Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Un curioso reperto
L’avrà rotta qualche ciclista che pedalava in salita. La catena rischia di spezzarsi quando si cambia spingendo con forza e magari spostandola sui rapporti esterni: corona davanti grande e pignone dietro piccolo o viceversa. Le si chiede uno sforzo laterale eccessivo che può farne aprire le maglie. Questo ritrovamento sarà un segno premonitore? Io sono molto preoccupato per la catena, prima di partire ho giocato con corone, catene e pignoni come si fa con le lettere dello Scarabeo. Dovevo ottenere con i vari elementi una combinazione adatta a far muovere il mezzo. Ho anche tagliato la catena originale per adattarla, ora sono terrorizzato dall’idea che si possa rompere. Mi è già successo in passato, l’ultima volta mentre stavo arrivando a San Quirico D’Orcia, avevo fatto il classico errore da ciclista pivello: cambiando in salita la catena si era aperta. Ovviamente erano le dieci di sera, ho poi proseguito spingendo fino all’ostello, per fortuna ero quasi arrivato.
Supero il passo ed entro nella pianura, arrivo a Lucca ed entro nella cerchia delle mura attorno a mezzogiorno. Vado subito sulla cinta muraria, è un enorme terrapieno che forma un grande anello lungo più di quattro chilometri tutto attorno alla città. La gente qui pedala, passeggia e fa qualche corsetta. Mi fermo per valutare dove arrivare, alcune decisioni le posso prendere di volta in volta, anche perché non so mai fin dove posso arrivare, spesso anche mentre vado a piedi su un lungo cammino decido quale sarà la tappa finale solo nel pomeriggio.
Potrei puntare a San Miniato, ma forse potrei raggiungere Gambassi Terme, la volta scorsa, mentre percorrevo la Francigena a piedi, a Gambassi Terme ho dormito fra gli ulivi.
Ero arrivato nel pomeriggio e avevo chiesto ospitalità in parrocchia, il parroco mi aveva detto che nel 2000, anno del Giubileo, erano organizzati per accogliere i pellegrini, ma poi non era arrivato più nessuno: “Ho un solo locale, ma questa sera è occupato per una riunione, se vuoi aspettare ti puoi sistemare dopo la fine della riunione”.
“Posso mettermi sotto quegli ulivi? Non monto neanche la tenda”.
“Certo, se vuoi”.
Dormire all'addiaccio
Questa cosa del dormire all’addiaccio è considerata un’esperienza estrema, eppure di gente che dorme senza un tetto sopra la testa ce n’è un sacco in giro per il mondo. Molti pensano che sia una cosa da fuori di testa, eppure è una cosa semplicissima, qualche volta mi chiedono: “Come fai?”.
Come faccio... mi sdraio e mi addormento, non mi sembra una cosa complicata... Dormire all’addiaccio è un piacere che non costa nulla, una di quelle cose semplici per le quali non ci vuole niente. Si può fare in estate e in inverno, bastano un materassino e un sacco a pelo, se hai un sacco leggero metti anche una coperta sotto e una sopra. C’è gente che non lo proverà mai nella vita, convinta che si tratti di una cosa pericolosissima, che si vada incontro a chissà quali pericoli, che durante la notte possa accadere chissà cosa... Non dico di dormire all’aperto da soli in mezzo alla giungla, ma anche semplicemente dormire in giardino o sul balcone, per molti può essere un’esperienza avventurosa e anche formativa. È una cosa che andrebbe inserita nei programmi scolastici.
Dormire sul terreno e all’aperto aiuta a ristabilire un rapporto con la terra che spesso si è dimenticato. Le mamme italiane non lasceranno mai che i loro figli facciano una cosa del genere, perché li potrebbe far crescere brutti e cattivi, anarchici e facinorosi, che da grandi diventeranno dei barbun! Si preoccuperebbero di cosa direbbe la gente, penserebbero: “Chissà cosa dice la gente, magari pensa che non ho i soldi per mandare mio figlio in albergo!”
Ma eravamo sulle mura di Lucca... Mi piazzo in un angolo, scatto qualche foto e fisso la videocamera sul cavalletto, vado avanti e indietro per riprendermi. In questo viaggio ho fatto pochissime riprese e so che me ne pentirò. Anzi, sono già pentito. Se vai in giro da solo nessuno ti può riprendere. Ti devi arrangiare, piazzi la videocamera e la accendi, nel film si vedrà che tu vai avanti e indietro due volte: quando ti metti in posa dopo aver acceso la videocamera e quando torni a fermare la ripresa. Poi fai vedere i filmati agli amici; così come sono perché non li sistemerai mai, non troverai né il tempo di farlo né il software giusto, resteranno quindi delle cose abominevoli. Mentre vado in bici scatto meno foto di quante ne farei a piedi sullo stesso percorso. Devo impegnarmi di più. D’altronde ho sempre ammesso che punto più sulla quantità che sulla qualità, ho sempre ammesso di non essere capace di scattare delle buone foto.
Una volta Matteo, che fa il fotografo per davvero, mi ha chiesto: “Ti hanno pubblicato delle foto?”
“Sì.”
“Allora vuoi dire che sei bravo...” Detto in altre parole:
ciò che conta è il risultato. Io continuo però a pensarla come prima. Forse lo diceva perché eravamo in montagna e dopo la notte passata nella truna a diversi gradi sotto zero non sapeva quel che diceva. Forse lo ha detto perché ero io a condurre il gruppo e a sapere la strada per tornare a casa...
A volte gli amici ti dicono qualche bugia per farti felice con poco. Fino ad ora la videocamera l’ho usata pochissimo, praticamente ho imparato solo ad accenderla, premere il pulsante di registrazione per avviare e fermare la ripresa. Invece della fotocamera ne so molto di più... Ho addirittura imparato a girare il selettore sulle posizioni “Auto”, “Primo piano”, “Paesaggio”, “Notturno”. Nient’altro, niente di più. Questo è il motivo per cui scatto tante foto puntando sulla quantità piuttosto che sulla qualità. So di essere fotograficamente ignorante, ma talvolta mi lasciano perplesso alcuni amanti della fotografia, quelli esperti di obiettivi, di ottiche e di marche, che conoscono perfettamente i tempi di apertura, le memorie e le caratteristiche dei sensori. Quando poi gli chiedi di mostrarti alcune immagini ti presentano la foto del gatto, il primo piano della sorella che guarda fuori dalla finestra in una mattina d’autunno, la facciata della chiesa di paese, il parco imbiancato dalla neve, la candela accesa nella penombra, il filare di cipressi e il balcone pieno di gerani. Qualcuno punta sul bianco e nero, ma ben sappiamo che è una buona scorciatoia, col bianco e nero tutto acquisisce uno fascino diverso. Ti viene allora un dubbio e vorresti domandare: “Ma tu... scatti le foto o ti sei mangiato il manuale della fotocamera?” La fotografia è una di quelle cose in cui ci provano in tanti. È sempre più alla portata di tutti, sia economicamente, sia grazie al fatto che la tecnologia da sola ottiene buoni risultati: una buona macchina aiuta anche chi ha meno talento. Qualcuno spera che faticando poco si possa ottenere un facile successo, qualcuno sogna di diventare famoso e di vedere le proprie foto sulla copertina del Time o del National Geographic. Ma chi non è così ambizioso da sperare di vedere le proprie foto in copertina ci prova perlomeno con amici e parenti. Una volta lo si faceva con le proiezioni di diapositive, si organizzavano le serate e gli amici erano costretti a vedersi centinaia e centinaia di foto. Qualcuno dice che una proiezione di foto non dovrebbe durare più di tre quarti d’ora, ma non tutti lo sapevano. Poi sono arrivati i social network e queste serate in cui si scioglievano delle amicizie, causate da incontenibili sbadigli durante le proiezioni, sono entrate a far parte del passato. Oggi, grazie a Internet, è più facile perdere degli amici con le foto, in molti ci provano pubblicando un sacco di foto altrui nelle situazioni più disperate e alla faccia della privacy. Qualcuno ti manda decine di foto inutili, tutte uguali fra loro perché non ha operato nessuna selezione e ovviamente tutte in massima risoluzione, un ottimo sistema per intasarti la casella di posta. Di solito accade quando sei in attesa di un messaggio importante che non arriverà mai perché la casella di posta è piena.
Dilemmi fotografici
Qualche anno fa, prima di partire per un viaggio in Uganda, sono andato in un negozio di fotografia. In quegli anni vicino a casa c’erano i prati e molte cose si andavano ancora a comprare in negozio, ora sono circondato dai supermercati e i negozi sono spariti. Ho domandato diversi rullini per la macchina fotografica che avevo in casa, che a suo tempo aveva già più di vent’anni, stavo per pagare quando alla titolare del negozio è venuto un dubbio:
“Lei sta partendo per un viaggio?”
“Sì, vado in Africa.”
Con uno scatto fulmineo ha ripreso i rullini dicendo: “No! Lei non può andare in viaggio con questa macchina!”
"Ma io ho solo questa.”
“Piuttosto gliela presto io, non si preoccupi, la prestiamo sempre ai nostri clienti, ma io non le posso permettere di partire per un viaggio con questa macchina.”
Ho accettato la proposta, sono uscito con la macchina in prestito e un po’ di rullini, non mi ha neppure chiesto come mi chiamavo. Qualche settimana dopo sono tornato a riportare la macchina con i rullini da sviluppare. Tempo dopo ho comprato una macchina fotografica quasi decente. Un giorno eravamo su un minibus a spasso per il Kruger Park in Sudafrica. Giravamo dal giorno prima e non si vedeva neppure un leone, io guidavo mentre il resto del gruppo si era ormai appisolato. A un certo punto un gruppo di leoni ci ha attraversato la strada, ho estratto la macchina e ho scattato, ma la macchina non ha emesso quel rumore caratteristico che tutti conosciamo, non ha prodotto il fantomatico click... Non ha fatto un bel niente.
Tutti si sono risvegliati di soprassalto e hanno iniziato a scattare all’impazzata, c’è chi ha ripreso i leoni, chi il sedile davanti, chi il montante del telaio, chi l’orecchio di chi gli stava di fianco. Qualcuno ha immortalato anche la luce di cortesia e lo specchietto retrovisore, qualcuno quello interno, qualcuno quelli esterni. In certi momenti si fotografa tutto quello che capita. Solo io ero lì, davanti al volante, con la mia macchina che non scattava, non emetteva un suono, non dava segni di vita...
Stavo parlando di Lucca... La videocamera fa quel che vuole, io le chiedo di spegnersi e lei non si spegne. L’ho comprata in supersvendita poche ore prima di partire per un viaggio e non volevo spendere molto, mi sono quindi accontentato di quel che ho trovato. Quel giorno in negozio c’era un solo modello di scheda di memoria disponibile e ho preso quello, senza sapere che era troppo lento per la videocamera. Il problema è semplice, la scheda è lenta e quando io cerco di spegnere la videocamera lei non ha ancora finito di scrivere sulla scheda e quindi non si spegne. Ovviamente non ne ho comprata una più veloce prima di saltare in sella alla Goat. Non posso neppure scambiarla con quella della fotocamera perché usa un modello diverso.
San Miniato alla fine
Riparto, giro sulle mura finché trovo il punto in cui scendere per andare verso Capannori e Fucecchio. Ci sono un paio di strade che vanno in quella direzione, io beccherò quella sbagliata... Mi dico che se arrivo entro le quattro a San Miniato Alto poi telefono a Gambassi Terme per chiedere se c’è posto per la notte. Son però indeciso, in questi giorni il buio arriva verso le sette e mezza e la guida parla di 24 chilometri fra San Miniato e Gambassi. Io dovrei trovare strade alternative non citate dalle guide e non ho neppure una carta dettagliata sulla quale cercarle. Per il momento pedalo, poi ci penserò. Arrivo a San Miniato Basso poco prima delle quattro. Chiedo al benzinaio: “Devi andare a prendere la Cassia, fino a Gambassi saranno 35 chilometri”. Troppi! Non so... sono indeciso, ma vorrei provarci. Non voglio però prendere la Cassia, vedo sulla carta in scala 1:800.000 che c’è un’altra strada, potrei andare su quella. Non dovrei avere problemi perché sia a San Miniato Basso che a quello Alto ci sono posti per la notte. In caso di necessità potrei anche provare a tornare indietro. Salgo allora verso San Miniato Alto. Chiedo a un anziano signore:
“Sì... la strada c’è... la facevo tanti anni fa... è lunga... ci sono tante salite... non so se ti conviene...”. Non lo vedo molto entusiasta, non vorrei arrendermi, ma
devo ricordarmi che la Goat ha le ruote da 20 pollici e un carretto attaccato dietro...
Comincio a pensare che la mia idea di arrivare a Gambassi Terme sia troppo ardua. In agosto ci proverei, ma oggi finirei col pedalare e camminare al buio, è meglio evitare. Quando si chiedono indicazioni in merito alle strade di campagna spesso solo gli anziani sanno rispondere perché è più probabile che ci siano passati. Non solo per via della maggiore esperienza, quanto perché forse hanno lavorato in campagna o sono passati su strade secondarie. Magari un tempo quelle erano le sole strade prima che venissero costruite strade più veloci, circonvallazioni o tangenziali. Decido quindi di fermarmi al convento francescano di San Miniato Alto. È a poche centinaia di metri, offre molti posti letto, non credo ci siano problemi se arrivo senza aver avvisato.
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
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Ultimi commenti
Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico