Io ci vado nei negozi, ma non sempre ripongo troppa fiducia, vi racconto qualche episodio, magari li ho già raccontati in altre occasioni.
Tenda...
Sto osservando delle tende in un negozio, chiedo al venditore: “Perché questa tenda costa il doppio delle altre simili?”. La risposta: “Perché è fatta con materiali speciali molto resistenti, l’alluminio resiste ad altissime temperature!” Ricordo che l’alluminio fonde attorno ai 650° e penso: “Che importanza ha? Il corpo umano non resiste fino a quella temperatura.”
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Una partenza... difficile!
Scarponi...
In un negozio un cliente si rivolge al venditore: “Sto partendo per un viaggio nel Sahara, che scarponi mi consiglia?” “Prenda questi con la membrana impermeabile traspirante, non entra l’acqua!”. [Per il deserto?]. Il cliente risponde: “Neppure dall’alto?” “No, non sono a tenuta stagna!”. [Eggia! Il collo dello scarpone non è un laccio emostatico!].
Sandali...
Chiedo al venditore di consigliarmi un paio di sandali, ne mostra un paio dicendo: “Questi hanno la suola in [marca famosa] che non si consuma mai!”. Rispondo col luogo comune più elementare, banale, scontato e risaputo: “Tutto si consuma...”. Ribatte dicendo: “Ah! Vedo che lei se ne intende!”
Stavamo però parlando del lucchetto. Mi viene da pensare che una bici “deve” avere un lucchetto e quindi ne aggancio uno al carrello. Così aumento ulteriormente il peso anche se dubito che lascerò il mezzo incustodito. Non ne ho l’esigenza, ma con questo sono molto più contento, sono più convinto di non aver dimenticato nulla. Essì!
Mancava proprio qualcosa. Ora sì che parto rilassato. Scelgo un lucchetto a combinazione, è lì da qualche anno sullo scaffale, non l’ho mai usato e forse c’è un motivo, forse perché
come lucchetto è proprio ridicolo. Ne avevo un altro simile, della stessa qualità, un giorno ho perso la chiave e l’ho tagliato con il milleusi che avevo in tasca... alla faccia della sicurezza. C’è ancora l’etichetta con la combinazione. Non la tolgo, e se poi me la dimentico? Prima lo voglio scrivere da qualche parte... (Anche se so che non lo farò mai...).
Riflessioni pre partenza
Kameel Nasr con la sua bici ha girato il mondo in lungo e in largo. Nel suo libro “Il mondo da vicino” racconta di quando si è fermato in un ostello nei pressi di Stoccarda, non gli hanno consentito di portare dentro la bici, l’ha quindi smontata e ha legato a un palo ruote e telaio con il lucchetto.
La mattina dopo è uscito dall’ostello e ha visto molta gente, ma nessuna delle bici presenti era lucchettata. Un ragazzo biondo, sui dodici anni, gli si è avvicinato di corsa e gli ha detto:
“Qui nessuno prende quello che non gli appartiene.” Nel frattempo gli altri bambini sprezzanti lo osservano dall’altro lato del cortile.
In ogni viaggio c’è una prima fase di preparazione, poi ce ne può essere una di avvicinamento al luogo in cui muoversi. Spesso è il viaggio da casa verso quel paese, esci di casa, ti accompagnano in auto o prendi un treno, sali sull’aereo... Sono momenti diversi, che vivi con intensità diversa. Se parti per l’Amazzonia il momento in cui sali sul 747 non è come il momento in cui entri nella barca sul fiume che ti accompagnerà nella giungla e ti dicono: “No te preocupes, no hay problemas, los caimanes no atacan durante el día”. “E i Piranha?”. “Si no tienes heridas que sangran no hay nada que temer”. Poi la barca s’incaglia fra i tronchi, salti fuori per spingerla, ti ferisci e sanguini. La barca s’incastra un’altra volta e devi saltar fuori un’altra volta a spingere, ma ora sanguini e non sei proprio convinto di farlo. Ti dicono: “No hay problema!”. “Ma se prima hai detto che il sangue sarebbe stato un problema!”. “No hay problema!”. In questo viaggio non c’è una fase di avvicinamento, esco di casa e sono già in viaggio. E parto... Decido da che parte uscire dalla città senza farmi vedere troppo, perché la gente ritiene strane certe cose. Non tutti le apprezzano, ma più che vergogna è il timore di farsi notare e poi magari non combinare niente di buono... Che figura!
On the road again...
Cerco la strada più breve per partire senza dare nell’occhio. Esco dal cancello e comincio a pedalare, controllo l’assetto della ferraglia, sto attento a dove vado e poco per volta sono fuori città. Sì, credo che sia una buona strada per partire.
Per partire uscendo di casa, partire subito, senza altri mezzi in mezzo, senza il treno, senza l’auto, senza un passaggio. Per uscire di casa ed essere già in viaggio, ed essere già sulla strada dell’arrivo. Per arrivare alla meta, girarsi indietro e dire: “Là dietro... c’è casa mia.”. (Questa affermazione non è mia, l’ho scroccata a Gix). Sono al primo incrocio: “Funzioneranno i freni?”. Arrivo allo stop e incontro la vicina di casa:
“Parti adesso?”.
“Sì, finalmente parto”.
“Buon viaggio”.
“Speriamo...”.
Arrivo all’altro incrocio,
entro nella pista ciclabile, cento metri ed è già finita. Vado avanti per altri cento metri, un altro incrocio e trovo il semaforo.
“Funzionerà la chiamata pedonale? Altrimenti qui non passo più”. Beh, se funzionava ieri mentre facevo un giro di prova con il carrello carico di zucche... Si accende il verde, entro nel sottopassaggio che buca il cavalcavia e mi trovo sulla strada di campagna. Proseguo e passo davanti all’aeroporto, arrivo all’altro incrocio, vado avanti. Qui la strada è lunga, diritta e non molto larga, passa un camion, ne passa un altro, ne passa un altro ancora.
“Chi li ha mai visti tutti sti camion su sta strada? Passano tutti oggi?”. Vado pian piano e arrivo alla pista ciclabile, la seguo per un paio di chilometri. Ecco l’incrocio, devo andare a sinistra, ma non posso uscire dalla pista ciclabile perché il paracarro non s’interrompe. Non c’è una via di uscita, devo andare avanti ancora e vado avanti. Aspetto un bel po’ per attraversare e tornare indietro. (Avete fatto bene a fare la pista ciclabile, ma se non riesco a uscire per attraversare e prendere la strada che parte sulla sinistra... Oppure c’è uno studioso che ha deciso dove devo andare io?). Una freccia suggerisce un sentiero fra i campi, ma
è troppo presto per mettermi alla prova in maniera aspra e dura nella natura selvaggia.
Resto sul caro, vecchio, caldo, inquinante e nauseabondo asfalto. Sicuramente a molti ciclisti piace il fuoristrada, piace il terreno accidentato, piace il percorso sconnesso, ma bisogna anche dire che alla gran parte dei ciclisti non è che l’asfalto fa proprio schifo... si può dire che ci vanno volentieri. Arrivo al primo paese e giro a destra:
direzione sud! Pedalo e pedalo... Eccolo! È il primo cavalcavia, la prima vera prova, sono convinto che non ce la farò mai, ma provo. Cerco di prendere velocità, certo... si fa per dire. Pedalo, ma con moderazione, non voglio rischiare di spezzare la catena. Devo riuscire a
spingere in maniera decisa e costante senza strappi. Al primo dubbio, alla prima sensazione di chiedere uno sforzo eccessivo della catena, dovrò saltar giù dalla sella e spingere camminando. Vado così, convinto, ma non troppo. Con le orecchie tese per avvertire il minimo rumore sospetto, con mani e piedi attenti a percepire ogni smottamento strano nella bici. Vado deciso, pedalo e salgo poco per volta, ma arrivo fino in cima.
Ce l’ho fatta senza sfasciare niente! Questo è il primo successo, un cavalcavia superato pedalando, è un buon segno, vuol dire che forse potrò fare qualcosina in più del previsto.
Se fossi partito come Binda...
Una volta prima di partire per andare a Roma in bici mi è stato chiesto:
“Parti anche tu come ha fatto Paolo?”.
“No, lui è andato con la bici da corsa che costa un sacco di soldi, con l’auto al seguito e con gli alberghi prenotati”.
“Perché tu parti come Binda con il copertone a tracolla?”.
Devo dire che non sarebbe una cattiva idea, devo pensarci, magari la prossima volta... Ho fatto questo riferimento a Binda perché a suo tempo il cambio delle bici era diverso, il deragliatore era decisamente manuale, per spostare la catena da una corona all’altra si prendeva la catena con le dita e la si spostava... semplice no? Non si può certo dire che fosse comodo, ma non era ancora stato inventato di meglio. Ho considerato la possibilità di realizzare per la Goat un cambio di questo tipo, ma non è così facile, per il momento ho rinunciato, però so che avrei fatto un gran figurone con un cambio a mano siffatto. Per il momento ho seguito il principio del caro vecchio Ford: “Quel che non c’è non si rompe!”.
Sono in tempo per comprare qualcosa da mangiare prima che chiudano i negozi. Prendo il necessario per qualche panino e compro anche un sacchetto di
semi di zucca: un alimento semplice e pratico, comodo da tenere a portata di mano, utile per gli spuntini veloci e per placare la fame. Bisogna però scegliere quelli giusti, perché quando sono troppo salati fanno un po’ schifo e fanno venire sete, cosa che non manca in un viaggio in bici: non c’è bisogno di aumentarla artificialmente.
I semi di zucca sono roba buona, meglio delle robe iperproteiche e iperenergetiche! Compro anche un po’ di
ciccioli, ma... questa non è terra di ciccioli. Li mangio, ma debbo dire che in altri posti ne ho apprezzati di migliori, ci metterò qualche giorno a finirli. Anche questa è
roba energetica adattissima per un ciclista Goat.
Attraversare il Po lungo la Francigena
Proseguo per
Corte Sant’Andrea. Non è un luogo famoso per la storia e la cultura, non è un posto visitato da migliaia di turisti. Non se ne parla mai, ma è uno dei luoghi particolari della
Via Francigena. I pellegrini che partivano da Canterbury verso Roma incontravano
tre grandi ostacoli: il canale della manica, le Alpi e il fiume Po. Il Po veniva attraversato proprio nel tratto fra Corte Sant’Andrea e Calendasco.
Non ho mai capito bene perché i pellegrini passassero da qui e non da Piacenza. Forse perché per passare sul ponte della Via Emilia si doveva pagare la gabella, anche se a suo tempo non c’era un vero e proprio ponte. Forse perché verso Piacenza c’erano i briganti, però io penso che i briganti avrebbero potuto spostarsi anche più a monte di qualche chilometro e raggiungere la
zona del Transitum Padi. Vista la lunghezza del transito avrebbero potuto trasformarsi in pirati. Eggià, perché l’attraversamento che si fa solitamente in barca,
da Corte Sant’Andrea a Calendasco, è lungo un paio di chilometri anche se il letto del fiume è largo 250 metri. Il transito andava da un paese all’altro e la distanza è quella, non potevano certo spostare i paesi per accorciare l’attraversamento del fiume.
Però nasce un altro dubbio: visto che la Francigena era percorsa da molta gente, è nata prima la Francigena o sono nati prima i due paesi? Non lo so. Qualcuno mi ha detto che il guado, in alcuni periodi, era un vero e proprio guado, così come lo si intende comunemente, ovvero un punto del fiume in cui l’acqua era bassa e si poteva attraversare a piedi senza bisogno di imbarcazioni. Mi dicevano che il fiume era poco profondo perché il torrente Tidone portava molta ghiaia che rendeva il letto del fiume poco profondo. Però la cosa non mi è molto chiara. In questo tratto di fiume il Tidone sfocia sulla riva destra, a un chilometro circa a monte di Corte Sant’Andrea, mentre il Lambro sfocia sulla riva sinistra del Po a poche centinaia di metri a monte di Corte Sant’Andrea. Il Lambro arriva al Po dopo parecchie decine di chilometri in pianura, non credo che porti quindi al Po molta ghiaia. Per cui questa teoria della ghiaia che alza il fondo del fiume temo che sia poco plausibile. Bisogna però dire che il letto del fiume nel corso di centinaia di anni potrebbe essere cambiato e forse il
Tidone e il
Lambro tempo fa sfociavano più in su o più in giù.
Provo però a fare un semplice ragionamento. Un tempo il fiume non era così ben incanalato, non c’era l’argine maestro che gli impediva di andare dove voleva, il territorio era paludoso e quindi suppongo che il livello dell’acqua fosse mediamente più basso.
Per transitare cose e persone da una parte all’altra si usavano barche che si guidavano con una pertica, non con i remi, più o meno come si fa con le gondole, con la pertica che si spingeva sul fondo del fiume. Forse in determinati punti e in alcuni periodi dell’anno era possibile attraversare a piedi, probabilmente il corso del fiume Tidone è cambiato nel tempo e la zona in cui confluivano nel Po il Lambro il Tidone era più paludosa. Devo anche aggiungere che al tempo dei Longobardi
Pavia era una città molto importante e che la via di comunicazione fra Piacenza e Pavia era a sua volta importante. Dopo tutto questo ragionamento le mie idee sono più confuse di prima.
I fiumi oggi ce li siamo quasi dimenticati, in geografia li abbiamo sempre studiati come linee di confine, come fronti sui quali si sono combattute guerre, eppure i fiumi sono sempre stati vie di comunicazione, di scambi commerciali e di relazione fra i popoli. Qualche decennio fa, ben più di oggi, erano luoghi di svago per la gita sulla spiaggia del fiume e/o per il giro in barca. Oggi, anche se è in crescita l’attenzione nei confronti dell’ambiente, i fiumi sono ancora usati come fognature. Ci ricordiamo dei fiumi solo se notiamo il cartello all’inizio del ponte passando sull’autostrada, ma i guardrail ci impediscono di vedere l’acqua.
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
Viaggio in bici con Graziella | L'idea Viaggio in bici con Graziella | Il nome Viaggio in bici con Graziella | I preparativi Viaggio in bici con Graziella | Bagaglio e partenza Viaggio in bici con Graziella | Da Lodi a Fiorenzuola Viaggio in bici con Graziella | Seguendo il Po Viaggio in bici con Graziella | Digressioni sulla Goat Viaggio in bici con Graziella | Nell'ostello di Sivizzano Viaggio in bici con Graziella | Storie di sterrati e discese impervie Viaggio in bici con Graziella | Dalla Cisa a Pontremoli Viaggio in bici con Graziella | Lo zen della camera d'aria Viaggio in bici con Graziella | Pietrasanta in bici dal mare Viaggio in bici con Graziella | Polvere e catena verso Lucca Viaggio in bici con Graziella | L'ultima fatica per il convento Viaggio in bici con Graziella | San Gimignano e Monteriggioni
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico