Lungo il cammino di Santiago puoi permetterti di arrivare negli ostelli senza prenotare, ma lungo le vie dei pellegrinaggi italiani l’affluenza è minore ed è buona norma telefonare per chiedere la disponibilità di posti e avvisare del proprio arrivo.
Imbocco la stradina che sale al convento, è molto ripida, salto giù a spingere. Il carrello s’impenna perché il peso dei bagagli non è controbilanciato dal mio peso sulla bici: è troppo leggera se non c’è nessuno seduto sopra. Prendo la Goat per le corna, spingo quindi con le mani sul manubrio e incastro la sella fra l’anca sinistra e le costole per spingere verso l’alto e, allo stesso tempo, tenere la bici schiacciata verso il basso per evitare che il carrello si ribalti. Sono poche decine di metri, ma non vuol dire molto, anche una parete rocciosa di sesto grado può essere di poche decine di metri...
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Le pene del ciclista Goat
Devo impedire alla bici di andare indietro, devo impedire al carrello di ribaltarsi, devo riuscire a salire. Devo impedire a me stesso di cedere. Arranco in una posizione degna di un contorsionista, punto i piedi sull’asfalto, stringo le mani sul manubrio e arrotolo il busto sulla sella per mantenerla in posizione. Mi servirebbero delle costole prensili. Forse dovrei studiare un aggancio per tirare anche coi denti. Spingo con tutte le forze, resisto, devo resistere, se mollo mi ribalto in mezzo alla strada.
Domani sarà un bel problema discendere questa strada, ma domani è un altro giorno e si vedrà, ogni giorno ha la sua pena.
Suono al citofono del convento, i frati mi confermano che c’è posto, mi dicono di portare dentro la bici, ma non posso farlo dall’ingresso principale perché i gradini sono insormontabili per la Goat, una bici meno alternativa, si potrebbe alzare e portare per qualche metro, ma non l’insieme di bici e carrello, dovrei avere le braccia lunghe un paio di metri e una forza bestiale. Mi mostrano come passare da un altro ingresso, la discesa è di poche decine di metri, ma è decisamente ripida e non farei una bella figura se mi impastassi proprio qui, alla fine di una tappa, dentro un cortile.
Attivo quindi i freni statici del carrello e scendo con calma. In pochi metri sono passato da una salita tremenda a una discesa ripidissima che potrebbe farmi schiantare. Sarebbe stato più bello dire: “Busso alla porta del convento”, ma oggi i citofoni sono una realtà ovunque, non si usano più i batacchi sulle porte.
I “batacchi”? Non so come si chiamino i battenti di ferro sui portoni di una volta, mi sembra che batacchio sia la cosa che più si avvicina.
I citofoni in fianco alle antiche porte sono come la plastica in Africa nei villaggi tribali. Turisti e viaggiatori vorrebbero scattare foto “incontaminate”, che mostrino solo contesti primitivi nei quali tutto viene dalla natura e non ci siano oggetti in plastica o abiti moderni come magliette e pantaloni, vorrebbero solo oggetti in legno o materiali naturali, ma la realtà è diversa, plastica e abiti moderni fanno parte delle vita comune anche nelle realtà più remote e “selvagge”.
Nel convento
Finalmente scarico il mio cavallo ed entro nel chiostro del convento, un frate mi mostra la stanza. Sono al primo piano, ma quando mi affaccio alla finestra scopro di essere ad almeno dieci metri d’altezza, questa è una delle sorprese che si incontrano quando si entra in un edificio sorto sul fianco di una montagna. Ceno con i frati, il cammino offre anche questo, l’incontro con varie realtà, la condivisione di alcuni momenti con coloro che hanno fatto scelte di vita particolari.
In alcuni luoghi ci vai perché, in qualche modo, ti ci portano. Te ne parlano, li vedi su un volantino o li descrive una guida.
In altri ci capiti per caso e ti fa piacere che il caso ti abbia fatto arrivare fin lì. L’Italia è piena di luoghi famosi e apprezzati, ma anche di luoghi poco conosciuti eppure ricchi di storia, arte e cultura. Anche quando non si trova ciò che interessa il turismo classico, si trovano magari persone che hanno una storia da raccontare anche solo con la loro presenza in quel posto. Lunghi corridoi, larghi scaloni, ampi chiostri, mura imponenti. Questo luogo evoca immagini come il forte odore d’incenso, il coro con i canti gregoriani, i frati avvolti nel mantello nelle sere d’inverno, il popolo che arriva dalle campagne per la Messa della domenica.
Questo convento ha conosciuto tempi migliori, manifesta un certo prestigio, piazzato in cima alla collina sembra quasi una roccaforte: è maestoso e imponente. Fa pensare a quando attorno non c’era la città, era un punto di riferimento visibile da lontano e
l’eco delle campane si sentiva in tutta la valle.
Digressione su Santiago di Compostela e... India
Passiamo al raccontino della sera.
Sto percorrendo il cammino di Santiago a piedi, piove continuamente, non prendo neppure in considerazione le pozzanghere, sono talmente fradicio che anche in quelle profonde una spanna ci vado dentro senza pensarci, non mi preoccupo per il bagaglio sul carrello perché è ben protetto da pioggia e fango. Mi fermo in un ostello e poco dopo arriva un giapponese in bici. Durante la cena cerca di dirci qualcosa, parla solo giapponese, non parla spagnolo e neppure inglese. Riusciamo a capire che ha un problema alla bici, ma nessuno ha modo di aiutarlo e in quel paesino minuscolo non si trova un ciclista. Lo ammiro per il coraggio, è partito senza neppure conoscere una lingua straniera, se almeno sapesse qualche parola di inglese o di francese... Niente! Mi hanno detto che molti giapponesi, finita l’università, si prendono un anno sabbatico e vanno in giro per il mondo a viaggiare, in effetti ne ho visti diversi che erano in viaggio da tempo.
Una volta in India ho prestato servizio a Calcutta in una delle case di Madre Teresa, era previsto anche un giorno solo di servizio. Mi hanno messo in lavanderia. Il lavaggio funzionava in questo modo, i panni venivano bolliti dentro enormi pentole, poi venivano arrotolati e battuti con dei bastoni, dopodiché passavano al risciacquo e alla stenditura. Io ero stato assegnato all’azione meccanica del lavaggio. Ovvero: mi hanno dato in mano un mattarello col quale battere i vestiti. Cercavo di battere con forza, ma senza esagerare, perché tra il pianale di pietra, il tessuto di cotone e il bastone di legno, il tessuto non è quello che vince. Temevo quindi di rompere i vestiti. Un paio di volte mi si sono avvicinati i giapponesi nella “catena di montaggio” della lavanderia per chiedermi se ero stanco e volevo il cambio. Ho detto loro di no e loro mi han risposto di battere più forte... Detto questo, qualche giorno dopo il giapponese mi ha superato lungo il cammino, si vede che ha risolto il problema. L’ho chiamato, ma non mi ha sentito (almeno il nome lo avevo imparato).
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico