Finalmente si parte! Finalmente mica troppo, non sono proprio così contento di partire. Negli ultimi giorni ho dovuto rimandare più volte: volevo partire Sabato, poi mi sono reso conto che non ce l’avrei fatta, mancavano ancora tanti pezzi del carrello. Ho rimandato a Domenica, Sabato però ho capito che non ce l’avrei fatta neppure Domenica. Quindi ho rimandato a Lunedì mattina. Domenica sera però mi sono detto che tutto era... quasi pronto. Sono un po’ dubbioso, prima di partire c’è sempre una voce dentro di te che ti sveglia nel cuore della notte e ti dice: “Sei proprio sicuro, ma chi te lo fa fare? L’ha già fatta qualcuno una roba del genere, ma come ti è venuto in mente di partire con una Graziella?” “Non ti sembra di esagerare? Non stai facendo il passo più lungo della gamba? Ti sembra una cosa sensata?E se i freni si rompono e vai giù per un dirupo? E se ti grattugi contro un paracarro?”
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Una partenza... difficile!
Non posso rinunciare proprio adesso, non posso tirarmi indietro! Suona la sveglia, anzi, ti alzi prima che suoni perché ci sono ancora milioni di cose da fare. Lasci che il cervello ti dia solo le poche istruzioni da seguire, cosa ultimare, cosa devi ancora mettere in borsa.
Ti dice poi che devi fare la prima pedalata e guardare dritto davanti a te senza più pensare... A questo punto non sai se ci saranno dei problemi, ormai “Facciamo la guerra con i soldati che abbiamo”. Non ho mai capito a chi sia stata attribuita questa frase, sarà qualcuno famoso, ho una mezza idea di chi possa essere, ma non la dico...
Ti sei preparato, hai fatto e rifatto il carrello mille volte, hai caricato tutto, hai la bici così pesante che potrebbe gareggiare con un cingolato, hai la mente pronta, hai l’equipaggiamento e le conoscenze per affrontare la situazione. Ci sarà un imprevisto, ma parti anche per quello, sai bene che non partiresti se non ti aspettassi qualcosa di nuovo, se non cercassi le sorprese.
Sai che... affronterai i problemi, che potrà piovere, che potrai bucare una gomma, che potrà spezzarsi la catena, sfasciarsi il carrello, rompersi il telaio, svitarsi la ghiera del movimento centrale, gripparsi qualche sfera, staccarsi un pedale, spezzarsi un cavo dei freni...
Sai che potrà capitare di doverti portare a spalla tutta la ferraglia, sai che ti verranno i crampi, che spingerai la bici nel fango, che potresti essere colpito da un fulmine nel bel mezzo di un temporale, che ti farà male la schiena e che troverai il negozio chiuso il giorno in cui non avrai più niente da mangiare.
Sai che ti rideranno dietro, che ti strombazzeranno il clacson. Lo sai perché è già successo, ma andrai avanti comunque. Sai che starai attento a ogni buca per evitare che il carrello si ribalti, sai che ti fermerai al minimo rumore sospetto.
Sai che scruterai ovunque, che gli occhi controlleranno ogni direzione, sai che i tuoi nervi saranno tesi, che avrai le dita bloccate sui freni, che i tuoi piedi saranno pronti a piantarsi sull’asfalto per frenare. Sai che... Credo di aver chiarito le idee... Ti chiederanno ancora: “Cosa fai se piove?”.
E tu darai la stessa risposta delle altre volte:
“Metto la giacca e vado avanti.” Cosa vuoi che faccia? Perché tutti fanno sempre sta domanda? Non mi sembra una domanda intelligente.
Maria Gioia, da buona chimica, dice che “Non siamo solubili in acqua”. Dopo tutta l’acqua presa nei vari cammini ne se sono convinto anch’io: non mi sono ancora sciolto e neppure sono arrugginito... La pioggia non va temuta, non bisogna farne un dramma, è un’altra occasione da cogliere, non è altro che una diversa condizione. Si può dire che rompe la monotonia; pensate a un cammino di un paio di settimane tutto tranquillo, con il bel tempo, un tiepido sole, un clima temperato... non sarebbe noioso? La pioggia va gustata per quello che è! Acqua, semplicemente acqua. Mancano un paio di dettagli, prima di partire rivesto gli angoli del carrello con dei pezzi di vecchie camere d’aria, creo una specie di paraurti. Non tanto per proteggerlo dagli urti, non avrebbe molto senso, quanto per coprire gli spigoli vivi che potrebbero ferire qualcuno o danneggiare qualcosa. Non faranno miracoli, ma sono meglio che niente. Non ho messo il logo Goat, ma almeno una targa la devo avere, fisso il CD bianco con la scritta “NO OIL”.
Potrei mettere al carrello una bandiera per segnalarlo bene, perché gli autisti rischiano di non vederlo, soprattutto se sono molto vicini o sono in manovra. Solitamente si usa sulle bici recumbent, le bici reclinate, quelle in cui si pedala come se si fosse seduti in poltrona. Contrariamente a quanto si possa pensare, grazie a una buona aerodinamica e alla particolare impostazione, offrono buone prestazioni. Nelle bici normali la forza di spinta sui pedali viene contrastata dal peso del ciclista, ma in queste bici il ciclista si appoggia con la schiena alla poltroncina e tutta la forza che esprime sui pedali viene contrastata da una forza contro il telaio stesso, sul quale si appoggia la schiena.
Avete capito? Se non avete capito non fa niente, tanto costano un sacco di soldi e in Italia ne girano ben poche. Magari, prima o poi, proverò a costruirne una. No, provo a fare un altro esempio: perché ci si mette in piedi per fare più forza sui pedali? Non lo so, ma provo a formulare un’ipotesi. Forse per lo stesso motivo che citavo prima, perché quando si sta seduti l’unica forza che si oppone a quella dei piedi che spingono sui pedali è quella esercitata dal proprio peso, mentre quando si pedala in piedi si impugna meglio il manubrio e la forza che contrasta la spinta sui pedali è contrastata dal peso del proprio corpo e dal telaio che formano una sola cosa. Ora spero sia più chiaro. Più o meno...
Cosa mettere nel bagaglio secondo Girumin
Infilo un
gilet ad alta visibilità sulle aste di traino a spalla che stanno in verticale quando non le uso per trainare. Annodo anche al manubrio un pezzo di
tela di nylon arancione, anche questa, svolazzando, mi renderà più visibile. Non ha molto senso che preveda un lucchetto, però prima di partire nasce sempre il sospetto che manchi qualcosa. Quel dubbio che s’insinua, che arriva e tu vuoi scacciarlo, ti dici che hai tutto, ma il dubbio ti resta, ci pensi e ci ripensi, ripeti a memoria mille volte l’elenco delle cose che potrebbero servire e quelle che hai portato. Ipotizzi le situazioni, ti domandi se hai tutto per mangiare e pensi a cosa hai portato, ti chiedi: “Cosa serve per dormire?” e pensi a cosa hai messo nel bagaglio. Certo!
Viaggi in bici in Italia, puoi quindi comprare tutto quel che ti può servire, ma questa cosa non ti aiuta se quel che ti serve non ce l’hai nel momento giusto.
Non sono abbigliato come un ciclista serio, uno di quelli veri, ma non capisco perché dovrei comprare una maglietta con la coda e un paio di mutande imbottite con le scritte dei supermercati o dei mobilifici. Non mi pagano per farlo! Fatemi capire... io compro una cosa, la pago e poi la indosso facendo pubblicità a qualcuno. Una volta non erano gli sponsor a pagare chi gli faceva pubblicità, perché i ciclisti della domenica invece pagano per fare pubblicità? Chissà, magari un giorno cambierò idea. Porto
tre magliette, una rossa, una gialla e una verde acido. Di quelle
leggere supertraspiranti, superasciuganti, supertutto.
Sì, insomma, le magliette di plastica che quando le metti e cominci a sudare emetti un aroma di copertone bruciato dentro una discarica abusiva. Oggi va molto di moda il layering, ovvero il vestirsi a strati, detto all’italiana:
“a cipolla”. Anche se io non ho mai visto nessuno che quando fa un freddo cane va in giro con un solo maglione spesso tre centimetri. Da quando li hanno inventati si indossano una maglietta, una camicia, un maglione, un giubbotto o una giacca o un cappotto, più o meno facciamo tutti così. Cosa sono questi? Non sono forse strati??? Devo dire anche che una volta ho visto
un’interpretazione originale del concetto di layering, ero fra il pubblico in una conferenza di uno dei primi free climber negli anni ottanta. Il famoso scalatore indossava tre camicie una sopra l’altra. Forse qualche volta l’ho fatto anch’io. Era da poco passato il periodo in cui l’abbigliamento da montagna prevedeva la camicia di flanella scozzese a quadri, solitamente rossa, i pantaloni alla zuava di velluto a coste grosse, solitamente marroncini, e i calzettoni di lana rigorosamente rossi, in tinta con i lacci degli scarponi. In inverno si indossava la cuffia di lana con il pon-pon, il maglione era tinta unita con delle greche colorate che giravano attorno al collo. Sopra una certa età era previsto il bastone ricurvo:
il bastone del nonno.
In realtà il layering è una cosa seria, soprattutto quando si indossano capi specifici studiati per i vari strati. Questa cosa dell’equipaggiamento...
I consigli in merito all’equipaggiamento su manuali, siti internet o volantini delle località turistiche mi lasciano spesso dei dubbi. Fateci caso, tutti dicono sempre di portare l’essenziale, di non portare cose inutili, come se uno in montagna si portasse dietro la lavatrice, il frigo bar e l’idropulitrice, ma cosa credono che si porti la gente? Le solite cose, un panino, la borraccia e un paio di mutande se sta in giro più giorni! Solitamente i consigli non si fermano solo al “cosa non portare”, ti dicono anche cosa portare. Uno zaino adatto, un paio di scarponi robusti e una giacca a vento adatta al percorso... Ti viene il dubbio che manchi qualcosa, ma spesso preferisci tacere per non sembrare ignorante. Poco male perché alla fine dei suggerimenti ti danno il consiglio dei consigli. La soluzione alla quale tu non saresti mai arrivato, quella indicazione verso la quale solo un vero esperto ti può accompagnare tenendoti mano nella mano, aiutandoti a camminare con le tue gambe, insegnandoti a pescare invece di darti il pesce per mangiare... Quel consiglio tipico dei saggi d’oriente che ti sussurrano la strada verso la verità, verso la luce alla fine del tunnel, verso l’alba dopo una lunga notte, verso la calma dopo la tempesta, verso la quiete dopo la burrasca, verso il cielo sereno dopo la bufera. Volete sapere qual è il consiglio dei consigli? Non so se posso dirvelo perché si tratta di una cosa che si può dire solo a coloro che hanno anni di esperienza. Vabbé ve lo dico, il consiglio è... siete pronti? Tenetevi forte: “Rivolgetevi al vostro negoziante di fiducia!”. Dite la verità, un consiglio così utile, interessante e originale non ve lo sareste mai immaginato, mai ci sareste arrivati da soli...
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
Viaggio in bici con Graziella | L'idea Viaggio in bici con Graziella | Il nome Viaggio in bici con Graziella | I preparativi Viaggio in bici con Graziella | Bagaglio e partenza Viaggio in bici con Graziella | Da Lodi a Fiorenzuola Viaggio in bici con Graziella | Seguendo il Po Viaggio in bici con Graziella | Digressioni sulla Goat Viaggio in bici con Graziella | Nell'ostello di Sivizzano Viaggio in bici con Graziella | Storie di sterrati e discese impervie Viaggio in bici con Graziella | Dalla Cisa a Pontremoli Viaggio in bici con Graziella | Lo zen della camera d'aria Viaggio in bici con Graziella | Pietrasanta in bici dal mare Viaggio in bici con Graziella | Polvere e catena verso Lucca Viaggio in bici con Graziella | L'ultima fatica per il convento Viaggio in bici con Graziella | San Gimignano e Monteriggioni
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico