dove abbuffarsi di tutti i principali piatti nazionali per pochi euro.

Bisognerebbe aprire una parentesi per descrivere la cucina turca, che adesso che scriviamo dall’Iran, ci manca quasi come quella italiana. La Turchia, almeno quella parte che si affaccia sul mar Mediterraneo, è il paese ideale per gli amanti del self-catering, grazie ai suoi diffusi bazar ricchi di prodotti freschi e genuini provenienti dai villaggi, come yogurt, tahini e frutta secca di ogni tipo (dai pistacchi ai gelsi!), oltre a erbe selvatiche, frutta e ortaggi di stagione. In qualsiasi centro abitato, inoltre, si trovano le lokante, tavole calde molto economiche che servono cibo casalingo, come zuppa di lenticchie o di yogurt; bulgur o riso e fagioli; il manti, pasta ripiena condita con lo yogurt e la menta; involtini di foglie di vite o ortaggi ripieni; intingoli vari di sugo con fagiolini, melanzane o patate.

Turchia in bici

Vocabolario nuovo e influenza

Oltre ad aver approfittato di queste delizie, in questi giorni di pedalate invernali il nostro vocabolario di turco si è anche arricchito di termini nuovi: buz (ghiaccio); çamur (fango); rampa (che non ha bisogno di traduzioni!) La temperatura, infatti, è perennemente sottozero, l’acqua ci si congela in mano quando cuciniamo all’aperto, e passiamo qualche giornata a pedalare sotto la pioggia arrivando a Fethiye inzuppati fino al midollo. Così, dato che la perfetta sincronia del tandem non si smentisce neanche nella cattiva sorte, cadiamo entrambi preda di un’influenza epocale, che ci costringe a trascorrere una settimana tappati in casa tra brividi, febbre e colpi di tosse ospitati da una gentilissima warmshower iraniana…grazie Saina!

 
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La penisola licia ed il tepore invernale

Fethiye è tuttavia il posto ideale per rimettersi da una malattia. L’eccezionale ondata di freddo siberiano sfiora la cittadina per pochi giorni, e si esaurisce in un baleno nel solito tiepido gennaio soleggiato, che rifulge sui vivaci colori del bazar all’aperto, sui solenni profili delle tombe licie che dominano il panorama roccioso, sulle buffe movenze delle tartarughe che spuntano dalle siepi, sui sorrisi primaverili delle venditrici di narcisi e sul lieto vociare della gente che si riversa in frotte festanti a passeggiare lungo il mare e a mangiare per strada.

La penisola licia è senz’altro la nostra parte preferita della Turchia. L’abbiamo percorsa sia in bicicletta sia a piedi, lungo il magnifico sentiero denominato Lycian Way che collega Fethiye alla città di Antalya. L’itinerario in entrambi i casi si snoda attraverso variegati panorami mozzafiato, che spaziano dalle distese di ginepri e i pascoli d’alta quota disseminati di rifugi di pastori e villaggi di pietra sperduti tra le montagne, alle foreste di pini, corbezzoli e carrubi che si protendono a inverdire le scoscese valli che nascondono l’accesso a paradisiache baie smeraldine. Kate Klow, l’energica lady britannica che ha per prima mappato il trekking, ha camminato e studiato per anni in modo da includere tra le tappe toccate dal percorso sia gioielli naturalistici come il suggestivo canyon di Saklikent, le incantevoli spiagge della Kabak Valley e della Butterfly Valley e gli impressionanti fuochi perpetui di Chimera sul monte Olimpo (sorgenti sotterranee di gas naturale), sia tesori archeologici legati alla storia delle colonie greche dei Lici come il grandioso teatro di Patara, gli scenografici resti dell’acquedotto romano nei pressi di Kaş e le pittoresche rovine di Olympos.

Turchia in bici

 Di corsa nel gelo verso l'Iran

Da Antalya, città memorabile per le spettacolari cascate d’acqua dolce che si precipitano direttamente nel mare e per i vivaci bazar rionali, comincia la nostra corsa contro il tempo verso l’Iran. Il visto turco è in scadenza e il consolato iraniano più vicino al confine è a Erzurum, all’altra estremità della Turchia. Dobbiamo a malincuore abbandonare il tepore della costa mediterranea, e dopo un buco di 1000 km e 20 ore in un comodo ed economico autobus turco con tandem nella stiva, siamo catapultati di nuovo nella tundra ghiacciata: Erzurum, -20°C.

Raccolto il visto iraniano e passata l’ennesima tormenta di neve, non ci resta che affrontare i ghiacci. Attraversiamo così una zona particolare della Turchia, che sembra sfumare gradualmente nei paesaggi e nelle culture oltreconfine. A questa quota il territorio è brullo e spazzato da un vento gelido; per scaldarsi, gli abitanti dei villaggi privi di alberi seccano il letame in grossi rettangoli accatastati a piramide; nelle lokante i piatti vegetariani sono quasi scomparsi per lasciare posto all’onnipresente e nutriente brodo di pecora; all’etnia turca si sostituisce una maggioranza di Kurdi e Azeri, che oltre alla lingua completamente diversa sono contraddistinti da un’ospitalità spinta fino all’esagerazione. Sulla strada bambini e adulti rincorrono il tandem: non vogliono prenderci a sassate, come riportato da qualche viaggiatore, ma piuttosto salutarci, invitarci a casa e avere il piacere di ospitare degli stranieri. Soltanto a Dogubeyazit e al confine iraniano molti ragazzini diventano insistenti nel chiederci soldi; forse è la reazione alle grandi spedizioni di ricchi esploratori occidentali che vengono a scalare l’imponente Ararat.

Salutato l’inaccessibile picco innevato e superata un’incredibile fila di camion, facciamo il nostro ingresso trionfale in Iran.

 
 
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Godimundi

Siamo Alessandro e Stefania, godimundi per istinto, viaggiatori per vocazione, nomadi per scelta e necessità. Da sempre sogniamo di intraprendere questo viaggio in bici intorno al mondo, non solo perché sentiamo nel sangue il richiamo della strada e l’entusiasmo di conoscere la nostra vasta terra e la multiforme umanità che la abita, ma soprattutto per concretizzare e mettere a frutto la nostra passione per la natura e il nostro interesse per le tematiche ambientaliste