Appena mi muovo vedo che la gomma destra del carrello è sgonfia. Ieri si sgonfiava lentamente, l’ho gonfiata tre volte, forse non c’è un vero e proprio foro, forse è solo la valvola che perde leggermente. Siccome si tratta di una ruota del carrello non mi sono molto preoccupato perché porta poco peso, decisamente meno di quello che grava sulle ruote della bici. Se la valvola perde leggermente la camera d’aria si sgonfia lentamente e una bella rigonfiata può bastare. Diciamo che io e la bici assieme pesiamo almeno il quadruplo del carrello carico. Se fosse stata una gomma della bici ieri l’avrei cambiata subito, invece me n’ero anche dimenticato. Cerco un posto comodo vicino al fiume e mi fermo a cambiarla. Scarico il carrello, lo ribalto e smonto la ruota...
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Cambiare la camera d'aria: dilemma
In viaggio non riparo la camere d’aria, anzi non le riparo più le camera d’aria neppure a casa. Sono un consumista vittima della società consumistica! Oggi la camere d’aria costano poco e spesso la riparazione è un’operazione antieconomica, ci vuole tempo e pazienza e non sempre il risultato è garantito, spesso dopo aver fatto tutto il lavoro ti ritrovi con la toppa che non tiene. Oggi ci sono camere d’aria imperforabili che grazie a una grande elasticità avvolgono il chiodo e le spine senza lasciarsi perforare. Ci sono anche strisce in kevlar che vanno posizionate fra camera d’aria e pneumatico, in pratica impediscono ai chiodi di passare, un’altra idea sono i pneumatici rinforzati che meglio resistono alle perforazioni, ma non sono certo quelli super economici che compro io, sono prevalentemente di fascia alta.
Cambiare la camera d’aria ogni volta non è molto ecologico, ma ripararla mentre si è in viaggio apre tutta una panoramica di problemi e chi non ha vissuto il trauma di una simile esperienza non la può immaginare. La scelta della toppa adatta, la colla, i tempi di asciugatura. Tutte problematiche che oggi si potrebbero configurare in un saggio dal titolo: “Lo zen e l’arte e della riparazione della camera d’aria”. Visto che sono stati scritti libri con lo zen applicato a qualunque cosa. Magari però ci ha già pensato qualcun’altro.
Dicevamo... prima di tutto la toppa...
La vai a comprare già pronta oppure te la fai tu con le tue manine? Una volta nessuno comprava le toppe, si usavano le vecchie camere d’aria ritagliandole per bene, il problema era farle della dimensione adeguata, non troppo piccole, ma neppure troppo grandi, andavano anche arrotondati perfettamente gli spigoli. Mentre circumnavigavi la toppa con la forbice ci mettevi il massimo impegno per fare una forma decente, così ne uscivano delle spirali in cui, man mano che ritagliavi, non tornavi a incontrare il punto di inizio e quella che doveva essere una toppa diventava un coriandolo, oppure ne usciva una forma che si avvicinava più a un’opera d’arte moderna che a una cosa vagamente tondeggiante.
Dopo qualche esperimento e dopo avere capito che anche una toppa deve seguire delle regole e non può essere la sola espressione della tua creatività, decidevi di comprare delle toppe e qualcuna la tenevi di scorta, ma solo quando bucavi la volta successiva scoprivi che le toppe sono di varie dimensioni e tu avevi la toppa troppo piccola o troppo grande perché era una toppa da moto e non da bici.
Tempo fa le camere d’aria erano rosse, erano più elastiche e le toppe fatte di altre camera d’aria si appiccicavano meglio, ora, con quelle nere, l’operazione è più difficile e meno garantita. La gomma rossa era anche più adatta per fare le fionde, la gomma era più elastica e la fionda tirava meglio. Quando squarciavi la camera d’aria, oppure era ormai troppo rattoppata, oppure non avevi ne la capacità ne la voglia di rattopparla, decidevi di comprarne una nuova, ti dicevi che ne avresti comprata una nuova. Sapevi che si trattava di un’operazione costosa dell’appiccicamento di una toppa, ma ti volevi togliere la soddisfazione e risolvere il problema.
Dal ciclista...
Decidevi allora di andare dal ciclista e partivi. Aprivi la porta a vetri ed entravi con il sorriso sulle labbra, convinto di fare una buona cosa, convinto che, con facilità, avresti risolto il problema brillantemente, senza impastarti le dita di colla e senza dover fare delle opere di origami con una vecchia camera d’aria da ritagliare per ricavarne una toppa. Entravi e chiedevi una banalissima camera d’aria...
Il ciclista però sapeva già tutto, sapeva che tu eri convinto di farla franca, che eri sicuro di cavartela con poco, che eri certo di risolvere il problema semplicemente mettendo mano al portafoglio, con l’aria del “signore” che paga e delega ad altri la soluzione del suo problema. Lui però, dall’alto della sua esperienza, del vecchio artigiano che ne ha già viste di tutti i colori, che da quella situazione c’è già passato quando era un ragazzo e giovane di bottega, ti rispondeva con un sorriso smorzato, con quell’aria che sta a metà fra la sfida e il compatimento...
Va chiarita una cosa:
al ciclista non interessava vendere le bici, forse non gli interessava neppure ripararle, a lui interessava farle funzionare. (Non è vero che non gli interessava vendere, ma ai fini del racconto lasciatemelo dire.)
C’è una sottile differenza fra riparare e far funzionare: non sono la stessa cosa, sono concetti diversi. Al ciclista importava poco vendere le bici perché con le bici nuove non aveva nessun rapporto, si limitava eventualmente a disimballarle, assemblare qualche pezzo e metterle in esposizione. Non c’era un rapporto fra le sue mani e i cuscinetti, fra le sue dita e le maglie della catena, non aveva occasione di lottare con i cambi. Quando entravi nel negozio non ti accoglieva con un sorriso, con la speranza di vedere uscire dei bigliettoni dal tuo portafoglio, non ti accoglieva affatto, anzi spesso neppure lo vedevi,
era nel retrobottega a ravanare fra vecchie viti oppure seduto davanti a un pignone che non andava a posto o davanti alla morsa mentre litigava con un cuscinetto a sfere.
Le mani del ciclista erano perennemente sporche di nero e la pelle rovinata dalla continua lotta contro l’acciaio di telaio, dadi e bulloni. Neppure si accorgeva che stavi entrando anche se suonava il campanello appeso alla porta. Il ciclista ti guardava con sospetto, il cliente spesso era uno scocciatore che interrompeva la sfida fra lui e la meccanica che non sempre rispondeva alle sue volontà. Non ti guardava mai direttamente in faccia, ti scrutava forse e solo al di sopra della montatura degli occhiali spessi oppure ti guardava con gli occhi che puntavano vicino a te, ma non in faccia. Il rapporto era semplice: tu eri uno che se era finito da lui voleva dire che non eri capace di arrangiarti da solo.
Andava più o meno così:
“Buongiorno.”
"Ngiorno.”
“Vorrei una camera d’aria.” Lo dicevi con il sorriso, con la tua aria soddisfatta, pregustando il fatto che in pochi minuti e con qualche soldo avresti risolto il problema della foratura, la necessità di lottare contro la toppa, ma lui, con quell’aria del saggio, che dentro di sé già sghignazzava pregustando lo sgomento della tua risposta ti poneva la domanda:
“Con o senza valvola?” Quella frase ti congelava per un attimo, restavi lì, fermo e immobile, non sapendo più cosa rispondere, come se improvvisamente ti avessero chiesto quanto dista fra la Terra e Alfa Centauri, il numero di abitanti di Chichicastenango, le specie ittiche del Mekong, le coordinate dello Swaziland o la formula dello ftalato di isobutile. Non potevi però mostrarti impreparato, capivi al volo che stavi facendo la figura dell’incapace e inesperto.
Nell’arco di una frazione di secondo ti eri reso conto che prima avevi un problema e ora ne avevi due. Non potevi ammettere di aver dato per scontato che la valvola fosse già integrata nella camera d’aria, era così ovvio... Oggi è così ovvio, a suo tempo non lo era. In quell’istante ti accorgevi che la tua sfida non era più con la toppa, ma era con il ciclista al quale non potevi dimostrare incompetenza sebbene tu, la valvola, non avevi la più pallida idea di come montarla sulla camera d’aria. C’era una sola cosa che potevi rispondere, la sola scusa che potevi accampare sebbene fosse un po’ scontata, ma dovevi avere qualcosa da dire per giustificarti. La scusa era: “Sì, con la valvola, non ho tempo di metterla...” In realtà ci volevano due minuti a montarla, se lo sapevi fare, ma se non lo sapevi... La volta successiva evitavi l’umiliazione e la chiedevi già con la valvola. Comunque le vecchie camere d’aria non vengono totalmente sprecate, sono sempre utili per farne elastici e corde elastiche.
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
Viaggio in bici con Graziella | L'idea Viaggio in bici con Graziella | Il nome Viaggio in bici con Graziella | I preparativi Viaggio in bici con Graziella | Bagaglio e partenza Viaggio in bici con Graziella | Da Lodi a Fiorenzuola Viaggio in bici con Graziella | Seguendo il Po Viaggio in bici con Graziella | Digressioni sulla Goat Viaggio in bici con Graziella | Nell'ostello di Sivizzano Viaggio in bici con Graziella | Storie di sterrati e discese impervie Viaggio in bici con Graziella | Dalla Cisa a Pontremoli Viaggio in bici con Graziella | Lo zen della camera d'aria Viaggio in bici con Graziella | Pietrasanta in bici dal mare Viaggio in bici con Graziella | Polvere e catena verso Lucca Viaggio in bici con Graziella | L'ultima fatica per il convento Viaggio in bici con Graziella | San Gimignano e Monteriggioni
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico