Decido di andare verso Siena senza passare da Gambassi Terme, scendo a San Miniato Basso e vado verso la Via Cassia. La discesa di ieri sera nel cortile del convento oggi è una ripida salita, ma stavolta non mi faccio fregare, porto prima la bici e poi il carrello. Pedalo e pedalo, forse potrei andare a San Gimignano, vedo i cartelli e ci penso. La mia mente associa immediatamente San Gimignano alla salita. So che per andarci dovrei spingere a volontà bici e carrello, dovrei sudare e faticare, ma i cartelli diventano sempre di più e mi rendo conto che ci sto andando. Ancora una volta il mio irrefrenabile impulso a farmi del male ha preso il sopravvento. No, ci vado cosciente di quel che faccio, percorrere la Via Francigena in bici senza passare da San Gimignano sarebbe veramente un peccato. Non s’ha da fare!
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
La Goat a San Gimignano
Faccio appena in tempo a pensarci e vedo davanti a me le torri. Sono lontane e la salita non è molta. (Non so come faccio a pensare a queste cose, di salita ce n’è, eccome se ce n’è!). Mi rimetto a spingere, la salita non è ripida (per fortuna), ma è lunga, lunghissima. Fa caldo, molto caldo. Spingo un po’.
Ogni tanto,
quando la strada mi illude di essere piana o in discesa, faccio finta di saltare in sella, ma subito dopo mi trovo a camminare e puntare le braccia sulle corna del manubrio. Pian piano arrivo alla porta della città. Entrare in una città attraverso la porta fa sempre un certo effetto. Quando si entra in una casa si chiede
“permesso”, ci si ferma per un istante. Anche quando si attraversa una porta di una città c’è un momento in cui si valica un confine,
la porta stabilisce un “di qua” e un “di là”, un “dentro” e un “fuori”.
San Gimignano è il
simbolo classico della gara a chi costruiva la torre più alta, della volontà di dimostrare imponenza e lasciare il proprio nome nella storia in qualcosa di solido, come a Babilonia dove Nabucodonosor II e Saddam Hussein avevano stampato i mattoni con il proprio nome. Cioè... li avevano fatti stampare, non li avevano stampati loro, per una volta ricordiamo chi il lavoro lo ha fatto davvero invece di dire sempre che le piramidi le hanno costruite i faraoni, i castelli gli imperatori...
Piazzo la Goat in assetto da parcheggio, vicina a un distributore automatico di palloncini in lattice per i gavettoni, davanti a una farmacia. Mi fermo due o tre minuti in piazza davanti ad alcuni monumenti e scatto qualche foto. Passo fra i turisti, stavolta nessuno mi degna di considerazione, meglio così. Quando ho percorso il cammino di Santiago col carrello più di una volta sono stato un’attrazione per i turisti che “camminavano” con il pullman, li incrociavo quando facevano una sosta scendevano mi fotografavano. Una volta una signora tedesca mi ha pure dato un euro di mancia, al momento mi ero un po’ offeso e gliel’ho restituito, ma forse non era così grave, avrei potuto accettarlo.
Un giornalista durante un’intervista telefonica mi dirà di aver visto dalle foto che ho attaccato alla bici un carrello del supermercato. Dopo tutto il lavoro fatto, dopo tutte le elaborazioni, i tagli di acciaio e alluminio, centinaia di fori col trapano, decine di dadi avvitati e svitati mille volte e anche di più... Lui dice che ha visto il carrello del supermercato!!! Forse dai miei grugniti capisce che sto disapprovando e si corregge, dice che guardando meglio si è accorto dell’errore...
Un altro giornalista dirà poi che la Goat ci sta dentro lo zaino e che l’ho costruita per ripercorrere la ritirata di Russia... Come ti può venire in mente una roba del genere? Come faccio a mettere tutta la ferraglia dentro lo zaino per poi estrarla e andarci in giro in mezzo ai campi pieni di neve? Un amico quando gliel’ho raccontato mi ha confortato dicendomi: “A me un giornalista altrettanto fantasioso ha fatto dire che per andare nelle piste ciclabili di Milano bisognava pagare... quando ho letto l’articolo non sapevo più dove nascondermi.”
Giro, un po’ di qua e un po’ di là, esco poi dalla città.
Verso Monteriggioni
Potrei arrivare a
Siena per fare un po’ di chilometri, ma non sono troppo convinto, potrei puntare anche più in là. Dall’elenco vedo però che non sono previsti molti posti per la notte subito dopo Siena. Più mi avvicino e meno mi piace l’idea di andarci. Non ho nulla contro Siena, ma non mi attira l’idea di una grande città e di un ostello affollato. Fino ad ora sono stato in posti poco frequentati e mi sono trovato bene.
Mi fa piacere incontrare altri in cammino, ma preferisco evitare la contusione, sì... cioè... la confusione... A
Monteriggioni non ho mai pernottato, a suo tempo mi ero stato fermato nel campeggio vicino. Pensavo fosse molto vicino, ma alle otto di sera avevo scoperto che mancavano tre chilometri. Mi sembra che a Monteriggioni non fosse ancora prevista l’ospitalità per i pellegrini, ma forse non ero ben informato. Lungo i cammini molti tendono a fermarsi di più nelle grandi città perché offrono più servizi, più edifici di pregio, ristoranti, teatri, cinema, il centro storico, la via dello shopping, saune, idromassaggi, centri estetici, beauty farm, sale congressi e tanto altro ancora... io no! Io vado nel paesino poco dopo la grande città, dove non c’è un bel niente, magari si fa pure fatica a trovare l’ostello.
È un trucco che non dovrei svelare, non tutti sanno che nei posti più piccoli e meno conosciuti spesso si trova posto più facilmente che nelle grandi città. È un discorso che valeva sul Cammino di Santiago qualche anno fa, forse negli ultimi tempi le cose sono cambiate con l’aumento di affluenza.
Ora che lo sapete non ditelo troppo in giro, non fate come l’italiano medio che lo dice solo a uno, che poi lo dice solo a uno, che lo dice solo a uno e poi, non si capisce come mai, lo sanno tutti... Così decido di provare Monteriggioni.
Forse faccio meno chilometri, ma la cosa mi preoccupa poco, sono in anticipo rispetto alle ipotesi iniziali, posso quindi permettermi un briciolino di turismo.
Ho superato San Gimignano, sono le due e mezza, trovo un discount aperto e ne approfitto per comprare del succo di frutta. Visto che non ho ancora mangiato almeno bevo qualcosa. Compro due tetrapak da due litri ciascuno. Esco dal supermercato, apro il tetrapak e mi rendo conto che non ho fatto caso alla chiusura. Non è richiudibile, è la chiusura più assurda che si possa concepire. Lo apro e cerco di bere, mentre bevo mi lavo la barba e innaffio l’asfalto, cerco di ruotare la confezione, ma continuo a innaffiarmi. Sono stato furbissimo e ora ne pago le conseguenze. Con tutti gli studi che ho fatto sui contenitori e sull’equipaggiamento mi faccio fregare dall’imboccatura e dalla chiusura del tetrapak. Devo trovare una soluzione, per fortuna ho qualche bottiglia di plastica e travaso il succo dentro quelle. Passa in secondo piano il fatto che il sapore non è certo dei più gradevoli, anzi, fa proprio... Sì, diciamo che ce ne sono di migliori...
Quindi ho comprato una cosa che non mi piace, che faccio pure fatica a bere e che m’impasta di liquidi appiccicosi. Riparto accompagnato dalla mia delusione e arrivo vicino a Monteriggioni, decido che mi fermerò.
Anche oggi mi fermo attorno alle quattro del pomeriggio.
Sarò troppo turista mollaccione??? Chiamo il numero indicato per l’
ostello di Monteriggioni:
“Salga alla rocca e troverà di l’ostello di fianco alla chiesa”. Salgo piano lungo l’asfalto, ci sarebbe anche una strada sterrata più breve, ma preferisco evitarla: è ripida e con la Goat sarebbe massacrante.
In viaggio... da sola
Arrivo all’ostello, parcheggio la bici nel cortile, registrano la mia presenza, mi timbrano la Credenziale e mi dicono dove piazzarmi.
Gli ospitalieri sono una coppia di parigini, si fermano a prestare servizio per dieci giorni. È presto, vado nel piccolo parco a scrivere il diario di viaggio. Alle 19.00 si cena, con me e i due ospitalieri c’è una ragazza scozzese partita da Canterbury il 12 luglio. Ha camminato in Inghilterra, ha attraversato tutta la Francia e buona parte dell’Italia. Credo che abbia circa venticinque anni, non parla ne francese ne italiano. Dimostra veramente tanto coraggio a viaggiare da sola in paesi di cui non conosce la lingua. L’ospitaliere ed io parliamo fra di noi in italiano, io parlo con lei in inglese e l’ospitaliere parla con sua moglie in francese.
Ci vuole un po’ prima che ci capiamo tutti.
Sono curioso di sapere come contatta i posti per la notte, dice che va nei bar, cerca qualcuno che parla inglese, spiega di cosa ha bisogno e gli chiede di telefonare in italiano al suo posto. È un incontro interessante che fa riflettere, quante volte non si parte perché non si conosce una lingua, per paura di non trovare i posti per la notte, perché non si ha modo di programmare tutto con precisione? Lei invece è partita dimostrando coraggio, fiducia e intraprendenza. Racconta del suo cammino, parla delle zone in cui è stata assalita dalle zanzare, le dico che dove vivo io ci sono tre elementi caratteristici:
il mais, la nebbia e le zanzare. Io le dico “mais” e lei mi guarda con un’espressione strana. Lei non capisce io non capisco cosa non capisce: “Mais?” Mi dice. “Yes, mais!”. Le rispondo. Mi rivolgo al francese che ha capito cosa ho detto io, ma neppure lui capisce le perplessità della scozzese. “Why mais?”. Come “Why mais?”. Il parigino ed io cerchiamo di spiegarle di cosa si tratta e capiamo la sua perplessità. Mi rendo conto che, come talvolta fanno i britannici, forse ha fatto un po’ la sofistica. Ha radiografato l’accento e contato il numero di nanosecondi della “s” per arrivare a interpretare “mice”, ovvero “topi”. Le è dunque sembrato strano che dalle mie parti fossero caratteristici i topi. Come si pronuncia
“mais” in inglese?
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
Viaggio in bici con Graziella | L'idea Viaggio in bici con Graziella | Il nome Viaggio in bici con Graziella | I preparativi Viaggio in bici con Graziella | Bagaglio e partenza Viaggio in bici con Graziella | Da Lodi a Fiorenzuola Viaggio in bici con Graziella | Seguendo il Po Viaggio in bici con Graziella | Digressioni sulla Goat Viaggio in bici con Graziella | Nell'ostello di Sivizzano Viaggio in bici con Graziella | Storie di sterrati e discese impervie Viaggio in bici con Graziella | Dalla Cisa a Pontremoli Viaggio in bici con Graziella | Lo zen della camera d'aria Viaggio in bici con Graziella | Pietrasanta in bici dal mare Viaggio in bici con Graziella | Polvere e catena verso Lucca Viaggio in bici con Graziella | L'ultima fatica per il convento Viaggio in bici con Graziella | San Gimignano e Monteriggioni
Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico